Marzo 2015

Di vino in libro | Nebbiolo ROCCARDO di Rocche Costamagna | di Ferdinando de Martino

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Ho pensato di unire i miei due lavori (lo scrivere e il vender vino) in un unico lavoro.

Oggi voglio parlarvi di un Nebbiolo, il Roccardo (vino delle rocche).

Stappando la bottiglia ci troviamo immediatamente davanti ad un Nebbiolo in purezza (100%), prodotto presso il comune di La Morra, con un tannino moderato e delle note di fiori secchi al profumo che sprigionano un aroma persistente e ben bilanciato.

Si tratta di un vino che potrebbe preparare la vostra morosa ad una notte di fuoco, coi suoi 13,5 gradi, ma potrebbe risultare anche un eccellente compagno per una bevuta in solitaria, davanti alla nascente primavera.

Se dovessi consigliarvi un libro da accompagnare a questo particolare Nebbiolo, vi consiglierei un autore con una solida struttura, con la capacità di arrivare a tutti, senza usare paroloni e inutili giri di parole. Con un buon Roccardo vi consiglierei uno qualsiasi  dei quarantanove racconti di Hemingway.

 

Ferdinando de Martino.

L’uomo al buio. | artisti da vicoli | di Ferdinando de Martino |

Certe volte mi sento così spaventosamente vuoto da rischiare l’implosione. Capita a tutti probabilmente, come se anche le anime non riuscissero di tanto in tanto a pagare la bolletta della luce per tempo, gettando così l’umore nel buio più totale.

È proprio il buio il territorio della realtà. Il buio della nostra immaginazione notturna, il buio delle nostre ambizioni e il buio di ciò che desideriamo solamente lontani dall’illuminazione della parola.

Il buio di scena è spesso la partenza dell’atto migliore di un dramma teatrale. Spegnere le luci non è facile, esattamente come non è facile restarsene sempre al di sotto dei lampadari emotivi; è il limbo della penombra l’atmosfera che non sopporto.

Quando ti accorgi di odiare tutto e tutti, infilando anche te stesso all’interno di una guerra che non sei nemmeno disposto a combattere, ti ritrovi al capolinea della stazione fantasma, spettro di te stesso dentro gli occhi degli altri.

Le luci si possono spegnere con l’eroina. Le luci si possono spegnere in una stanza piena di puttane. Le luci si possono spegnere in culo ai lupi, in un rifugio di montagna, giocando a fare l’eremita in una partita a due con la tua solitudine. Le luci si possono spegnere con la vodka, con l’autostop, il tiro con l’arco. Le luci si possono spegnere con la codeina e coi cerotti alla morfina. Le luci si possono spegnere dopo un concerto. Il buio, quello vero, può arrivare mentre ti trovi in una donna.

Il buio lo puoi trovare ad un tavolo d’intellettuali alla “Lepre”, bevendo assenzio viola, parlando di collettivi artistico/cinematografici. In quell’ambiente ho sentito abusare del termine “poesia” milioni e milioni di volte. Sono tutti artisti, poeti, misantropi (solo alle feste e tra la gente), sono tutti tossici (senza crampi allo stomaco e dolori lancinanti alle giunture), sono tutti bohémienne (dopo aver ascoltato bohemian like you). Sono tutti così artisti da farmi odiare il termine ARTE. Molte ragazze sono lascive, perchè il termine puttana è fuori moda… pardon… non è cool.

Rollano le loro sigarette, discutendo di materie che non conoscono nemmeno lontanamente. Parlano, sbuffando fumo e niente. Il nulla più totale. Sono ribelli. Ribelli nei loro abiti logori/chic, ribelli nei modi effeminati alla Johnny Depp.

Chiunque non sia nella loro cerchia diviene un idiota, un non sofisticato; sono la versione sfigata degli sfigati che giocano a fare i fighi del liceo a trent’anni. Sono stupendi. Mentre si rollano le loro sigarette di Pueblo, bevendo cocktail annacquati, le  loro donne scopano con altra gente e in fin dei conti per quanto fiche possano essere, non scopano neanche bene. Sono belle ragazze, magroline e tette grosse, piene di ideali presi alla rinfusa da qualche libro che non mancano mai di far spuntare dalle loro borse, ma non c’è sostanza nell’atto. Manca l’impeto, la fame, la rabbia. È questo che manca a tutta quella gente… la rabbia. Le palle.

Stronzeggiano tutto il giorno accusando il loro spleen, quando dovrebbero accusare la loro mancanza di talento e dedizione. Hanno in mente idee geniali che rivoluzioneranno il mondo, come se il mondo accettasse di farsi rivoluzionare da una testa di cazzo qualsiasi, pronto a girare un corto a basso costo in una finta periferia o da uno scrittore che ambisce davvero, davvero, davvero ad arrivare al cuore della gente.  Hanno tutti il libro perfetto nella testa. Il film perfetto, l’angolatura perfetta, il quadro perfetto, mentre se si soffermassero a perfezionare un po’ di più la loro tecnica nel soddisfare le loro consorti farebbero realmente qualcosa di buono. Almeno per loro stessi.

Avanti con le crocifissioni di massa, ho le spalle larghe… lo posso sopportare. È una vita che combatto con questa gente, con queste persone che potrebbero uscire a cena col loro ego, per quanto sono dopati nel cervello.

La misantropia è un’arma a doppio taglio, ma anche uno scudo eccellente verso tutta questa voglia di sembrar migliori degli altri, questo parlare d’arte, arte e arte. Quando si ripete una parola per più di tre volte, questa finisce per perdere di significato e questa è una delle regole più maledettamente vere della letteratura contemporanea. tre

Eduardo De Filippo e Carmelo Bene | il dibattito | dramma italiano |

Nel documentario che andrò a proporvi quest’oggi, potrete vedere due esemplari della cultura italiana. Non voglio sembrare polemico, anzi… sì, lo voglio sembrare.

Sentir parlare Eduardo e Carmelo, significava sentir parlare la voce dell’arte, la voce della cultura del nostro paese. Forse non molti se lo ricordano, ma un tempo l’Italia aveva anche degli artisti, al posto dei “soliti idioti”, “Colorado” e tutto il resto.

Voi direte -Ma perchè devi criticare chi riesce?

Io potrei rispondere -Ma perchè riescono sempre e solo i soliti idioti, nel nostro paese?

Ve lo siete mai chiesti? Perchè Eduardo e Carmelo Bene volevano abbandonare l’Italia? Forse prevedevano  questo gusto estetico verso il nulla, verso le parolacce gratuite fini a dei fini ignoti, gli schiaffi, i vari “bestia” e “Aoh” di cui è fatta oramai la nostra cinematografia, il nostro teatro e la nostra letteratura?

Io credo di sì.

Credo fermamente che un paese come il nostro abbia veramente qualcosa da dare, esattamente come credo che in Italia non esista un pubblico decente, in quanto noi italiani siamo disposti a sborsare quattrini solo per quei film in cui si sente parlare di “buzzicozze” e buffonerie del genere.

Ecco a voi Eduardo e Bene, nella prima parte di uno storico dibattito:

Pozzetto, Di Caprio e Calà | Lo strano trio | di Ferdinando de Martino | Malaproduction87

Rec 04 - Pozzetto

Breve stralcio dell’intervista “Io Renato.” del mensile T.V. Notice.

Giornalista: Lei ha letto la lettera di Leonardo Di Caprio in cui si parla anche di lei?

Renato: Certo che l’ho letta. Non sono rimasto stupito… lusingato ma non stupito. Non è la prima volta che Hollywood dimostra interesse verso i nostri prodotti; a “Professione vacanze” sta succedendo esattamente quello che è successo al mio film “Da grande” quando venne trasposto sul grande schermo da Tom Hanks…

G: Cosa ricorda di quel periodo?

R: Beh, ricordo quando Amurri mi telefonò per dirmi -Renato… hanno copiato il nostro film!-. Io all’inizio non ci volevo credere, poi l’ho visto e non vi nascondo che su quella poltroncina di un cinema di periferia mi è scappato un doveroso -Eh la madonna!

Gli americani avevano rifatto un mio film senza chiedere nemmeno il nostro permesso. Ci rimasi molto male, poi… poi incontrai Tom a Venezia e decisi di cantargliene quattro. Mi avvicinai a lui, credetemi, ero davvero incazzato nero; ricordate che Tom non aveva ancora girato Philadelphia e Forrest Gump. Lui mi vede, mentre i fotografi continuavano a scattare foto e grida -Oh Rinaato!

Io rimango fermo, Tom allarga le braccia e sorride con quella sua espressione da eterno Peter Pan. Lo abbraccio e sorridendo gli dico -Eh, sì… Renato, Renato ma qui mi avete ciullato il film!

Tom mi da una pacca sulla schiene e continuando a sorridere chiede al traduttore di tradurre ciò che ha intenzione di dirmi. Il traduttore inizia a dire -Guarda, io ho spinto per realizzare un remake del tuo lavoro ma gli sceneggiatori hanno steso una loro sceneggiatura, denunciando il progetto come loro! Sono stato il primo a rimanerci molto, molto male. Credimi, io sono un tuo grandissimo fan… pensa che quando ho visto per la prima volta “Lui è peggio di me” ho pianto. Celentano e Pozzetto assieme… nemmeno con Buster Keaton e Chaplin avremmo potuto competere!

G: Commovente.

R: Sì… quindi non mi sono stupito affatto, quando ho scoperto che Di Caprio avrebbe rifatto “Professione vacanze”. Ma ti dirò di più… sai che parteciperò anche io al progetto?

G: Non ci posso credere, ma questo è uno scoop…

R: Sì, ma non parteciperò in veste di attore.

G: Produttore?

R: Eh, la madonna… mica son più ricco di Hollywood!

G: Sceneggiatore?

R: Compositore. In pratica un musicista americano, tale Jay-z mi ha chiesto di realizzare una cover Hip Hop di “Nebbia in val padana”. La faremo cantare a Rihanna, credo…

G: Fantastico… fantastico.

R: Sì, ma gli americani son così! Loro sanno riconoscere un buon prodotto, mentre noi italiani non facciamo altro che ignorare i nostri talenti! Pensa che una volta, credo alle tre del mattino, ricevo una chiamata, rispondo -Pronto, ma chi è?

-Eh, Rinato… sono Tom…

-We Tom, che succede?

-Rinato, sono un po’ preoccupato…mi hanno proposto un film, molto triste e non sono sicuro di essere in grado di gestire un film così carico di emozioni… si chiama Philadelphia.

-Eh la madonna… ma ti sei messo a far lo spot del formaggio con Kaori?

Tom scoppiò a ridere e decise che forse stava prendendo la vita troppo sul serio, accettò la parte e il resto è storia.

G: In pratica possiamo dire che la carriera di Tom Hanks è stata lanciata da te…

R: Non sta a me dirlo…

Ferdinando de Martino per Malaproduction87.

 

See also:

https://www.youtube.com/watch?v=Cd9tOzA5yxE

La risposta di Jerry Calà a Leonardo Di Caprio | di Ferdinando de Martino | Malaproduction87

Rec 03 - Libidine! 002

Scrivo questa lettera al “mondo del web” allegando una tanto piccola quanto meritata pernacchia. Scherzi a parte… si fa per ridere, dai.

In Italia siamo sempre pronti a criticare ciò che viene dal nostro paese; siamo talmente abituati a questo meccanismo che quando un americano come Leo dimostra interesse verso un nostro prodotto, caschiamo dal pero!

Ricordiamo, però, che noi italiani abbiamo sfornato anche delle pietre miliari come “Vacanze di Natale” e come direbbe il mio amico Abatantuono “e scus’ s’è poco!”.

Quando Leonardo Di Caprio mi ha telefonato per la prima volta, quasi non ci credevo:

-Ciao, sono Leonardo Di Caprio, Jerry… come stai?

-Eh, sì ed io sono il Zampetti…- risposi, credendo che quella fosse una presa in giro.

Quando ho capito che Leo era davvero interessato a “Professione vacanze” come prodotto da esportare, lì con una grandissima libidine, capii d’aver sbancato. Qui se fai comicità vieni quasi trattato come un Pirla, ma ricordiamo che se Guido Nicheli fosse nato ad L.A. avrebbe vinto sicuramente l’Oscar.

Cosa ci volete fare… invidiosetti del web? Viviamo in un mondo in cui Di Caprio e Nicheli non hanno mai vinto un Oscar, ma intanto tutti copiano le loro battute e il loro modo di fare.

Lavorare con gli americani sarà una vera e propria soddisfazione personale, poi Di Caprio è simpaticissimo dal vivo. Quando ci siamo incontrati la prima volta a Desenzano Del Garda, gli avevo preparato un pranzetto al top, con tanto di cotoletta alla milanesissima, immaginate la figura da pirla nello scoprire che il Leo è vegetariano. Roba da pazzi.

Poi, nel bel mezzo di una conversazione di lavoro con manager ed entourage video, Leo mi si avvicina e mi dice -Te lo devo proprio dire Jerry… in “Torno a vivere da solo”, quando rompi la quarta parete con quel tuo lapidario “libidine”, sei stato divino. Mi insegneresti a farlo? Sai… dovrò comunque interpretare il tuo ruolo sul grande schermo…-.

Gli americani sono così… loro chiedono e vogliono imparare tutto da tutti. Non immaginate che spasso vedere Leo con le dita al mento pronto a buttarsi in una libidine coi fiocchi, come un tuffatore in un doppio carpiato.

Abbiamo anche fatto una libidine incrociata, un po’ come se fossimo i Page e Clapton del cinema internazionale.

Poi ad un certo punto (e qui si vede tutto l’Actors Studio), Leo prende una brocca d’acqua e se la rovescia in testa! Tutti rimaniamo di sasso e non riusciamo a spiccicare nemmeno una parola.

Leo ci guarda e dice, sorridendo -Sciacquafreshhhhh!

Ragazzi… anni ed anni di lavoro per arrivare qui, al tavolo delle trattative con Hollywood per “Professione vacanze”… è una libidine pazzesca!

Ciao. Jerry.

Ferdinando de Martino per Malaproduction87.

 

See Also:

https://www.youtube.com/watch?v=Cd9tOzA5yxE

Omar Pedrini, il marinaio che indossa cicatrici e tatuaggi. | di Ferdinando de Martino.

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Il fumo di sigaretta stagnante a mezz’aria ricrea una sorta di nebbia artificiale, Omar entra nel backstage più con le movenze dell’amico di bevute che quelle del pioniere del rock italiano.

Saluta tutte le persone, addetti ai lavori, fans e infermierine sexy (sì… nel caso ve lo stiate chiedendo, i backstage sono esattamente come  ve li immaginavate).

Mi trovo lì con la “Cane giallo Entertainment” per realizzare un’intervista ad Omar al 261 Rock Club, lui si avvicina e mi chiede -Cos’hai mangiato?

-Guarda, niente… è la mia prima intervista e sono un po’ teso.

-Bravo, il lavoro prima di tutto.- risponde sorridendo, cercando di mettermi a mio agio.

Cosa diavolo ci facevo lì? Gli scrittori dovrebbero starsene a casa tra polverosi tomi che nessuno si piglia la briga di leggere o al massimo a tirar su qualche rissa in un pessimo bar; tuttavia, cliché a parte, quello era l’unico posto al mondo in cui desiderassi trovarmi in quel momento.

-Sai, Omar… io e te abbiamo qualche passione in comune. Io gestisco una piccola enoteca e so che tu ami il vino.

-No… e me lo dici adesso? Mi devi dare un biglietto del locale, un numero di telefono, così ti vengo a trovare.

Omar si prende un attimo per cambiarsi la maglietta. Spesso pensiamo che queste persone non esistano realmente; sentiamo le loro voci provenire da radio, computer e casse amplificate, quasi come se dietro alle loro ugole non ci fossero né corpo né anima. Il corpo di Omar è lì ed indossa tatuaggi e cicatrici come un marinaio che nella vita ha vissuto decine di tsunami.

Gabriele, il regista dell’intervista, chiede ad Omar -Hai un profilo che preferisci mostrare in video?

Omar sorride e risponde -Beh, sì… io e Kate Moss abbiamo i nostri lati migliori.- sedendosi tranquillamente sul divano utilizzato come set per l’intervista.

Manuel, fotografo ufficiale della Cane giallo Entertainment, accende baracca e burattini e siamo pronti per l’intervista.

Scrivere le domande per Omar è stato come portare a termine tutte e sette le fatiche di Ercole in una sola botta. Sebbene sia un grande appassionato di musica, in quanto scrittore, le parole sono l’unica cosa che tendo ad estrapolare dai dischi e i testi di Omar sono da sempre una sorta di perla luccicante all’interno dell’oceano di petrolio grezzo che continuiamo a chiamare “panorama musicale italiano”.

Omar, esattamente come tutti i collaboratori di Ferlinghetti (a sua volta collaboratore di Pedrini  all’interno del disco “Che ci vado a fare a Londra?”) ha capito che la formula vincente di un testo non è ciò che si racconta, ma il come lo sì racconta. Credetemi… questa è una tanto piccola quanto sostanziale differenza che divide i buoni scrittori da quelli mediocri.

Si parla dei Timoria, di Pop-art e di tutte quelle divagazioni che solamente una mente allenata riesce a sostenere prima di un concerto, senza mandare a fanculo tutti gli intervistatori.

Finita l’intervista parliamo qualche secondo dei miei libri e a quel punto non posso esimermi dal dire -Omar, nel mio primo libro ci sono due paragrafi che parlano di te…

-Eh, allora devo averlo… voglio averlo… ci tengo assolutamente!- risponde l’autore di “sole spento”.

Lì, l’ego già iper-nutrito di uno scrittore è esploso come un palloncino nel cielo.

Il concerto comincia. Omar sale sul palco e proprio in quel momento penso “cazzo, ma ho appena intervistato Omar Pedrini?”. È difficile da spiegare, ma ci vogliono circa quaranta secondi per dimenticarsi che l’Omar che si può incontrare per strada è lo stesso dei palchi, lo stesso di Ferlinghetti e lo stesso che nella tua stanza risuonava in continuazione dalle tue cuffie in quei momenti in cui il mondo non aveva poi tanta voglia di ascoltare i tuoi pensieri.

 

Ferdinando de Martino.