Marzo 2016

Alcol e scrittura | Il matrimonio infernale

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Sin da quando il primo uomo prese in mano la prima penna, probabilmente accanto al foglio bianco  riposava un bicchiere di scotch.

Il più grande pericolo per una storia è il diventare un cliché, a meno che uno scrittore non sappia gestire le banalità con una narrativa tagliente come la lama di una spada orientale.  Il problema dell’intera questione è che gli scrittori sono quasi tutti dei cliché ambulanti.

Quello di cui andremo a parlare oggi, è uno dei rapporti più complicati della storia dell’arte, ovvero, quello tra lo scrittore e la bottiglia. L’argomento è delicato e spero di non banalizzarlo, riducendolo ad una macchietta ironica su quanto sia bello vivere in maniera dissoluta, vomitando la propria anima ogni  sera.

Non voglio dilungarmi sul mondo dell’arte e sulle droghe, perchè preferisco focalizzarmi sull’atto dello scrivere e sul gesto del bere.

Innanzitutto non dobbiamo cadere nel tranello della semplicistica retorica legata allo scrittore povero che beve come un dannato, perchè l’alcol ha tenuto sotto scacco sia Kerouac che King, quindi la scusa della mancanza di liquidità non regge.

Sicuramente l’insuccesso può condurre al bere, ma io penso che l’anima di questo problema sia radicata più in profondità.

Scrivere è molto spesso un mettere a posto. Quante volte, davanti ad un rapporto ormai deteriorato dal tempo, vi siete trovati a pensare -Adesso mi metto a scrivere una bella lettera per rimediare a tutte le mie cazzate.-?

Rimettere a posto le cose è un’attitudine sintomatica di chi è abituato a mettere in disordine per indole.  Quindi la vera domanda è: forse, al posto di chiederci perchè la maggior parte degli scrittori bevono, dovremmo chiederci se lo scrivere non è spesso una semplice conseguenza del bere?

Con questo non voglio dire che per diventare uno scrittore devi attaccarti ad una bottiglie e attendere che le parole compaiano sul monitor, quello che intendo è che  è più facile mettersi a rassettare dopo aver creato del disordine attorno a noi.

Se ci ragioniamo bene i più grandi romanzi della letteratura sono delle semplici ed imponenti lettere di scuse indirizzate al genere umano. Lettere in cui il soggetto è sempre lo stesso: una persona inadatta alla vita, ma convinta di potersi riscattare regalandoci quello che ha in testa in una forma vagamente infiocchettata.

Questo ragionamento lo si può fare se si conosce bene uno scrittore o almeno la sua vita.   Spesso un manoscritto ha il semplice compito di creare nella testa del lettore un unico interrogativo: forse quella persona non è poi così male se ha in testa tutta questa roba…

Vedete, molto spesso l’attitudine del bevitore è molto comica vista dall’esterno. Chi non si è fatto una risata quando ha scoperto che Fitzgerald da ubriaco chiese ad Hemingway di dare un’occhiata al suo pene per dirgli se secondo lui fosse o non fosse un pene dignitoso?

Il lato nascosto, la faccia della medaglia segreta o il dark side of the moon di questa pessima abitudine non è per niente comico.

Bere è solitudine, tristezza, male e dolore.

Bere è accorgersi dei propri limiti e superarli in continuazione, solamente per vedere che effetto fa.

Bere è distruggere i rapporti sociali e non concepire una vita sobria.

Bere è una cosa che uno scrittore può fare, continuando a scrivere, mentre l’eroina o il crack non ti permettono di restare attivo davanti alla tastiera.

Bere diventa l’armatura di cui non siamo stati dotati alla nascita.

Non so dirvi se ci sia una qualche correlazione tra l’alcol e la testa di chi crea tanto, perchè scrivere è fondamentalmente creare.

L’unica cose che credo di aver capito è che la voglia di mettere a posto arriva solamente dopo aver sputtanto tutto.

 

 

Ferdinando de Martino.

 

Animalisti contro Giuseppe Cruciani |chi sono i nuovi facinorosi?

Giuseppe Cruciani con un coniglio morto.

Giuseppe Cruciani contro gli animalisti.

Certe notizie riescono ancora a strapparmi un sorriso, soprattutto perché non essendo un giornalista, bensì un blogger, posso tranquillamente permettermi di lasciarmi trasportare dalle emozioni e questa, credetemi, è una grandissima conquista che solamente la stampa digitale indipendente può vantare.

Ci sono diverse chiavi di lettura per interpretare i fatti avvenuti negli ultimi giorni, fuori dagli studi di Radio 24, ma quella che preferisco è la seguente: un gruppo di figli di papà con un mucchio di tempo da perdere ha tentato di assalire un giornalista.

Per chi non avesse seguito la vicenda, farò un breve riassunto in stile serie televisiva: nelle puntate precedenti Giuseppe Cruciani, giornalista e conduttore della trasmissione a sfondo politico “La Zanzara“, ha iniziato una guerra ideologica contro gli animalisti, esercitando il suo diritto a mangiare carne. Questa guerriglia ideologizzata è arrivata a toccare punti grotteschi, come la presenza di un coniglio morto all’interno della trasmissione del noto conduttore.

Ora, non voglio assolutamente additare gli animalisti in maniera negativa, anche perchè dubito che tutti gli animalisti siano uguali; anche io ho un breve passato da vegetariano e sono, ad esempio, uno dei più grandi detrattori del circo. Tuttavia vorrei muovere una critica al gruppetto di perdigiorno che ha cercato di aggredire Giuseppe Cruciani.

Partiamo da un semplice principio: Cruciani si trovava a lavoro, mentre gli animalisti bighellonavano sotto gli studi di Radio 24, quindi possiamo dire in tutta tranquillità che questi amanti degli animali non avevano da lavorare quel giorno.

Quando un attivista dedica così tanto tempo all’attivismo, senza andare a lavoro è per forza di cose un ricco, pieno di tempo da perdere in questioni estremamente futili.

Il lavoro di Cruciani è quello di fare (a suo modo) informazione. Sono il primo a definire “particolare” l’attitudine del conduttore alla professione del giornalista, ma bisogna ammettere che in quanto a professionalità nessuno può rimproverare niente a Cruciani, perchè i numeri del suo show parlano da soli.

Ebbene sì, sto parlando di numeri. Lo so che gli hippie non capiranno questo discorso, ma una rivista, un blog o un canale televisivo, vive esclusivamente grazie ai numeri che riesce a portare a casa. Questi numeri vengono tramutati in sponsor, collaborazioni remunerate e denaro (quella cosa che esce dai portafogli dei genitori degli ambientalisti in questione).

Perchè mi sto accanendo così tanto su questo gruppetto di pacifisti/picchiatori? Perchè quelli come loro cercano da sempre di annientare chi prova a fare qualcosa della propria vita e lo fanno con la violenza.

Perchè per quanto possano sentirsi diversi dai picchiatori fascisti o dalle guardie rosse, questi ragazzetti viziati a assuefatti dalla pessima informazione, sono l’esatta riproduzione dei modelli appena citati.

Gridare -Stronzo figlio di puttana.- invadendo uno studio per picchiare un conduttore radiofonico, perchè ha tra le mani un salame è IGNORANZA. Non si può descrivere diversamente.

Chiunque voglia combattere il sistema, può farlo creando controcultura: volantini, blog, le care e vecchie fanzine e chi più ne ha più ne metta.

La violenza in questi casi non è una risposta se non alla domanda: ma il vostro Q.I. supera il 4?

 

 

 

Ferdinando de Martino.

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Ghost writer | Vuoi un lavoro da scrittore?

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Ghost writer, il lavoro dello scrittore fantasma.

In questo mondo nessuno ti regala niente e se vuoi lavorare come scrittore e meglio che abbandoni subito il  sogno di diventare ricco coi tuoi romanzi.

In Italia gli scrittori che vivono di libri si contano sulle dita di una mano e gli altri si dividono in due categorie, quelli che fanno dell’altro e vivono la scrittura come un hobby e quelli che invece sono disposti a scrivere merda.

Cos’è la merda?

La merda è la robaccia che giornalmente si è costretti a scrivere per guadagnare qualche soldo.

Su internet sono presenti decine e decine di articoli che spiegano come guadagnare facendo lo scrittore, illustrandoti passo per passo tecniche che sono semplicemente FUFFA.

Quasi tutti questi articoli sono scritti per guadagnare traffico e non fanno altro che sponsorizzare i differenti Content Marketplace che dovrebbero farti guadagnare come un dannato. Ecco… parlo per esperienza, guadagnare con i Marketplace è come svegliarsi e accorgersi di essere Kobe Bryant. Solamente a Kobe succede questa cosa.

Non voglio dilungarmi in spiegazione, quindi chiunque fosse interessato a sapere perchè i Content Marketplace sono merda, può benissimo chiedermi le motivazioni tramite messaggi privati.

Torniamo a bomba: come può lavorare uno scrittore?

In primo luogo è di basilare importanza crearsi delle credenziali atte a valorizzare il proprio nome nel mondo della creazione di contenuti.

Se avete pubblicato dei libri e gestite un blog (gestito giornalmente, non abbandonato come un Labrador in estate), le vostre credenziali saranno alla portata di tutti e se il vostro portale è molto visitato, potrete vantare delle ottime credenziali nel mondo della creazione di contenuti.

La tecnica migliore è la seguente: specializzatevi in un campo e aggiornatevi costantemente.

Io ad esempio gestisco un blog che parla prevalentemente di letteratura e attualità, in cui pubblico i miei racconti, i miei romanzi e delle tavole che disegno personalmente. Insomma… tutto quello in cui mi sono specializzato negli anni.

Inoltre parlo di libri di altri autori; libri che non ho letto, ma studiato e questo fa la differenza.

Leggere un libro è quello che fa un lettore, mentre studiare minuziosamente un’opera è quello che deve fare un creatore di contenuti.

Il tuo blog è la tua vetrina, ok… ma a cosa serve questa vetrina?

Questa vetrina serve a fare il ghost writer del web, ovvero un creatore di contenuti sotto falso nome.

La vita del creatore di contenuti non è per niente facile, credetemi, e certe volte vi sentirete alla soglia di un attacco di nervi per la mole di lavoro sottopagato che potrete trovarvi a dover macinare; ma nessuno vi ha puntato una pistola alle tempie dicendovi -Adesso fai il creatore di contenuti.-.

Questo è un lavoro basato sulla dedizione.

Il web è pieno di annunci per creatori di contenuti e cercare i seguenti annunci sarà molto facile, esattamente come sarà facile inviare delle mail di presentazione in cui potrete mostrare il vostro blog, i vostri romanzi pubblicati, le vostre tavole (se disegnate) e vedrete che prima o poi qualcuno vi darà del lavoro.

Rinunciare al diritto d’autore per pubblicare solito il nome di un cliente è un lavoro come un altro, ma bisogna dedicarcisi al centodieci per cento. Questo vuol dire abbandonare la vita sociale per uno stipendio da fame, da una parte, ma dall’altra vuol dire anche libertà, niente cravatta e ascelle pezzate sotto la camicia , oltre a lavorare con un iPad in riva al mare.

Posso garantirvi che ci sono almeno tre settori in grado di proporre mensilmente lavori a creatori di contenuti:

1 l’industria del porno letterario

2 Privati in cerca di biografi

3 Creatori di contenuti web (privati e testate)

L’unico consiglio che posso dare ad un eventuale ghost writer è il seguente: desisti e fai dell’altro, ma se proprio vuoi scrivere, fallo senza tregua.

 

 

 

Ferdinando de Martino.

Red dragon | Quando il Best Seller diventa arte

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Thomas Harris incarna quello che un po’ tutti gli scrittori vorrebbero essere.

È un letterato ed anche un autore di Best Seller.

Il primo romanzo della saga di Hannibal Lecter è un manoscritto semplicemente eccezionale e carico di un’angoscia che fa da sottofondo ad una serie di eventi capaci di aprire la mente sul macabro che potrebbe stagnare in ognuno di noi.

Abbiamo questi due protagonisti che s’intersecano in maniera molto particolare. Da una parte la figura di Will Graham, ex agente FBI così vicino alla mentalità dei criminali da riuscire a perforare la corteccia dei loro pensieri più intimi e dall’altra, troviamo il Dott. Lecter, una mente criminale così vicina alle teste acculturate dell’élite degli intellettuali da riuscire quasi a convincerci che la sua ottica del mondo è superiore alla nostra.

Per tutta la durata del libro è presente, infatti, il costante ed assillante interrogativo: Non è che Hannibal è più libero di tutti noi? È forse per questo che ci siamo sentiti in dovere di metterlo in gabbia?

Ovviamente ci troviamo davanti ad una figura letteralmente “difficile”, in quanto cannibale.

La struttura di questo lavoro è impeccabile e il suo vero protagonista non appare molto, in quanto la sua figura è più quella di un  particolare burattinaio della materia oscura addormentata che risiede in ogni uomo.

Lo vediamo muoversi all’interno della sua cella con gli occhi di Will Graham, ma da un certo punto di vista Hannibal riesce a girare per il mondo attraverso un meccanismo che verrà chiarito tra le pagine di questo sensazionale capolavoro.

La presentazione di Hannibal è lenta e tarda ad arrivare. Lo si può percepire a pagina 65 quando il lettore capirà che il protagonista della saga farà il suo ingresso trionfale su carta stampata.

Il grottesco e il drammatico diventano una materia che Lecter riesce freddamente ad interpretare come se affondasse le sue radici nello stesso pozzo di quella melma cerebrale, esattamente come Will Graham, paralizzato in quel limbo estemporaneo disegnato tra i buoni e i cattivi.

Insomma, questo libro è una partita a scacchi tra due mali completamente differenti.

Lecter è il male che mira al male, mentre Will non è altro che un male mirato ad un bene di circostanza.

Ebbene sì… una volta Mondadori pubblicava roba veramente bella.

Buona lettura.

 

 

Ferdinando de Martino

Come scrivere un racconto | scrittura creativa

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Partiamo dal presupposto che nessuno potrà mai insegnarvi a scrivere.

Questo non vuol dire che i soldi spesi per i corsi di scrittura creativa siano  andati dritti nel cesso, perchè fa sempre bene misurarsi con altri scrittori e feticisti delle lettere.

Il fatto è che gli scrittori sono pieni di ego e questo impedisce loro di fare una reale critica costruttiva ai fini della capacità d’intrattenimento dell’opera, perchè l’occhio dell’addetto ai lavori non è mai obbiettivo come quello del lettore.

Oggi voglio semplicemente parlare di come io immagino che si debba creare un racconto. Il mio modus operandi è, appunto, solamente un modo e va preso come tale. Se vi potrà essere utile ne sarò contento.

Fondamentalmente ci sono delle similitudini con la tecnica che utilizzo per creare la struttura dei miei romanzi, ma  per i racconti bisogna ridurre tutto all’osso.

Partiamo da un concetto di E. A. Poe (che cito spesso quando parlo di racconti, in quanto la sua produzione è praticamente impeccabile): i racconti devono nascondere il loro significato sotto la superficie del racconto.

Questo è il concetto da cui parto ogni volta. Non è sempre una cosa consequenziale, ma quasi sempre è così.

Vi faccio un esempio, prendendo proprio un mio racconto: IL GIOCO

Non avevo in mente nessuna storia prima d’iniziare a scrivere “Il Gioco”. l’unica cosa che sapevo era che doveva parlare di FINZIONE.

Quindi ho preso la finzione e mi sono detto -Adesso copriamo la finzione con le parole.- e sono partito.

Questo ovviamente è solo il primo passo.

Il secondo è quello della struttura e della metastruttura.

Tutto quello che scrivo è figlio di un parto su carta, precisamente sulla carta dei miei Moleskine e in questo studio sulla struttura vi voglio mostrare questa parte del processo creativo.

Qui sotto potete visionare la parte relativa alla struttura del “Gioco”, ovvero la trama generalizzata  del lavoro. Si tratta di una sorta di soggetto abbozzato, atto a creare una scaletta da seguire all’interno del racconto. Se stessimo parlando della realizzazione di un quadro, questo sarebbe lo schizzo a matita dell’opera.

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Dopo aver dato un’occhiata  alla struttura, passiamo ora alla metastruttura. La foto sottostante è relativa al Moleskine che utilizzo per gli appunti sulla metastruttura, ovvero, una serie di appunti relativi ai caratteri, alle attitudini e ai background dei singoli personaggi, primari o secondari che siano.

Struttura capovolta per evitare spoiler.
Struttura capovolta per evitare spoiler.

 

La metastruttura in questione è relativa a MARKET 24, il romanzo per il web presente sul mio portale. L’importanza della metastrutture è  basilare sia per la caratterizzazioni dei personaggi, sia per la semplicità dello scrivere che sarà una semplice conseguenza di questo generico mondo del sottotesto.

Sapere che un personaggio secondario pratica Jogging, anche se non se ne parlerà mai all’interno del racconto, vi aiuterà a creare un carattere forte e in grado di muoversi da solo all’interno del libro; perchè un salutista probabilmente non farà pause sigaretta e magari sarà attento anche al suo look.

Tutto questo potrebbe anche non esprimersi all’interno dell’universo che andrete a creare, ma vi darà la percezione che il mondo che edificherete su foglio elettronico risulti vero e concreto.

Quindi, i miei consigli per scrivere un buon racconto sono i seguenti:

1 Trova qualcosa da nascondere.

2 Crea una buona struttura.

3 Infarcisci la tua metastruttura con tutto ciò che ti viene in mente, anche quando i particolari ti sembreranno estremamente futili.

 

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Ferdinando de Martino

Kate Bosone | Too young to die , too old to live

Kate Bosone nel video di I'll Calm Down.
Kate Bosone nel video di I’ll Calm Down.

Oggi voglio parlarvi di un musicista genovese che da un po’ di tempo ha avviato un progetto che lo vede unico elemento di un multiverso musicale frammentato in differenti immaginari radicati nelle decadi passate.

Kate Bosone, l’artista in questione, oltre ad essere un eccellente producer musicale è l’ideatore e il curatore dei suoi video e dei suoi testi. Insomma… ci troviamo davanti allo step successivo del classico “one man band”, perchè Bosone è a tutti gli effetti un “one man tutto”.

L’eco di una musica che oramai non ha più spazio in un mondo in cui se non indossi un cappellino da baseball non sei nessuno, doveva arrivare nel nostro bel paese e proprio dal web, dove la meritocrazia regna sovrana, Kate Bosone (aka Giuliano Adezati) esprime la sua visione distorta di una generazione perduta.

Vi consiglio di dare un’occhiata al video di “For What The Evening Has Got” e di scaricare il suo disco da iTunes, perchè le vostre orecchie se lo meritano proprio.

 

Ferdinando de Martino

Bruxelles | Ancora attentati | 13 morti

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Piove ancora odio sulle strade d’Europa. Bruxelles oggi conta almeno dodici morti, causati da due differenti attentati.

Per il momento non sembrano essere pervenute rivendicazioni riguardo alle esplosioni provocate all’interno dello scalo internazionale Zaventem e a due differenti fermate del metrò.

L’europa piange così le ennesime vittime di una guerra impalpabile e imprevedibile, dettata esclusivamente dall’odio.

L’attacco suicida fa pensare ad un’eventuale e plausibile rivendicazione dello Stato islamico, tuttavia per ora non ci sono certezze assolute, ma solo incertezze.

 

Ferdinando de Martino.

 

Come siamo arrivati alla guerra di Troia? | di Ferdinando de Martino

la mela della discordia

Per capire a fondo l’Iliade bisogna pensare che di una guerra durata dieci anni, quest’opera ne racconta solamente gli ultimi cinquantuno giorni.
Se dovessimo dare un nome a questa manciata di mesi, potremmo tranquillamente definire questo periodo come: i giorni di Achille.
L’opera omerica ha in tutto e per tutto la concezione del serial televisivo americano, in cui di puntata in puntata non si fa altro che invogliare il pubblico ad andare avanti con la storia.
Come in molte serie televisive americane, anche l’Iliade avrebbe bisogno di una voce narrante pronta a raccontare ciò che è successo nelle puntante precedenti.
Tutti sanno che la guerra di Troia, secondo l’Iliade iniziò per colpa di Eris ( dea della discordia) che gettò sul tavolo una mela dorata da regalare “Alla più bella”, ma in realtà esistono delle versioni più accurate, capaci di farci capire realmente le motivazioni scatenanti che hanno portato a quel gesto.

Se proprio vogliamo dirla tutta, la colpa dovrebbe ricadere su Zeus (capo di tutti gli dei) che, secondo una delle versioni, un giorno cadde vittima della sua stessa paranoia, generata da una chiacchierata con Prometeo.
La questione è molto semplice, se Zeus fosse paragonabile ad un personaggio della nostra cultura popolare, sarebbe sicuramente Ridge Forrester di Beautiful. Zeus se l’è fatte tutte. Non ne lasciava una.
Avendo avuto molte tresche, iniziò ad interrogarsi sull’eventuale possibilità di aver generato una prole talmente forte da riuscire a spodestarlo dal trono degli dei; così si domandò -Cosa possiamo fare per evitare che uno di questi eroi che popolano la terra mi soffi via il trono?

La paranoia di Zeus venne fomentata in tutti i modi. Il capo degli dei era talmente vittima di questa sua ossessione paranoica, da mettere fine ad un corteggiamento estenuante riservato alla ninfa Teti.
Questa Teti doveva essere un gran bel pezzo di ninfa, perchè anche Poseidone aveva perso la testa per lei. Tuttavia anch’esso desistette dal continuare il corteggiamento.
Perchè? Semplice. Perchè sulla bella ninfa vigeva una profezia abbastanza inquietante per un dio dell’Olimpo: Teti avrebbe partorito un figlio più forte del padre.

Ora, forse non lo sapete ma tra le divinità il concetto paterno non aveva un’accezione molto amorevole. Pensate che Zeus salì al potere spodestando Crono, suo padre, che a sua volta era salito al trono riservando la stessa sorte a suo padre, Urano, decidendo anche di asportargli i testicoli.
Le divinità greche avevano un gran senso dello splatter.
Per prevenire un susseguirsi di violenza e, tenendo molto alle sue palle, Zeus decise che ci voleva una bella guerra per spazzare via almeno un paio di generazioni di figli indesiderati.
Così acconsentì a partecipare, assieme a tutti gli dei, al matrimonio della bella Teti e di Peleo.
Al ricevimento, probabilmente durante una bevuta, Zeus disse ad Hermes -Senti un po’… quando arriverà Eris, tu dille da parte mia che non è la benvenuta.

Ora immaginatevi, visto il gusto del melodramma degli dei, come avrebbe potuto reagire ad un affronto simile la dea della discordia.
Questa povera donna si era vestita tutta carina, felice di partecipare al matrimonio, magari aveva anche deciso di comportarsi bene e all’entrata si trova Hermes il buttafuori che le dice che non è la benvenuta. Poverina.
Così, scansando Hermes, decide di entrare solamente per seminare la discordia. Lancia sul tavolo una mela d’oro con su scritto “Alla più bella” e attende che il tempo faccia tutto il resto.

Così, nel vedere quella bellissima mela destinata alla più bella di tutte, si alzarono Era, Atena e Afrodite. Non dissero niente, probabilmente, ma tutti gli dei capirono in che casino s’erano cacciati.
Ovviamente la patata bollente ricadde su Zeus, che disse -Beh, questa mela è per la più bella… facciamo scegliere al più bello tra i mortali.

È fu così che Paride se lo prese in quel posto.
A quel punto alle tre divinità non gliene fregava più niente della bellezza, ma volevano la mela. Era una guerra e come in ogni guerra iniziò una negoziazione.
Era offrì al giovane Paride l’Asia. Ho sempre trovato molto interessante il regalo di Era. Sì, perchè uno solitamente regala del denaro, una casa, una macchina, non l’Asia. Questo vuol dire che Era aveva sempre avuto l’Asia lì nel cassetto, pronta per essere regalata.
Più volte si sarà trovata in imbarazzo a portarla in dono a qualcuno, perchè in effetti era un regalo un po’ importante. Se tu regali l’Asia, fai sfigurare tutti quelli che regaleranno un frullatore e cose del genere.
Fatto sta che per ottenere quella mela, Era offrì un continente al giovane Paride.
Atena gli offrì il valore in battaglia, il coraggio e la saggezza. Tutte cose di cui Paride non conosceva il significato.
Infine, Afrodite si avvicinò al giovane e gli disse -Se mi dai la mela… io ti faccio conquistare Elena di Sparta.

Elena era la donna più bella di tutto il mondo ed era anche sposata con il re di Sparta, allora chiamata Lacedemone.

Così, Paride regalò la mela ad Afrodite, perchè era un uomo e gli uomini non ragionano sempre col cervello.

Dietro tutto questo, Zeus se ne stava tranquillamente a bere con i fratelli e i figli, guardando il suo piano andare a buon termine.
Lui non aveva nessuna colpa, se non quella di aver accettato un invito ad un matrimonio.

Zeus doveva avere un concetto di famiglia tutto particolare. Aveva spodestato il padre, sposato sua sorella e stava per sterminare la sua prole; il tutto tramando nell’ombra dei suoi pensieri e delle sue paranoie.

 

 

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Ferdinando de Martino

La MAFIA dell’editoria a pagamento | inchiesta

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L’editoria a pagamento è un tema estremamente scottante per il mondo della carta stampata.

Da scrittore credo che la miglior modalità di difesa sia quella di definire alla perfezione il proprio nemico
e quando il nemico in questione è l’editoria a pagamento, dovremmo sentirci tutti liberi di definire tali case editrici:
Mafia.

Partiamo dal presupposto che scrivere è un lavoro e nessuno dovrebbe pagare per lavorare.

La metodologia delle case editrici a pagamento o doppio binario (ovvero, quelle case editrici che offrono servizi d’editoria a pagamento non) è la seguente: prendi i soldi e scappa.

Ogni scrittore avrà modo d’imbattersi in papponi del genere nel corso della sua carriera e l’unico modo per combattere questa mafia è il denunciare i mafiosi.  Non si parla di una denuncia alla polizia o cose del genere, quanto più di un semplice sputtanamento mediatico.

Viviamo nell’era di internet e se Assange ha insegnato qualcosa al mondo è che le libertà del web è universalmente accessibile anche al più piccolo degli uomini. Qui si tratta di scrivere una storia sacra, come in Davide contro Golia.

Sputtanare i mafiosi pubblicando le loro mail sul web equivale a mostrare al mondo quanto questi piccoli bulli di quartiere siano effettivamente piccoli all’interno dell’oceano del mondo digitale, mondo che è a tutti gli effetti l’unico in grado di metterli in ginocchio.

Muoversi attraverso i nuovi canali è la base di una piramide che renderà omaggio nostri sforzi. Gestire un blog o una testata internet, un memoriale o quant’altro regala a chiunque la possibilità di dire la propria opinione, facendo sentire al mondo voci che nessuno avrebbe potuto ascoltare seguendo i canali tradizionali.

Il web che piace a me è una fucina d’artisti che creano giornalmente decine e decine di racconti per far conoscere al pubblico il loro lavoro e le loro ambizioni.

Dimenticatevi del mondo esterno e attaccatevi ad un computer. Bloggate come se non ci fosse un domani. Seminate la vostra voce come mine antimafiosi nel cyberspazio e prima o poi qualche Golia di circostanza cadrà ai nostri piedi.

Scrivere può essere una salvezza. Esistono molti lavori oltre al blogging personale, come il ghostwriting e il copywriting, lavori che danno la possibilità di creare uno o più stili differenti, imparando a tutti gli effetti un mestiere nuovo: quello dell’artigiano della parola.

Guadagnare scrivendo per altri dà la possibilità di entrare nel sistema o in una comunità di altri autori che come te cercano di arrivare a fine mese senza ammazzarsi. Essere uniti è la base di tutto.

Writer’s dream ha stilato coraggiosamente una lista degli editori a pagamento e  a doppio binario, grazie agli scrittori che hanno raccontato le loro esperienze e questo è lodevole, ma la lotta deve continuare.

Ogni E-book pubblicato su Amazon o in un blog è una ferita indotta ai mafiosi che giorno dopo giorno stanno iniziando a vedere il pavimento attorno a loro sgretolarglisi da sotto i piedi.

Commentare quest’articolo con le vostre esperienze aiuterà gli autori del futuro ad imbattersi subito in una casa editrice seria, fermando così i Totò Riina della carta stampata.

La nostra voce si muove su canali privi di censura e questo è il miglior modo di sfruttarla.

Editoria a pagamento = MAFIA

Ferdinando de Martino.

Hank, quale? | da Cinaski a Kapinos |

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Avete mai visto Californication?

Los show firmato da Tom Kapinos, già autore del teen drama Dawson’s creek, andato in onda per ben sette stagioni, ha riportato in auge la figura dello scrittore.

Un tempo, se dicevi -Sono uno scrittore.- le persone immaginavano una vita ricurva sui libri, priva di scossoni e una probabile cirrosi epatica prima dei quaranta. Post-Californication la figura dello scrittore ha subito un cambiamento palese, almeno agli occhi della gente.

Da gobbi topi di biblioteca siamo diventati dei papponi e sciupafemmine, incalliti alla guida di macchine costose.

Bella la vita oltreoceano… perchè qui le donne ci guardano come dei ritardati e giriamo in autobus, perchè se fai lo scrittore è molto probabile che non riuscirai mai a comprarti una macchina.

Ma come nasce il personaggio carismatico di Hank Moody?  Da dove viene quell’indole così complicata che non riesce a rispecchiarsi a fondo nell’immagine del suo protagonista.

Personalmente credo che Duchovny sia un attore eccellente e perfetto per il ruolo in questione, ma non è di questo che voglio parlare.

Da dove viene quell’odio per il mondo? Quella misoginia incomprensibile? E soprattutto, da dove viene quella solitudine annegata in una pozza di cliché?

Semplice, viene da un altro Hank. Un Hank molto diverso.

Il carattere  (nel gergo degli sceneggiatori: la spiegazione e le attitudini di un personaggio), sono le stesse di Hank Henry Cinaski, alter ego dello scrittore di L.A. Charles Bukowski.

Scrittore solitario, grande amante del gentil sesso in maniera compulsiva, alcolista cronico e occasionalmente curioso nei confronti delle droghe.  Il perfetto carattere per andare avanti all’infinito con una serie di libri o uno show della showtime.

Il problema è uno: perchè il primordiale Hank ha questo carattere?

Hank Cinaski è intelligentissimo ma odia gli intelligenti, è colto, ma detesta gli ambienti culturali e gli artisti  d’ogni specie, esattamente come Hank Moody. Dov’è la differenza? E badate che esiste solamente una differenza tra i due caratteri.

Chinaski è un cesso. Stop.

Alle persone, al pubblico, alle donne, agli uomini, non importa niente del cervello, esistono solamente i muscoli.

Chinaski entrava nei bar, diceva qualche frase geniale in cui riversava il suo odio per il mondo e tutta la sua misantropia, sparando anche qualche insulto offensivo e le donne, giustamente, non se lo scopavano.

Hank Moody fa la stessa identica cosa, ma è bello… quindi se lo scopano.

Hank Cinaski odiava gli “altri” perchè gli scopavano le donne. Allora finiva a bere, fumare come un dannato, leggendo libri su libri, rintanandosi un mondo fatto di cliché atti a ricreare attorno alla sua persona una muraglia cinese per difendersi dagli attacchi emotivi di quella bellezza di cui non era mai stato dotato e da cui il mondo sembrava ossessionato.

Quando arrivarono le donne nella sua vita, aveva più di cinquant’anni ed aveva passato i suoi anni migliori a fare lavori del cazzo per tirare avanti, per poi mettersi a fare lo scrittore in età avanzata. La collezione di tutte quelle donne che avevano preferito gli “altri” era riuscita a costruire un bagaglio emotivo talmente ingombrante da nutrire la sua ispirazione per più di due decenni.

È questo il grosso problema del carattere di Hank Moody, nessuno capisce da dove venga quell’odio e quello sconforto. Una marea di donne aspetta di poter ritirare l numerino per portarselo a letto, è pieno di soldi e la vita gli ha solamente sorriso… smettila di fare il depresso!

Hank Cinaski ripiegava nella scapigliatura un male relativo al non essere accettato. Tutti i suoi amori si facevano sbattere da qualche mentecatto sulla superficie lucida di un flipper, mentre lui era costretto nelle fattezze di un Cyrano di circostanza. Ecco da dove viene l’odio.

Un carattere ingiustificato è la base per un grosso buco di sceneggiatura.

Con il mio ex coinquilino abbiamo passato intere nottate e guardare e riguardare Californication, ridendo come pazzi davanti al viso di Runkle gocciolante (sol chi ha visto… può capire), ciononostante trovo ingiustificato il novanta per cento del carattere di Hank Moody ed è proprio per questo che lo show è finito per diventare la parodia i se stesso.

E voi? Che Hank Siete?

 

 

Ferdinando de Martino

 

 

 

 

Vinyl | Sesso droga e Olivia Wilde |

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Cosa dire su Vinyl? Prendete Martin Scorsese, chiudetelo in una stanza con Mick Jagger, date loro una bottiglia di tequila e una macchina da scrivere ed ecco una delle serie tv più cool del palinsesto americano.

Di cosa parla Vinyl?

La serie gira attorno alla vita di un discografico di successo che inizia a vedere il suddetto successo sgretolarglisi davanti agli occhi. Trovare nuove band, per seguire il flusso del ricambio generazionale del mondo musicale attuatosi negli anni settanta, è di vitale importanza.

Il mondo che ci troviamo davanti agli occhi è quello di un epoca in cui Alice Cooper beve birra appena sveglio, Reed e Warhol dominano l’underground e la cocaina è ancora divertente.

La serie è stata stroncata da un sacco di riviste che farebbero meglio a tornare su argomenti più alla loro portata, come le scarpe da quattrocento dollari e cazzate analoghe… perchè qui si sta riscrivendo la storia del rock.

Andiamo… Jagger ci regala la sua visione della scena di quegli anni e noi ci mettiamo a fare le pulci al prodotto in questione?

Tutti gridano al cliché, al già visto un milione di volte e cose del genere. Io non grido,  perchè preferisco limitarmi a guardare questo splendido prodotto sul mondo dei vinili.

Nel caso non vi avessi convinto a dare una possibilità a questo splendido prodotto, lasciate che vi dica un ultima cosa: c’è Olivia Wilde che fa la sexy.

Non si tratta di un sexy tipo “sono Olivia Wilde e sono sexy”, no… qui si tratta di una sensualità ai limiti del surreale. Ogni sguardo, vestito e attitudine al modo di vedere quell’epoca spudoratamente pop è sensualità.

Poi, se resisterete fino alla puntata del vestito rosso… capirete di cosa sto parlando.

 

 

Ferdinando de Martino.

Mezzo cieco | Un racconto di Ferdinando de Martino |

Fu per colpa di un difetto congenito all’occhio che il nostro protagonista non si accorse dell’imminente impatto di una pietra sul suo viso.
Era nato così, con un occhio non vedente. Probabilmente non accusava più di tanto il trauma, in quanto essendo un problema che si trascinava dietro sin dalla nascita, non aveva mai avuto una concezione totalitaria del campo visivo.
È probabile che all’interno della sua testa fosse convinto che tutti quanti vedessero il mondo esattamente come lo vedeva lui.
Stava camminando lungo il ciglio del marciapiede, mentre il freddo batteva sul suo corpo come una serie di aghi acuminati, intinti in un ghiaccio anestetizzante. Era abituato a quel freddo. Viveva in strada da tredici anni.
I margini erano l’unica frazione di vita che conosceva realmente bene.
Come dicevamo, per via di quel difetto congenito, non vide la cattiveria arrivargli addosso, ma la sentì con estrema precisione infrangerglisi in testa.
Erano tre ragazzi, forse quattro. Avrebbe potuto incolpare il sistema, la società, magari qualche divinità, ma certe volte le cose accadevano semplicemente perchè, secondo qualche oscura meccanica, dovevano accadere.
Dopo il primo calcio nello stomaco si accasciò a terra, mentre una raffica di pugni in testa iniziarono a concimare la piantagione del suo dolore. Non si difese non per un mancato spirito di sopravvivenza, bensì perché oramai era troppo vecchio per farlo.
L’ esistenza non gli aveva mai sorriso e lui aveva smesso di mostrarle sofferenza per questo suo atteggiamento e la sua più grande occupazione era diventata la tolleranza.
Ciononostante era molto difficile tollerare la cattiveria gratuita.
Uno dei denti che gli erano rimasti, doveva essersi frantumato. Il sapore del sangue in bocca gli ricordava il gusto dell’acqua sporca.
Non aveva fatto niente per meritarsi quei colpi. Si era semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Quei ragazzi si aggiravano tutti intorno ai diciassette anni, ma picchiavano come se ne avessero avuti almeno venti. C’era qualcosa di molto profondo in quel picchiare, quasi come se le botte non fossero dirette a lui, ma verso un’entità  indefinibile.
Come per ogni prima volta, anche in quel pomeriggio invernale, il nostro protagonista provò un dolore che non aveva mai provato prima. Gli sembrò quasi che un’esplosione gli si concentrasse sul collo.
Era troppo tramortito per capire che uno dei ragazzi aveva avuto la geniale idea di spegnergli una sigaretta addosso, proprio mentre si trovava accasciato a terra.
La vecchiaia non era una cosa che potevi nascondere facilmente. Forse ci riuscivano le Stelle di Hollywood, ma anche a loro prima o poi sarebbe risultato impossibile celare al mondo la loro fragilità.
La fragilità. La vecchiaia. La cattiveria. Lui aveva incontrato tutte queste cose in un giorno solo. Era decisamente troppo.
Per quanto possa risultare difficile da concepire, anche la cattiveria finisce per annoiare, se portata alle lunghe. Così, i ragazzi abbandonarono il corpo tumefatto sul quale avevano sfogato i loro spiriti adolescenziali e tornarono alle loro vite.
Arturo aveva un telefono da novecentocinquanta euro in tasca ed un motorino nuovo di pacca che diceva di aver rubato, mentre in realtà era stato il padre a comprarglielo sotto pressione della madre che non voleva che il figlio girasse in autobus, quando il secondogenito dei Borghetti, dirimpettai del loro piano, andava a scuola con uno scooter d’ultima generazione.
Fede era un giocatore di pallacanestro e aveva avuto tutto dalla vita, eccezione fatta per un’incapacità innata nel parlare con le donne.
Ognuno di loro aveva una sua storia, ma forse è il caso di ritornare al vero protagonista di questo racconto.
Carl se ne stava sdraiato a terra. Era una consolazione molto magra, ma quando nella tua vita non hai mai conosciuto realmente il bene, il male che ti viene inflitto ferisce molto meno.
In quel caso, nonostante il bene e Carl non si fossero mai incontrati per davvero, il dolore si fece via via più lancinante. I reni, forse un polmone, le costole… tutto gridava, eccetto la voce.
Non sarebbe mai riuscito a gridare realmente.
Quel pomeriggio, Bruno era di ritorno dal suo viaggio di lavoro ed il telefonino gli si era scaricato a furia d’inviare e scaricare e-mail, durante il tragitto della tangenziale. Aveva rischiato più volte di finire contro le altre macchine, ma era sempre stato un uomo dai pronti riflessi.
Grazie a quella prontezza d’animo, riuscì a notare la sagoma tumefatta e dolorante di Carl, accasciata lungo il marciapiede. Fermò l’auto e scese.
-Cristo santo.- disse, pensando che proprio quel giorno tra tanti, il cellulare aveva deciso di abbandonarlo per sfortuna divina.
-Cerca di stare calmo…- sussurrò, -Adesso ti sollevo e ti porto nella mia macchina.
Sollevare un peso morto era difficile, specialmente con la paura di ferire oltremodo un corpo che era già stato ferito abbastanza.
In maniera molto distratta, Carl iniziò a capire cosa fosse il bene. Non è che ci ragionò sopra, ma si fece trascinare dal flusso esattamente come si stava lasciando trascinare verso l’automobile di quello sconosciuto.
Con una manovra quasi eroica, Bruno riuscì ad aprire la porta posteriore del veicolo senza mollare il corpo.
Non pensò nemmeno per un istante a coprire i sedili per evitare che il sangue sporcasse gli interni. Il tempo doveva essere un suo alleato e non un impedimento. Dopo aver appoggiato una mano al volante, accese una sigaretta e mise in moto, schizzando a velocità sostenuta lungo la strada che portava verso casa sua.
La moglie di Bruno era un’infermiera e avrebbe sicuramente aiutato Carl. Era un casino abitare così lontani da tutto, ma con l’arrivo del secondo figlio i due coniugi sentirono il bisogno di cambiare zona, per far crescere i ragazzi nel verde.
Non accese la radio, perchè non gli sembrava il caso d’infastidire l’ambiente.
Carl capì che quella persona era diversa da quelle che l’avevano ridotto ad un passo dalla grande fine, sebbene Carl stesso non avesse un chiaro concetto della fine.
Certe volte due entità, senza una reale motivazione, finiscono per incontrarsi. C’è chi chiama questo procedimento: destino.
Bruno non credeva nel destino. Nella sfiga ci credeva eccome, ma il destino per lui era una delle tante stronzate new age che si propinavano alle casalinghe disperate per far comprare loro dei libricini del cazzo, inerenti ad una qualche filosofia orientale dalle radici millenarie, scoperta solamente un paio di giorni prima della pubblicazione del suddetto manuale.
Carl non aveva una sua opinione a riguardo.
Una volta parcheggiata l’auto davanti casa, Bruno scese, aprì la porta posteriore e afferrò il suo paziente, cercando di non premere troppo sui punti insanguinati.
Carl si sentì a casa. È terribilmente difficile da spiegare questa cosa a chiunque non abbia passato tredici anni per strada, ma non appena la porta dell’automobile venne aperta, Carl si sentì nuovamente a casa.
Il freddo era una costante nella sua vita. Il caldo era una cosa che arrivava d’estate, ma la notte anche durante quel periodo si faceva fredda certe volte. In parole spicce, il cambiamento climatico repentino era una sensazione che non riconosceva come casalinga.
Per Carl il freddo cominciava all’inizio dell’inverno e finiva con l’arrivo della primavera e per tutta la durata dei mesi invernali, lui abitava nel freddo.
In quella macchina, con il freddo chiuso fuori ermeticamente, si sentiva allontanato da casa.
Bruno trascinò quel corpo sporco e dolorante sotto la veranda della sua abitazione, posandolo a terra.
-Dove diavolo finiscono sempre le chiavi?
Sparivano sempre. Come se all’interno della sua giacca comprata all’Upim sottocosto, ci fosse un buco nero in grado di farle sparire e riapparire al di fuori di ogni logica razionale.
-Eccole.- disse.
Dopo essere entrato, richiuse la porta dietro di sé, mentre Carl iniziava a perdere il suo sguardo oltre le siepi ben curate di quel giardino in cui la libertà assumeva una connotazione che non avrebbe potuto capire nemmeno in un milione di anni.
La pioggia. Quando arrivava era sempre capace di tranquillizzarlo, se si trovava al di sotto di qualche copertura di circostanza.
Il paese cantava e lo faceva attraverso quelle gocce che s’infrangevano sull’asfalto, sui prati e nei giardini ben curati come quello al di là di quella veranda.
Si sentiva un gran vociferare all’interno di quell’abitazione.
Carl riconosceva i “qualcosa”. Quando c’era del trambusto nell’edificio della scuola del paese, stava per succedere qualcosa. Lo stridente suono di gomme che strisciavano… qualcosa. Qualcosa.
La porta si aprì.
-Piccolo… ma è ferito, papà?- chiese Giulio.
-Si tesoro… non accarezzatelo tu e Sandro. Dobbiamo pulirlo bene con la mamma, ma prima bisogna medicarlo.- rispose Bruno, accendendo una sigaretta.
-Possiamo tenerlo? È solo.
-Ne parleremo dopo… adesso lasciamo che la mamma lo rimetta in sesto.
Di tutto quello che stava succedendo, Carl non capiva praticamente niente. L’unica cosa che percepiva in maniera netta era una specie di cambiamento.
Aveva un dolore lancinante ad un’anca, dolore che si faceva molto intenso ad ogni scatto di coda, tuttavia non riusciva a smettere di muovere lentamente quella parte del suo corpo.
Fu in quel preciso istante, proprio quando la mano di Giulio incontrò per la prima volta il collo di Carl, che il vecchio cane capì che quella appendice pelosa non era solamente un problema da gestire nelle zuffe per un tozzo di pane.

Ferdinando de Martino.