Diario di uno scrittore psicotico | I demoni parcheggiati | di Ferdinando de Martino

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Terminato un romanzo si passa sempre alla rilettura. È un passaggio obbligatorio.
Torre di controllo, abbiamo un problema.
Leggere il proprio lavoro è un po’ come venire a patti con la fragilità della condizione umana o parcheggiare i propri demoni, almeno per il tempo di una sigaretta.
Anche all’inferno abbiamo bisogno di una boccata d’aria, credetemi.
Non esiste un paragone più azzeccato della vita. Rileggere un manoscritto è come rivivere i ricordi.
Si potrebbe pensare che il passaggio più doloroso sia il vivere o lo scrivere, ma la realtà dei fatti è molto più complicata: il vero dolore è rappresentato dall’analisi del passato.
Pensate al momento più bello o più brutto della vostra vita. Quant’è durato? Un attimo, qualche ora? Quanto l’avete sofferto o amato?
Il problema è che quell’attimo potete prenderlo e riprenderlo tutte le volte che volete, rivivendo ogni secondo, prolungando la durata di una nuova reazione; è lì che il piacere diventa amore e la rabbia diventa odio.
Viviamo in un mare fatto di frasi che avremmo voluto dire e pugni che abbiamo tenuto dentro le tasche e l’unica soluzione per uscirne interi è sempre la stessa: non rivivere e non rileggere.
Forse è proprio per questo che al bancone del bar i ricordi fanno meno male. Allungare le emozioni riesce sempre a diluire i sentimenti.
Facce che avresti voluto accarezzare più spesso e pensieri che avrebbero meritato di finire su carta, questa è la nostra condanna.
Viviamo ai margini di un’esistenza che ci sfiora solo a metà, mentre per il resto tentiamo di colorarla e appesantirla con la nostra visione del mondo.
C’è chi si purifica, chi si sporca e chi non riesce a passare un giorno in solitudine, ci sono gli eremiti e tutti quei tizi che finiscono ad aiutare quella parte del pianeta che piange lacrime più vere. Tutti nella stessa piazza mentale a cercare di non impazzire.
Rileggere e rivivere… che gran fregatura.
Cerchi come un ossesso delle granate nelle tue stesse parole, per ferire il lettore o forse te stesso e ti ritrovi sempre a far saltare in aria qualcosa di vecchio o prolisso.
Torre di controllo, forse ci siamo veramente persi mentre fingevamo di smarrire i nostri ideali, sacrificandoli a qualche neo-divinità-momentanea da appendere al muro o al cruscotto d’una macchina, sperando che ci protegga quando qualcuno vorrà farci quello che non vorrebbe fare a se stesso.
Il mondo brucia e noi, come dei piromani con mezzo cervello, rimaniamo immobili ad osservare quel magnifico spettacolo che solo la distruzione è in grado di regalarci.
Se non rileggessimo le nostre parole, forse perderemmo anche la capacità di commuoverci.

Ferdinando de Martino.

2 Commenti

  1. Salvatore

    Senza parole socio…

    1. linfernale

      Grazie mille, Socio.

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