Bob Dylan e gli hooligans della letteratura | Nobel o non Nobel | di Ferdinando de Martino

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Ho aspettato un po’ prima di discutere del Nobel per la letteratura assegnato a Bob Dylan, non perchè non avessi un’opinione a riguardo, bensì perchè volevo rassettare ben bene le idee prima di esporre il mio giudizio su di una faccenda che ha scomodato le più argute menti del nostro secolo.

L’entourage del Nobel ha unto Dylan con il suo premio più ambito e il putiferio del mondo letterario ha scatenato una serie di polemiche senza precedenti. Solitamente si discute di sport o di politica e mai di letteratura, quindi voglio svelare un segreto a chi non frequenta da vicino gli scrittori: solitamente chi scrive è una merda.

Credetemi, non è retorica.  Scrivere implica molta solitudine e la solitudine genera quasi sempre un forte senso d’inadeguatezza nell’uomo; da questo senso nasce l’irritabilità e la suscettibilità dello scrittore, seconda solo a quella delle modelle di Vogue. L’unica differenza è che per fare incazzare una modella basta dire -Sei grassa.-, mentre per far incazzare uno scrittore basta essere uno scrittore.

Tra chi si diletta nella scrittura non esiste invidia o gelosia, quanto più una forma d’odio simile a quella manifestata dai nobili settecenteschi, tutti imbellettati e profumati. Sono passati i tempi in cui Burroughs uccideva sua moglie con una pistola, cercando di colpire la mela sulla sua testa e, credetemi, per quanto possa sembrare strano, rimpiango quei tempi.

C’è stato un periodo in cui gli scrittori avevano ancora le palle.

Ma veniamo a Dylan. Cercherò di non essere troppo di parte, nonostante la mia passione per il cantautore americano.

Il Nobel a Dylan è stata una lezione non agli scrittori o all’editoria, bensì a tutti i “cicisbei ” del mondo accademico.

Partiamo dalla discussione lanciata da Baricco. Dare il Nobel per la letteratura ad un cantante è come far vincere il Festivalbar ad un meccanico… no, non è proprio così.

Sfido chiunque a leggere un testo di Dylan dopo aver letto una qualsiasi opera di Ginsberg, senza trovare forti analogie stilistiche.

Nessuno dovrebbe scandalizzarsi per un Nobel ad un poeta e un poeta è esattamente l’aggettivo più azzeccato per descrivere Dylan. Non è una questione di ruolo, ma capirete da soli che in un universo in cui Marco Mengoni è un cantante, non possiamo di certo definire cantante anche Fabrizio De Andrè, perchè dopotutto qualche piccolo valore aggiunto bisogna pur smarcarlo davanti al talento, no?

Ora, passiamo ad altro. Gli scrittori che avrebbero potuto vincere il premio, scrivono per case editrici che pubblicano prevalentemente merda. Per merda s’intende il libro dello youtuber scoreggione, il libro della youtuber truccatrice, il libro dello youtuber che limona al parco e via dicendo.

Dare un premio nobel ad uno scrittore genera un effetto domino che termina sempre in una gara a chi piscia più lontano con gli altri editori.

Purtroppo le case editrici si sono sputtanate a tal punto che i loro scrittori (bravissimi senza dubbio) non possono e non potranno mai ricevere un premio, perchè la loro scuderia di colleghi sarà sempre piena di ragazzini scoreggioni.

La regola è la seguente: no scoregge, no Nobel.

In ultimo, analizziamo la lezione di Bob Dylan, rinomato stronzo di prima categoria.

Baricco inveisce contro di te, il comitato vuole darti il Nobel, ogni  testata venderebbe un rene per intervistati e tu che fai? Semplice. Ti accendi una bella canna e te ne fotti.

Dylan se ne fotte, esattamente come se n’è sempre fottuto.

A livello artistico ha fatto più Bob Dylan per la letteratura negli ultimi trent’anni che la maggior parte degli scrittori contemporanei, ma l’ha fatto sempre fottendosene alla grande.

Tutti lo odiano e nessuno può realmente capire il suo genio e la sua tremenda e disarmante contemporaneità.

Dylan è talmente superiore al Nobel e alle diatribe tra scrittori che non ha nemmeno detto la sua a riguardo, non ha ritirato il premio e sicuramente se la starà ridendo assieme ai suoi amici, strimpellando con la sua armonica.

La grande lezione che ha dato agli accademici è il silenzio, sinonimo del nulla. Lo stesso nulla che rappresenta l’editoria quando si parla di letteratura.

Ferdinando de Martino