Settembre 2015

BAR-SOFIA | Filosofia da bar. #1

PREFAZIONE.

Tanto per cominciare: non sono un filosofo.

Non sono laureato in filosofia e tutto ciò che conosco e non conosco di questa materia, proviene esclusivamente dal mio striminzito bagaglio culturale e dagli studi delle scuole superiori.

Ad onor di causa dovrei precisare che i ricordi delle superiori sono alquanto annebbiati dalle canne e dalla birra.

Dio benedica lo spirito adolescenziale.

Sicuramente gli accademici e i laureati in filosofia troveranno da ridire sulle mie riflessioni, sorridendo, probabilmente, della banalità che si nasconde dietro le mie parole.

Voglio ricordare, però, che la cultura di questi accademici viene dalle borsette delle loro madri, disposte a pagare ingenti somme di denaro per permettere ai loro figli di crearsi un bagaglio culturale atto forgiare in loro una tempra morale, trasformandoli in individui migliori. Ecco… non credo che sorridere, vantando una cultura d’élite che non tutti possono vantare, per questioni economiche, sia un’azione degna d’una persona migliore della massa “ignorante” che ci circonda. Molto spesso le madri dei laureati in filosofia si accorgono dell’enorme cazzata che hanno fatto, mandando i loro figli all’università, quando al posto di eruditi e magnanimi studiosi, si ritrovano in casa dei supponenti e petulanti arrogantelli che solamente qualche cinghiata potrebbe raddrizzare.

Ricordo, inoltre, a questi accademici, che tutta questa ridondante cultura proviene da libri scritti da altrettanti accademici e credo che non ci sia bisogno di rammentare a questi geni della filosofia, che un certo Socrate detestasse con tutto se stesso i libri e l’arte dello scrivere.

Quindi, state pure sereni, Socrate avrebbe schifato sia  voi che me. Voi in quanto detentori di una cultura tratta dai libri e me in quanto scrittore.

Detto questo, auguro a tutti i non-eruditi una buona lettura.

Ferdinando de Martino.

 

Letture consigliate dall’Infernale:

 

IL BAR COME CONCETTO.

Il bar è uno dei più grandi cliché della narrativa. Cinema, letteratura tradizionale e a fumetti, televisione e teatro tendono ad utilizzare, spesso, il bar più come una sorta di concetto che come un luogo vero e proprio.

Se in un racconto o in una puntata del vostro serial preferito, un investigatore privato si trova all’interno di un bar è per via degli stereotipi che la sua figura rappresenta, rapportata al concetto di bar.

L’investigatore, al contrario del poliziotto, è quasi sempre un outsider (come spiega Poe in uno dei suoi saggi di scrittura) e come ogni outsider che si rispetti, scappa sempre da qualcosa; questo “qualcosa” potrebbe essere un passato da dimenticare, dei cari persi in qualche strano incidente e via dicendo. L’epicentro del discorso è “lo scappare”.

L’investigatore scapperà sempre da qualcosa o da qualcuno. Ora, l’escamotage del bar attribuisce allo “scappare” una nota di tragedia interiore; come se il bar fosse l’unico posto in cui l’investigatore può permettersi di “scappare” senza muoversi.

Quell’uomo avvolto dal suo trench, potrebbe bere in casa sua o addirittura nel suo studio, ma no… lui preferisce il bar.

 

BAR+INVESTIGATORE, genera  TRAGICITÀ

 

Ogni figura, nella narrativa,  ha una sua personale connotazione all’interno del bar. Una donna altolocata, che solitamente entra in un bar sempre e solo per cercare qualcuno, controllerà la polvere sul bancone e scruterà con sdegno il bicchiere di Coca Cola o acqua, che ordinerà solamente per educazione e non per sete.

L’arte, al contrario della filosofia, dev’essere lo specchio della società, mentre la filosofia rappresenta la lente d’ingrandimento di questa. Ecco perché l’arte e la filosofia sono da sempre alleate. In fin dei conti, sempre di lenti si parla.

Essendo l’arte, specchio dell’intera società, la riproduzione artistica del bar deve, in qualche modo, rifarsi all’idea reale di bar.  Questo vuol dire che il bar, altro non è che un luogo atto a stereotipizzare ogni individuo? Esatto.

Il bar è la perfetta riproduzione di una piazza greca. Al giorno d’oggi esistono molte piazze, Facebook è l’emblema di queste, ma al contrario del noto social network, il bar riesce a tirar fuori le nostre debolezze, cosa che Facebook cerca di eludere, mostrando i nostri bicipiti e le nostre cosce mentre fingiamo di essere ai Caraibi, durante un pernottamento a Spotorno.

Nei bar tutti hanno qualcosa da dire e lo fanno coi loro atteggiamenti.

Immaginate di trovarvi in questo preciso istante all’interno di un bar, diciamo… con un paio d’amici, intenti a farvi una birretta.

Vedete quel gruppo di ragazzi, lì? Due tavoli a fianco al vostro? Bene.

Sono in cinque e tutti stanno chiacchierando. L’argomento non è importante, quello che è importante è l’atteggiamento.

Se all’interno della comitiva, qualcuno inizierà ad alzare il tono della voce, magari ridendo o scherzando, ecco, quello è l’individuo più solo del gruppo. Ovviamente non sto parlando di un singolo episodio, ma di ripetute dimostrazioni di superiorità canora che andranno a dimostrare quanto da me sostenuto.

Che bisogno c’è di alzare la voce? Che bisogno c’è di essere quello che grida più di tutti, quando segna l’Inter? Che bisogno c’è di ordinare da bere con voce gutturale? La risposta è una ed una soltanto: la solitudine.

Il bar tende ad estremizzare tutto, specialmente quando si passa al secondo bicchiere; solitudine, terrore, amore, invidia, perfidia, tutto verrà estremizzato da quell’ambiente in cui la competizione è silenziosa e serpentina.

Molti sarebbero portati a credere che il più solo del locale sia il tizio che inizia a raccontare la propria vita al primo sconosciuto, ma non è così, in quanto chi ha qualcosa da raccontare, raramente alza la voce. Le tonalità alte rappresentano l’arma di chi non ha un cazzo da raccontare, perché quel poco che si ha, lo si cerca di vendere in maniera altisonante.

La voce degli ambulanti che gracchia dagli altoparlanti -Donne è arrivato l’arrotino.-, ne è la dimostrazione più eloquente.

Credetemi, amici… il bar smaschererà tutti, se gli darete il tempo di farlo.

Tutto il mio discorso si basa sull’apparenza e molti di voi saranno portati a pensare che giudicare dall’apparenza sia uno degli errori più grossolani per una persona. Beh, chi la pensa così, commette un grossolano errore di calcolo.

È stato M. Heidegger a dire -Ciò che non si manifesta nel modo in cui non si manifesta l’apparenza, non può neppure sembrare, esser parvenza.-, ed io la penso esattamente come lui.

L’apparenza descrive alla perfezione l’individualità dell’essere. Dall’apparenza possiamo dedurre i gusti musicali, le ideologie politiche e perché no, anche le tendenze sessuali.

Possiamo tranquillamente asserire che l’apparenza è, a tutti gli effetti, la carta d’identità dell’essere.

Il bar rende più semplice risalire all’essere, enfatizzando l’apparenza.

Addentrandosi in questa foresta di pensieri, si potranno scoprire una miriade di nozioni che potranno tornare utili all’animale da bar.

Il mercoledì sera, ad esempio, è più semplice rimorchiare nei bar. Prima di darmi contro, pensate a tutte le volte in cui avete rimorchiato in un bar o, se non è mai successo, pensate a tutte le volte che i vostri amici hanno rimorchiato all’interno di un bar.  Quanti di questi rimorchi hanno avuto luogo durante un mercoledì sera? Ecco.

Il motivo è semplice ed è estremamente radicato nella filosofia da bar: siamo la generazione della pausa.

Siamo i messicani delle generazioni. Prima di additarmi come razzista per aver sostenuto che i messicani siano pigri, lasciatemi il tempo di spiegare questa mia affermazione.

Chiunque sostenga che i messicani non sono pigri, o non ha mai conosciuto un messicano o non ha mai ragionato sulla derivazione del termine, spagnoleggiante, “siesta”. Se questo non bastasse, vi porterò un altro esempio.

I messicani hanno inventato uno strumento musicale chiamato Kahon, strumento che consiste, praticamente, in una scatola su cui sedersi. La musica nasce dal battere le mani sulla suddetta scatola. Ok. Dopo aver dimostrato di non essere razzista, ma solamente obbiettivo, posso tornare al saggio.

Siamo la generazione della pausa. I nostri videogiochi hanno sempre la possibilità di fermare il gioco per fumare una sigaretta e se credete che sia sempre stato così, non avete mai giocato a Pac-man.

Pac-man non aveva l’opzione pausa. Pac-man ti logorava il cervello. È per questo che i rimorchiatori degli anni ottanta uscivano di sabato e non di mercoledì; perché il fine settimana era dedicato al divertimento.

La nostra generazione ha bisogno di una pausa settimanale per “tirare avanti” e così, il mercoledì è diventato il giorno designato a questa pausa dallo stress della vita. E cosa fanno le donne quando sono stressate?

Adesso, probabilmente, mi ritroverò nella merda fino al collo: ehi, dopo i messicani non vorrai mica stereotipizzare anche le donne?

Amici, le regole del gioco non le ho fatte io… è stato il bar. Quel posto con le insegne luminose, tira fuori la verità dalle persone e se le donne sono più inclini a scacciare lo stress facendo l’amore non è colpa del sottoscritto. Gli uomini farebbero l’amore anche per scacciare l’amore stesso. Visto? siamo tutti degli stereotipi, no?

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Ferdinando de Martino.

 

Compra il libro dell’autore di BAR-SOFIA:

 

UROBORO | Ferdinando de Martino.

Eccoci qui. Uroboro è finalmente uscito.

I mesi che precedono la pubblicazione di un libro sono estremamente difficili per un autore.

Scrivere un libro porta via molto, molto, molto tempo.

Immaginate intere nottate di whisky e sigarette, passate davanti alla tastiera a comporre i versi del vostro spleen, ecco, queste sono tutte stronzate da immaginario collettivo. C’è stato qualcuno in grado di scrivere in questa maniera, ma non è il mio caso.

Questo libro è stato scritto con calma, con la tuta casalinga,  le pantofole e il mio cane, Sid Vicious, sul divano, intento a guardarmi come se al posto di uno scrittore non fossi altro che un Mozart silenziato, impegnato a battere le dita sui tasti di un apparecchio che non produce musica, se non nella testa delle persone.

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In questo libro ho voluto racchiudere il mio più profondo amore verso il mondo della letteratura; un mondo che in un certo senso mi ha salvato da me stesso.

Non ho mai cercato e mai cercherò qualcosa all’interno di un libro. È il mio mondo, quello in cui mi rifugio più spesso, ma in anni ed anni di letture non ho mai trovato nemmeno una risposta tra le pagine dei libri.

Compra UROBORO su Amazon: 

 

Un libro, per me, rappresenta l’opportunità più vicina al raggiungimento della telepatia. Quando si legge un libro, non ci si connette direttamente al cervello dell’autore, ma al cervello dell’autore nel momento in cui era intento a scrivere quelle pagine.

Hemingway non era lo stesso Hemingway del “Vecchio e il mare”, quando scriveva “Addio alle armi”. Leggere “Addio alle armi” crea una connessione profonda con l’Hemigway della prima stesura di quel libro; un Hemingway momentaneo che non tornerà mai più.

Il mondo ha davvero bisogno di un nuovo romanzo di Ferdinando de Martino? Certo che no. Quindi, se volete comprarlo, compratelo, altrimenti non fatelo.

Quello che posso dire, senza rubare troppo alla storia, è che Uroboro (Eretica Edizioni) è un libro strutturato in diversi linee temporali e racconta la storia di un padre e di un figlio, di una modella, di un cane, di un transessuale (il personaggio più impegnativo che abbia mai creato), di una giovane studentessa, di un conte e di una contessa. Uroboro è un libro che si morde la coda da solo.

Avete presente quando si dice: è stato un figlio voluto?

Ecco, Uroboro è stato un libro voluto.

Sentivo la necessità di scrivere quelle pagine è l’ho fatto. Non voglio aggiungere altro, tanto se seguite questo blog un po’ mi conoscete e saprete che da buon egocentrico potrei passare delle ore a parlare di un progetto.

Se volete conoscere la storia di Ermand D’Amela, non dovrete fare altro che comprare il libro, ordinandolo in libreria, su Amazon o comprandolo direttamente dal sito della casa editrice (link all’acquisto: COMPRA UROBORO), aiutando Eretica Edizioni a crescere.

Spero possa essere di vostro gradimento.

 

Cordiali saluti. Ferdinando de Martino.

 

 

You Media | Breaking Italy, quando youtube diventa informazione.

Quello che succede sul web resta sul web.

Spesso siamo abituati a pensare che il materiale prodotto per il cyberspazio debba rimanere relegato in un contesto relativo al “fai da te” mediatico.

Siamo sempre pronti a criticare uno show, un e-book o un qualsiasi contenitore d’informazioni multimediali per errori o inesattezze dovute all’autoproduzione, senza pensare all’incredibile sforzo che può rappresentare, per una singola persona, la produzione di un prodotto di video intrattenimento.

Credetemi, gestendo un blog posso assicurarvi che creare contenuti, controllare le fonti ed editarli, non è una passeggiata e molto spesso per farlo si è pagati una miseria o, addirittura, non si è pagati affatto.

I contenuti internet non ti vengono propinati da una programmazione stabilita da un gruppo aziendale, ma sei tu  in prima persona a scegliere cosa e quando fruire dei contenuti a te più consoni.

Adesso parliamo di un ragazzo e del suo canale youtube.

Il canale in questione è “Breaking Italy”, gestito da “Shooter Hates You” ( Alessandro Masala ).

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Breaking Italy è un programma di attualità e informazione, strutturato in base alle notizie che Masala raccoglie dal web, per creare uno show simile ad un telegiornale 2.0.

Questo canale offre una professionalità ai limiti del surreale (adesso gli haters inizieranno ad inveire su questa affermazione).

Lo show è distribuito a cadenza giornaliera, da lunedì a venerdì. In media uno youtuber
 attivo sul web pubblica dai due ai tre video mensili.

Dietro ad ogni video c’è un minimo di sceneggiatura, un percorso di video-editing e  la registrazione del materiale.

Producendo un video al giorno, utilizzando notizie sempre aggiornate, Masala è riuscito a mettere in piedi una vera e propria redazione in cui si occupa della scelta del materiale da proporre, della scrittura dello show, della produzione e della post produzione.

Questi ritmi sono impressionanti, e lo dice uno scrittoruncolo da strapazzo che si occupa di un semplice blog e di narrativa.

Grazie all’estenuante lavoro di Masala, il prodotto “Breaking Italy” è uno dei più professionali del panorama di Youtube Italia.

Ho iniziato a seguire questo show ormai quattro anni fa e ho avuto occasione di constatarne la crescita continua grazie alla volontà di un ragazzo perennemente pronto a mettersi in gioco, inventando format accattivanti e obbiettivi, attorno ad argomenti che spaziano dall’intrattenimento ludico alla politica.

Consiglio la visione di questo canale Youtube perché, da amante dell’informazione 2.0, credo che sia un ottimo alleato per un’informazione non di parte e soprattutto pulita.

 

Ferdinando de Martino.

Tennis, tv, trigonometria e tornado | David Foster Wallace

Andiamo dritti al nocciolo della questione: i saggi di David Foster Wallace sono sensazionali.

La capacità di analizzare le questioni, i temi e le sottigliezze della vita al microscopio filosofico/psicologico, fa di David Foster Wallace un saggista in grado di arrivare a dei picchi di precisione unici. Picchi che solamente chi cerca la matematica nella vita può concepire.

Sviscerare i contenuti, facendo a pezzi il razionale come se più che un saggista fossa uno speleologo dell’iper-razionale, era la strategia di Wallace.

David Foster Wallace

In Tennis, tv, trigonometria e tornado, l’autore esprime le sue opinioni sugli argomenti citati, con una meticolosità che di tanto in tanto riesce a mettere i brividi al lettore.

-È normale pensare così tanto, in direzioni così contrastanti col pensiero unilaterale?- è stata una delle domande che mi sono posto più e più volte leggendo i saggi dell’autore americano.

Prendiamo due brevissimi estratti in cui Wallace parla di geometria e tennis:

“Una dote ancora più grande era che mi trovavo totalmente a mio agio in mezzo alle linee rette. Neanche l’ombra della strana claustrofobia geometrica che dopo un po’ trasforma giovani e talentuosi juniores in sofferenti animali zoo.“

“Amavo la raffinata relazione delle linee rette più di ogni altro ragazzino con cui sono cresciuto. Penso che sia perché loro erano nativi di lì, mentre io mi ci ero trasferito quando ero piccolissimo da Ithaca, che era dove mio padre aveva preso il suo Ph.D. Perciò avevo conosciuto, seppure nella maniera orizzontale e semiconsapevole di quando si è bambini, era qualcosa di diverso: le colline alte e i tortuosi sensi unici dell’intero stato di New York.

Sono abbastanza sicuro che mantenni quella poltiglia informe di curve e dossi a fare da controluce laggiù in qualche anfratto lucertolesco del mio cervello, perché i bambini di Philo con cui giocavo e facevo la lotta, ragazzini che non conoscevano e non avevano conosciuto niente di diverso, non trovavano proprio nessuna traccia di assolutezza da fondazione utopistica nella disposizione planare dell’area cittadina, non ne apprezzavano per niente la precisione. (Senonché: come mai ritengo significativo che così tanti di loro siano finiti nell’esercito, a eseguire scattanti dietrofront in uniformi con pieghe affilatissime come rasoi?)“

Immaginate come possa evolversi una raccolta di saggi che analizza il tennis, la televisione, i tornado e la trigonometria se queste sono le premesse.

La parte più importante del saggio (secondo il mio parere) è quella relativa al regista David Lynch, amato da Wallace in maniera quasi compulsiva.

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Proprio in questo saggio l’autore mostre l’imparzialità del suo occhio, dedito allo studio di tutto ciò che è, anche vagamente, “studiabile”.

L’occhio esterno dà all’individuo la possibilità di osservare in maniera critica l’esecuzione di un qualcosa, in questo caso si parla della realizzazione del film “Strade perdute”.

David Foster Wallace, ammesso sul set di strade perdute per la stesura di un articolo su David Lynch, non ha parlato con il regista nemmeno una volta. Questo potrebbe sembrare assurdo a chi non ha mai letto niente dell’autore, ma non rivolgere la parola all’artista su cui si deve scrivere un articolo non era poi così azzardata come metodologia di lavoro per uno come Wallace.

la distanza, a volte millimetrica tra lui e il regista, ha dato all’autore la possibilità di scrivere un articolo sulla realizzazione di un film come se sul set non ci fosse nemmeno un giornalista.

Wallace, amante di Lynch,  riesce in qualche modo a tracciare il ritratto di un artista estremamente complesso, in maniera lineare ed iper-logica.

Personalmente, da amante di Lynch, posso asserire di aver capito molto di più David Lynch grazie al saggio di Wallace, piuttosto che leggendo il libro scritto in prima persona da David Lynch.

“A Tarantino interessa come viene strappato l’orecchio. A David Lynch interessa l’orecchio.”

Questa è la descrizione più calzante che abbia mai letto, relativa ai due cineasti americani.

La lettura di questo saggio è consigliata a tutti i lettori che annoverano fra i propri interessi almeno uno di quelli citati nel titolo dell’opera.

 

 

Ferdinando de Martino.

PAROLE DELLA NOTTE.

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Avete mai vissuto una di quelle notti?

Quelle in cui la solitudine è più una ricerca che una sconfitta. Ti ritrovi davanti al televisore, intento a guardare la vita di qualcun altro solamente per non venire troppo a contatto con la tua.

Come si combatte la notte? Con una spada? Con un bicchiere?

Chiedetelo a chi è abituato a perdersi. A chi giornalmente smette l’armatura per vestire i panni dell’arrivato, convinto che una posizione agiata rappresenti realmente qualcosa a cui ambire.

Cosa siamo veramente in noi? Dove andiamo quando la nostra testa si allontana dal corpo, inventando un mondo migliore in cui trasferire le nostre paranoie? Come fanno gli sconfitti a combattere sempre… nonostante tutto?

Butti le parole sulla carta come carbone nella caldaia di un vecchio locomotore, come se avere un’erezione letteraria servisse ancora ad eiaculare una qualche frase intelligente.

Cosa succede quando le domande diventano più interessanti della ricerca filosofica?

La poesia è mettere il burqa ai concetti.

 

 

 

Ferdinando de Martino.

La scopa del sistema | Rassegna David Foster Wallace.

Ok, lo faccio!

Inizierò a scrivere una serie di recensioni a tema: David Foster Wallace.

Per chi ha già letto libri dell’autore sarà semplice capire quanto sia difficile scrivere qualcosa su David Foster Wallace, mentre chi non ha mai letto nessuno dei suoi lavori non poterà capire a pieno quanto sia complicato scrivere una recensione dettagliata dei singoli lavori di Wallace.

Iniziamo con il suo primo romanzo “La scopa del sistema”.

Scritto a soli ventiquattro anni, La scopa del sistema è il romanzo d’esordio di David Foster Wallace.

David Foster Wallace

Il livello di scrittura è talmente alto da poter essere definito “il romanzo della vita”, ovvero quel romanzo capace di marmorizzare uno scrittore nell’Olimpo della letteratura, facendo si che qualsiasi suo manoscritto venga pubblicato in futuro. Per molti scrittori “La scopa del sistema” sarebbe, appunto, “il romanzo della vita” ma per quanto riguarda David Foster Wallace, questo non è il migliore dei suoi lavori.

Questo libro è semplicemente perfetto

Partiamo con l’incipit:

Molte ragazze davvero belle hanno dei piedi davvero brutti, e Mindy Metalman non fa eccezione, pensa Lenore, all’improvviso.

Il lettore viene proiettato all’interno dell’io della protagonista e automaticamente capisce che si tratta di una donna “carina ma non bella”. Quel ( ,pensa Lenore, ) serve appunto a farci capire fin dall’inizio il punto di vista di una delle tante voci narranti della storia.

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Lo stile di quest’opera è riconducibile ai canoni del realismo isterico e del postmodernismo. I continui cambi di prospettiva e la costruzione accurata e metodica di ogni singolo personaggio è sintomatico di una mente profondamente tecnica.

In questo libro la storia, sebbene estremamente interessante, passa in secondo piano, regalando al lettore la possibilità di entrare dentro le menti di ogni personaggio, imparando a conoscere attitudini e impostazioni caratteriali grazie a lunghi flussi di coscienza e dialoghi “pulp”, tipici del postmodernismo.

La storia, teoricamente, ruota attorno alla sparizione della bisnonna di Lenore, chiamata a sua volta Lenor, ma in realtà la storia è solamente un pretesto per trasportare il lettore all’interno di quello che rappresenta meglio l’immaginario di Dawid Foster Wallace: la realtà soggettiva messa a confronto con quella oggettiva.

Non ci sono veri inizi e veri finali all’interno dei romanzi di Wallace, bensì micro universi. La struttura della Scopa del sistema è un insieme di pensieri, dialoghi, sedute psicanalitiche, trasmissioni televisive e stralci di racconti scritti da scrittori fittizi.

Personaggi come La Vache, fratello di Lenor (detto anche l’anticristo), o Vlad l’impalatore, pappagallo che inizia a parlare più del dovuto, affrontando temi che spaziano dall’erotismo fino a monologhi da fervente religioso, riescono a descrivere la singolarità grottesca che si anela all’interno della mente contorta del compianto autore.

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L’ossessione verso la costruzione dei personaggi è in Wallace il centro di un lavoro basato su di una cultura enciclopedica messa a disposizione del singolo, sulla carta, ma che stagna, nella sua totalità, in una qualche zona recondita della mente di Wallace stesso. Ho sempre trovato inquietante questa capacità mnemonica di Wallace.

Se troviamo un calzolaio all’interno di un suo libro, è probabile che Wallace avesse imparato tutto sull’arte della calzoleria, anche se il personaggio in questione fosse un calzolaio ignorante in materia.

I micro-cosmi che incontreremo all’interno delle pagine di questo libro ci faranno viaggiare nella complessità del pensiero umano, facendoci analizzare la singolarità direttamente dal punto di vista del singolo un po’ come se fossimo tutti dei guardoni emozionali.

La storia d’amore di Lenor con il suo capo Rick Vigorius, si addentra nell’oscurità dall’anima di tutte le coppie del mondo, mettendo in piazza l’ossessione d’inchiodare la persona amata più per guardarla come una semplice proprietà  che come un’entità pensante e tridimensionale.

Le opere di Wallace sono caratterizzate da un complesso strato paranoia letteraria che porterà il lettore a non capire niente per dieci, venti o addirittura settanta pagine e poi, grazie a qualche input generato da un dialogo o da un pensiero, tutto acquisirà un ordine ben preciso nella testa del lettore. Questa, secondo il mio modesto parere, è magia e non semplice letteratura.

Il titolo “la scopa del sistema” viene da una delle teorie di Lenor… no, non quella Lenore, ma la bisnonna della Lenor protagonista del romanzo.

Questo libro rappresenta il sensazionale esordio dell’autore più cervellotico del pianeta.

La scopa del sistema è il romanzo che ogni scrittore dovrebbe scrivere almeno una volta nella vita.

 

Ferdinando de Martino.

Filosofia da bar | Scrivi il c#### che ti pare.

Avete mai avuto una strana idea?

Parlo di quelle idee che solamente a pensarle vi sentite un po’ stupidi… figuriamoci a parlarne.

Bene… forse mi potete capire.

Avendo maturato negli ultimi anni l’intenzione di provare a dedicarmi a tempo pieno alla scrittura, mi sono trovato davanti ad un bivio: cosa voglio scrivere?

Credo che questa sia la domanda che ogni scrittore dovrebbe porsi, almeno una volta nella vita.

La risposta che mi sono dato è molto semplice -Voglio scrivere tutto quello che mi passa per la testa.-.

I miei ultimi progetti sono nati quasi tutti così… tutto ciò che ho immaginato è finito nel mio computer.

Uroboro, il mio romanzo in uscita per Eretica edizioni, il fumetto/disco musicale ZETA, scritto in collaborazione con mio cugino Daniele Nicoletti (musicista eccezionale) e una graphic novel horror, scritta e disegnata per la testata on line Yepper, dal nome Genesis.

Ho pensato e prodotto, senza domandarmi: ma questa roba piacerà a qualcuno?

Fare questo lavoro vuol dire farsi il culo più di tutti gli altri. Scrivere per siti che ti pagano 0,08 centesimi a parola, gestire un blog, produrre materiale da vendere al pubblico, mantenendo attivi una serie di servizi gratuiti, sperando di guadagnare qualcosa dalle affiliazioni e dalle pubblicità. Fare lo scrittore, senza aver partecipato al Grande Fratello o senza essere un D.J. famoso vuol dire farsi il culo.

Questo modus operandi (fai tutto quello che ti viene in mente) mi ha portato ad iniziare un saggio dal probabile nome “BAR-SOFIA”, un saggio che rapporta la filosofia al bar.

L’idea mi è venuta leggendo Thompson e il suo “giornalismo gonzo” in una notte d’estate. Se esiste il giornalismo gonzo, perché non può esistere anche la saggistica speculativa in stile gonzo?

Così ho deciso di raccogliere le mie misere nozioni filosofiche e di schiaffarle dentro ad un progetto che sconsiglio vivamente a tutti i cervellotici studenti di filosofia con la puzza sotto il naso.

Come al solito ci saranno degli estratti dedicati al web e la possibilità di comprare l’e-book, perché tutti i miei progetti in vendita rimangono in vendita, mentre ciò che viene buttato sul web è a semplice scopo illustrativo e, soprattutto, divulgativo.

Il web dovrebbe servire come interscambio d’opinioni, tipo -Bella merda che hai scritto, stronzo… tu non ne sai un cazzo di filosofia.-, o –Eri meglio quando scrivevi romanzetti pieni di sesso, droga e qualunquismo.-, tutto fa brodo… come dicono le nonne.

Ecco, il web è come il brodo, ti riscalda il pancino fino a quando non viene pisciato via.

Gli scrittori crescono esattamente come tutti gli altri artisti e sì, ho utilizzato il termine “artisti” perché dopo tanti anni sono riuscito a fare la pace con questo appellativo da strapazzo.

Passo e chiudo… adesso torno a scrivere per 0,08 fottutissimi centesimi a parola.

 

Ferdinando de Martino.

Gestire un BLOG | l’importanza del diario.

Che tu sia uno scrittore o un blogger poco importa, ciò che davvero ti renderà unico sarà il tuo diario.

Tenere un diario è la palestra dello scrittore. Quando parlo del diario, in realtà mi riferisco a due diverse tipologie di diari o quaderni o come diavolo preferite chiamarli.

Il primo diario dovrebbe essere quello in cui si annotano le riflessioni e gli spunti per gli articoli o le linee guida per la stesura di un romanzo. Segnare tutto quanto su carta è di vitale importanza per dare al nostro cervello la possibilità di dimenticare ciò che abbiamo pensato, dandogli la possibilità di creare nuovi pensieri.

               TENERE UN DIARIO È LA PALESTRA DELLO SCRITTORE

 

Questo “creare” in continuazione, però, non è sempre un bene. L’ottanta per cento di ciò che andremo a pensare sarà semplice spazzatura intellettuale con qualche piccola pepita d’oro sparpagliata nel pattume.

Proprio per questo il secondo diario è quello più importante per uno scrittore, perché la vera palestra dello scrittore è lo scrivere di getto o, se vogliamo metterla meglio,  il flusso di coscienza tanto caro a Joyce.

Lavorare al secondo diario sarà un po’ come buttare l’immondizia, per poi fare un cernita di ciò che potrebbe essere rielaborato sul primo diario e, eventualmente, finire su di un blog che gli utenti andranno a leggere.

L’allenamento continuo è anche una delle migliori armi per combattere il famigerato blocco dello scrittore, drago che da sempre cerca di abbrustolire i cavalieri della letteratura.

La vostra penna sarà una lancia che dovrete usare per sconfiggere il suddetto drago, impedendo al blocco di minare la vostra autostima.


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Il segreto di un buon blog è la continuità, legata alla creazione di contenuti che i vostri lettori troveranno utili. Ricordate che un blog non vive sulle visualizzazioni momentanee, sebbene tutti noi attendiamo con ansia che il contatore delle visite giornaliere salga a dismisura, ciò che mantiene in vita un blog è l’affluenza continua del suo pubblico.

                           L’ALLENAMENTO CONTINUO È L’ARMA MIGLIORE

Analizzare le richieste del pubblico creerà un rapporto diretto tra blogger e utenti, lasciando che la connessione tra menti divenga più importante delle connessioni ADSL.

Ovviamente ci sono delle tecniche mirate per la creazione di contenuti, per queste ho intenzione di scrivere un articolo a parte, sperando che possa risultare utile a qualcuno.

 

Se ti è piaciuto l’articolo, forse può interessarti: COME PUBBLICARE UN LIBRO

 

Ferdinando de Martino.

 

Scrittura creativa | LA CREAZIONE DEL PERSONAGGIO.

Per la creazione di un personaggio bisogna avere le idee ben chiare.

Ricordate che gli atteggiamenti di un protagonista vanno ad influire sulla capacita del lettore d’immedesimarsi o non immedesimarsi nel vostro figlioccio di carta stampata.

In una serie di racconti gialli da me scritti per il pubblico del web, la serie con protagonista Federico Nicoletti, gli atteggiamenti del protagonista hanno decretato il successo (per i canoni del web) del prodotto.

Quando creai il protagonista della serie, mi affidai ciecamente alle pagine di un saggio di Poe, in cui l’autore spiegava che in un racconto giallo, il protagonista deve sempre essere un outsider che vive la sua vita al di fuori dell’apparato di polizia. Questo dà al protagonista la possibilità di eseguire azioni illegali, per arrivare ad un fine che giustifichi il suo atteggiamento poco convenzionale.

Questo è un consiglio di base, perché il vero dramma è il carattere. L’unica tecnica che conosco è quella di entrare nella mente del mio personaggio (protagonista o semplice comparsa), cercando di captare i suoi pensieri e, soprattutto, i suoi atteggiamenti e i suoi gusti.

                                                   IL VERO DRAMMA È IL CARATTERE.

 

Cosa ordinerà al ristorante? È vegetariano? È etero o gay? Quale squadra tifa? Dorme bene la notte? Pensa mai al suicidio? Quali saranno le sue idee politiche? Preferisce una dieta a base di carboidrati o proteine?

Queste sono domande poco utili ai fini della storia, ma conoscere a fondo il nostro personaggio ci aiuterà a farlo muovere con più dimestichezza nell’universo che gli andremo a disegnare attorno.

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Ricordatevi che creare un personaggio è un po’ come mettere al mondo un figlio e che ogni comparsa merita la dovuta attenzione.

Entrare nelle paranoie, nelle ossessioni e nelle elucubrazioni del vostro personaggio  in questione, vi renderà una sola cosa e riuscirete “assieme” a gestire le pagine del romanzo o racconto a cui state lavorando.

                                                    Entrate nelle sue ossessioni.

Sviluppare empatia verso una storia è praticamente impossibile e i personaggi sono l’unico appiglio emotivo per rendere viscerali le situazioni; perché un proiettile volante che colpisce un uomo al bar è niente, mentre un proiettile che colpisce un padre di famiglia, col vizio del gioco, che quel giorno aveva vinto il primo premio della lotteria, nascondendo alla moglie la sua giocata per paura che questa lo sgridasse, è un ottimo inizio per una storia.

 

Ferdinando de Martino.

Wayward Pines | La serie “stranamente” bella.

Con Wayward Pines, il ritorno delle serie televisive ben concepite è servito.

Basta guardare il primo episodio per sentirsi rapiti da una trama che, pur servendosi di un citazionismo estremo, è accattivante e ben studiata a tavolino.

Il primo punto a favore di Waywar Pines è che la suddetta serie è auto conclusiva e Dio solo sa quanto io ami le serie auto conclusive.

Molte delle serie televisive che ho adorato, sono terminate in una serie di cliché già visti e sentiti in milioni di altre produzioni tirate per le lunghe dai nazi-network dell’intrattenimento.

Wayward Pines inizia con un’atmosfera molto simile a Twin Peaks, tutto  ricorda quelle situazioni lynchane, ma non mi dilungherò sulle svariate similitudini tra i due prodotti.
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La serie è tratta dalla trilogia di romanzi di Blake Crouch, ispirati appunto a Twin Peaks, ma le similitudini con tale prodotto finiscono praticamente subito, in quanto la trama dello show capovolgerà la sceneggiatura a tal punto da creare una sorta di frullato di generi televisivi.

I colpi di scena sono scioccanti e Mat Dillon si dimostra, come sempre, un attore capace di vivere un ruolo sulla propria pelle, senza mai sfociare nella macchietta. All’interno della serie sono presenti numerosi volti noti di Hollywood, quali Juliette Lewis, Carla cugino, Shannyn Sossamon e Terrence Howard.

Il filone narrativo è frammentato ed elaborato per minare le sicurezze dello spettatore che si sentirà coccolato da una sensazione di possibile presa per il culo (come in Lost), tuttavia, questo prodotto risponderà ad ogni vostra domanda, spiegando ogni singolo dettaglio all’interno della storia (che poi è quello che non è successo in Lost).

Ibrido tra Lost e Twin Peaks, dalle atmosfere cupe ed inquietanti, non risparmia al pubblico anche quel po’ di azione ed esplosioni tanto amate dagli americani.

Wayward Pines è senza dubbio uno show che vi consiglio di visionare, soprattutto se siete dei fanatici di David Lynch.

 

Ferdinando de Martino.

On Writing | Autobiografia di un mestere. Stephen King

Chi mi conosce bene, probabilmente, rimarrà di stucco davanti alla seguente affermazione: “On Writing” di Stephen King è la bibbia dello scrivere.

Personalmente non sono un fan del Re, sebbene abbia trovato alcuni dei suoi titoli (tra cui uno di cui sto terminando la lettura) semplicemente straordinari.

On Writing (autobiografia di un mestiere) è senza dubbio un libro basilare per chi desidera cimentarsi nel difficoltoso mestiere del produttore di buona narrativa.

Ci sono due motivi per cui reputo questo saggio sullo scrivere una vera e propria bibbia:

1 È di Stephen King, l’autore più tradotto e venduto del pianeta e se uno scrittore di narrativa è presuntuoso a tal punto da ignorare i consigli di King, probabilmente non merita il successo editoriale.

2 King è un metodico e la metodicità è l’unica vera arma di uno scrittore. Questo libro sottolinea l’importanza della metodicità nella lettura e nella scrittura e, sebbene possa sembrare una cosa banale, uno scrittore non dovrebbe mai prendere sotto gamba il continuo allenamento del suo cervello.

Prima di leggere questo saggio avevo una visione distorta del lavoro di King, lo immaginavo freddo e chirurgico, un po’ come se l’autore fosse una sorta di nemesi di Hemingway. Dopo aver letto On Writing, la mia visione è cambiata totalmente e posso asserire che, almeno nel metodo, King è diventato uno dei miei punti di riferimento.

Consiglio ad ogni scrittore ed aspirante tale, la lettura di questo saggio scritto con una mano sulla macchina da scrivere e l’altra sul cuore.

 

Ferdinando de Martino.

Come pubblicare un libro.

Il mondo è cambiato e con lui è cambiata anche l’editoria tradizionale.

Spesso uno scrittore vive il sogno della pubblicazione come una sorta di meta a cui ambire, quando in realtà la pubblicazione altro non è che il punto di partenza.

Partiamo subito togliendoci un sassolino dalla scarpa: evitate le case editrici che chiedono compensi agli autori.

Ricordate che il lavoro dello scrittore è e rimane lo scrivere, quindi per scrivere si può essere pagati e non bisogna mai pagare per farlo.

Tutti gli scrittori hanno iniziato partecipando al finanziamento delle loro prime opere a meno che questi non fossero dei personaggi televisivi, in grado di assicurare alla casa editrice un certo numero di vendite.

Nessuno vi pubblicherà qualcosa che non ha un potenziale di vendita.

Come fare a pubblicare, allora?

In realtà è molto semplice. Il trucco sta nello scrivere sempre. Mi spiego meglio…

Se scrivete molto, per ogni manoscritto che un editore vi rifiuterà, ne avrete altri tre da proporgli e questo andrà a dimostrare, in primo luogo, che non siete dei semplici autori da un colpo in canna e in secondo luogo, questo procedimento vi farà crescere come scrittori.

Scrivere non basta, però, per farvi pubblicare. Per far si che un editore dica -Questo io lo pubblico.- dovete avere una base di lettori.

Voi direte -E come diavolo me la costruisco una base di lettori, se non mi pubblicano?-.

Nel mondo 2.0 non c’è bisogno di essere pubblicati per crearsi una base di lettori, basta prendere ciò che si scrive e buttarlo in un blog.

Gestire un blog è semplice ed istantaneo, vi permetterà di far conoscere ai lettori le vostre opere e, soprattutto, di pubblicizzare i vostri eventuali romanzi pubblicati con case editrici.

Quando un lettore si vede coccolato con rubriche e storie gratuite, probabilmente, finirà per comprare il vostro scritto, anche per ringraziarvi del lavoro svolto sul vostro blog personale a titolo gratuito.

 

Creare contenuti è molto semplice, basta prendere tutto ciò che gli editori scartano. Prendiamo ad esempio i racconti. Nessun editore pubblica racconti, semplicemente perché questi vendono ancora meno della poesia e la poesia, purtroppo, non vende un cazzo.

Se, però, avete seguito il mio consiglio e avete scritto in continuazione decine e decine di racconti, iniziate con quelli a spammare i vostri social network preferiti creandovi una base di lettori. Dimostratevi attivi su internet, commentate i racconti e gli articoli che vi piacciono e invitate gli altri scrittori a leggere i vostri racconti.

Dopo un anno di lavoro estenuante, basterà cercare il vostro nome su google per vederlo schizzare in cima ai siti di letteratura, quindi un editore, cercando il vostro nome su internet dirà -Diavolo, questo qui è conosciuto.-.

Il secondo passo è quello più importante, cercate di creare degli ebook  e metteteli in vendita su Amazon, Itunes, sul vostro blog in formato PDF e Kobo store. Perché? Semplice, perché così chi ama i vostri lavori potrà comperare qualcosa di non gratuito se lo riterrà valido, in caso contrario continuerà a leggere gratuitamente i vostri articoli su internet e voi continuerete ad accrescere la vostra fama sul web.

Se avete venduto degli E-book, pur pubblicando del materiale gratuito su internet, un editore non riuscirà ad ignorarvi, sempre ammesso che il vostro prodotto sia valido.

A quel punto verrete pubblicati e il vostro nome comincerà a girare ancora di più e qualcuno potrebbe arrivare al vostro blog, dopo aver letto il vostro libro e questo potrebbe portarlo a comprare i vostri E-book su Amazon.

Credetemi, strumenti come Amazon e Kobo store, vi risulteranno utilissimi per farvi conoscere ed essenziali per presentarvi ad un editore.

Personalmente consiglio vivamente di bilanciare le pubblicazioni con case editrici con quelle indipendenti del web, mantenendo una certa coerenza con i propri lettori.

E in ultimo, cercate di ricordare una cosa essenziale: si scrivere per i lettori e non per i letterati.

I letterati, sono quasi sempre degli stronzi.

(Se per caso foste interessati a conoscere il nome di qualche casa editrice seria, scrivetemi pure in privato o nei commenti e sarò felice di rispondervi.)

Ferdinando de Martino.

 

Il lupo e il filosofo | Letture consigliate.

Di tanto in tanto mi capita ancora di trovare dei libri in grado di stupirmi.

Questo succede quando mi trovo davanti ad un lavoro sincero. La sincerità è un qualcosa che difficilmente si può incontrare in letteratura.

Solitamente gli scrittori tendono a nascondere ciò che vogliono dire, piazzando le loro mine emotivo/esistenziali dietro ogni sorriso e smorfia dei personaggi di un romanzo o di un racconto e questo è il motivo per cui la sincerità è molto rara in letteratura.

In questo libro, al contrario, si può trovare un qualcosa che va ben oltre il concetto di sincerità letteraria.

Il lupo e il filosofo, edito da Mondadori (che di tanto in tanto pubblica roba decente, solo ed esclusivamente quando questa ha già riscosso successo oltre oceano e, quindi, non rappresenta nessun rischio editoriale)  è un piccolo capolavoro.

A metà tra speculazione filosofica e vita romanzata, il professore di filosofia  e autore di svariate pubblicazioni, Mark Rowlands, ci racconta con una purezza di spirito ai limiti del surreale, undici anni di vita passati a stretto contatto con un lupo.

Non mi dilungherò più di tanto sull’estetica dell’opera, in quanto la forte componente speculativa supera di gran lunga l’espediente narrativo, sebbene l’autore avrebbe tutte le carte in regola per dedicarsi alla narrativa di genere, almeno secondo il mio modesto parere.

Rowlands utilizza le pagine come se queste fossero delle piccole aule in cui spiegare cosa, in undici anni, lui ha imparato da Brenin, il suo lupo.

Lo studio approfondito di diverse specie animali, comparate sempre al lupo e all’uomo, da all’autore la possibilità di spiegare e definire in maniera estremamente elegante, alcuni atteggiamenti del genere umano.

Questo libro è una piccola perla in un mare di cozze radioattive, pubblicate dai grandi mostri sacri dell’editoria italiana, quindi vi consiglio vivamente di prenderlo in considerazione per le letture autunnali.

Se foste interessati all’acquisto dell’opera, vi allego il link Amazon a fine articolo.

Buona lettura.

Ferdinando de Martino