Diario di uno scrittore in quarantena | Siamo buoni o cattivi? |F. de Martino

Ore 01.00 del mattino

Sto giocando a biliardo con un ragazzino che mi sta massacrando, guardando contemporaneamente un telefilm con Jason Momoa che è non vedente in un mondo di non vedenti, ma nonostante questo riesce ad ammazzare centinaia di nemici usando l’udito e armi di circostanza. 

Non so se stia perdendo a biliardo per via di Jason Momoa o se la serie sia emozionante solo perché vorrei darle la colpa della mia sconfitta, ma questa è la storia della mia vita.

Ho sempre avuto questo brutto vizio di riversare sugli altri il mio umore. In molti mi ritengono una persona buona, ma se fossi un re, probabilmente sarei un monarca tremendo.

Da bambino mi stava antipatico un ragazzino, così un bel giorno gli ho rubato un pennarello. Sapevo che rubare era sbagliato ma in un bambino il concetto di etica è labile, così ho infilato la refurtiva nello zaino del ragazzo che stava alla mia destra. Nessuno l’avrebbe notato. Il reato, a livello fattuale l’aveva fatto lui. 

Come ogni storia d’eccessi come Scarface, spesso ci si lascia prendere la mano. Così, guardando l’astuccio del mio amico tutto spariva. I compagni, la voce della maestra, i miei genitori, il mio cane e il senso di moralità e immoralità; ogni cosa si affievoliva.

Presi così il secondo pennarello e lo gettai nello zaino del tizio a destra. 

La sera pensai a loro due. Le mie marionette. Chissà se il ragazzo dei pennarelli si era accorto di aver perso due bei Carioca? E l’altro? Aveva notato dei pennarelli non suoi tra la sua roba scolastica?

Il fatto è che dopo un po’ lo stile di vita del bandito, perché così mi sentivo a sei anni, finisce per darti assuefazione. Rubavo pennarelli e ripulivo la mia fedina nello zaino del tizio a destra. Era un gioco pulito e collaudato. Ma non provavo più quell’emozione adrenalinica. 

Non so come spiegarlo, ma in versione estremamente ridotta ho capito i serial killer come Zodiac. Non volevo essere preso per un pennarello, quando in realtà ero a tutti gli effetti un ladro con molti pennarelli grattati alle spalle. (il termine grattato l’avrei imparato solo molti anni dopo).

Il pericolo c’era ma avrebbe banalizzato il mio talento. 

Così per due giorni smisi di rubare. Feci calmare le acque. Così notai che attorno a me c’era un clima di tensione. Il bimbo a sinistra controllava il suo astuccio nemmeno fosse Fort Apache e quello a destra sembrava paranoico. 

Loro sapevano che qualcosa stava accadendo, ma non osavano dirlo. Uno non voleva passare per fesso e l’altro per ladro. E io, pulito come il sedere di un neonato, avevo davanti a me la possibilità di uscirne pulito. Proprio come tutti i più grandi: Al Capone, Totò Rina e via dicendo.

Non so che dire. Non ho grandi giustificazioni dalla mia parte, se non che la vita da studente modello non era nelle mie corde. Preferivo il crimine.

Così un giorno il bambino sulla sinistra andò in bagno, lasciando il suo astuccio in bella vista. Era uno di quelli imbottiti a tre piani, rettangolare, con cartucciere porta-penne cucite in giallo oro. 

L’equivalente del cavou di una banca per un ladro adulto. Respirai. Non avrei mai potuto rubare pennarelli in quel clima di tensione.

Ad un tratto la maestra decise d’interrogare il bambino alla mia destra, piazzandolo alla lavagna. 

Lo presi come un segno. Probabilmente non ero tagliato per la vita pulita. Ero un criminale.

Quando il ragazzo della destra andò alla lavagna, aprii tutti gli scompartimenti e svaligiai letteralmente il contenuto dell’astuccio. Penne, pennarelli, gomme, forbici, pastelli e chi più ne ha più ne metta. 

Svuotai tutto nello zaino e mi sentii letteralmente liberato. Dio che emozione, che carica, quanta adrenalina. Mi sentivo potente. Sapevo che non sarebbe durata in eterno, ma avevo un piano. 

Quando il bambino tornò dal bagno gridò al furto. Pianse come un vitello sgozzato. Ma io non avevo paura. 

Guardai il volto del bimbo alla lavagna. Era pallido. Vittima inconsapevole di un piano più grande di lui che da settimane viveva come una sorta di punizione divina. 

Nel più totale clima d’isteria mi alzai e dissi ad alta voce “Qui non esce nessuno se non saltano fuori i pennarelli. Controlliamo tutti gli zaini.” dissi, senza palesare nessuna espressione di godimento.

Bene eccomi. Per la prima volta mi stavo effettivamente comportando da figlio di puttana. 

Il bimbo alla lavagna scoppio a piangere dicendo che sua madre non faceva che sgridarlo perché rubava pennarelli e quello a sinistra si lamentava del fatto che i suoi lo trattavano da stupido perché si faceva fregare ogni cosa. 

Ovviamente la maestra vedendo me nel mezzo capì subito la questione e fece chiamare i miei genitori e tutti quanti mi sgridarono, incuriositi però dalla metodologia utilizzata. 

“Tu davvero facevi tutto un pennarello alla volta?”

“Sì.” risposi, senza piangere, come un vero duro.

“E perché poi hai smesso?”

“Perché non volevo che se ne accorgessero.”

Ma la domanda che più m’inquieta tutt’ora è una. Anzi; è la risposta ad essere tremenda per un bambino di sei anni.

Quando mi chiesero come mai l’avevo fatto, risposi che mi stava antipatico il bambino a sinistra, ma poi mi porsero un ultimo quesito: come mai il ragazzo sulla destra?

“Era a destra.” che per un bambino valeva come un: è una vittima sacrificale.

Oggi volevo riflettere su questo, vista la quarantena e la partita a biliardo online andata a farsi benedire.

Pascoli diceva di ascoltare sempre il fanciullino che si trova in noi. Io il mio ho smesso di ascoltarlo, perché faceva cose strane. 

 

Ferdinando de Martino