Meditazione e Minimalismo | un racconto di Ferdinando de Martino

La sensazione d’attrito provata durante le continue accelerate nel traffico cittadino lasciava sempre una strana polvere nera sulle sue mani. 

Gli capitava spesso di osservarla, rimanendo ogni volta imbambolato come se l’avesse vista per la prima volta. Lo scooter era vecchio ma non a tal punto da cadere a pezzi e sgretolarglisi tra le braccia. L’autunno stava arrivando. Passeggiando sotto i portici della parte nuova di Genova, accese una sigaretta. 

Ogni mattina cercava di togliere la polvere nera dai polpastrelli sfregandoli sui jeans. Lavorando in cucina non poteva permettersi delle mani come quelle. Il proprietario non si vedeva dietro al bancone. Il grande capo non aveva fatto il suo ingresso trionfale. 

Solitamente lo spiava con occhi furtivi quando fumava prima di entrare a lavoro. 

Albi non era mai stato un cattivo impiegato ma notando l’aggressività che negli ultimi periodi era andata via via crescendo in Marco, aveva deciso che fino all’orario d’entrata lui non avrebbe messo piede dentro al locale.

La settimana precedente Emiliana si era beccata una strigliata unica per aver sbagliato un’ordinazione e ad Alberto era sembrata molto fuori luogo come reazione. Probabilmente Marco stava traendo ispirazione da quei programmi culinari in cui gli chef prendevano ad insulti i loro sottoposti, trattandoli come se si trovassero in una caserma della Seconda Guerra Mondiale. 

D’istinto avrebbe mandato il suo capo a quel paese, difendendo Emiliana, ma qualcosa l’aveva fermato. Non si trattava di un agente esterno, ma di una strana parte interiore.

Guardando le persone far colazione dentro al Toody, Albi capì che il tizio riflesso nella vetrina non era lui. Per quello nessuno aveva difeso la sua collega, perché lui non si trovava realmente a lavoro quel giorno. La persona che si beccava i rimproveri di Marco, quello che rimaneva fino alla fine a pulire i piatti, non era lui. 

Quando tornava a casa da Erika non era lui. Mangiavano proteine in una stretta dieta a zero carboidrati per via del Cross-fitt, divenuta l’unica ragione di vita della sua fidanzata e bevevano strane tisane contenenti taurina, guaranà e via dicendo. Insomma, quell’uomo non era Alberto. 

La sigaretta stava per raggiungere la metà quando si pose una domanda: quando era realmente se stesso?

A lavoro diventava un cagnolino ammaestrato, di tanto in tanto abbaiava ma non mordeva mai nessuno. A casa non si faceva altro che parlare del viaggio in Polinesia che Erika progettava da due mesi e a lui della Polinesia non era mai importato nulla. Guardavano dei film assieme, la sera, romantici o di formazione. Pellicole per le quali non provava molta empatia. Solamente quando Erika si trascinava a letto e lui rimaneva a guardare qualche vecchio film su Netflix per quindici minuti prima di cedere al sonno; allora e solo allora era veramente lui.

Alberto era Alberto per soli quindici minuti al giorno, acciambellato sul divano davanti ad un b-moovie anni ottanta. Un totale di centocinque minuti alla settimana. Stava vivendo la vita di qualcun altro.

Gettando la sigaretta decise che non si sarebbe mai più ritrovato con la polvere sulle mani. Voltò lo sguardo fino al parco difronte al locale e iniziò a camminare, attraversando sulle strisce pedonali a ritmo di un intermittente pedone verde.

Guardando l’erba l’intera prospettiva della vita sembrava cambiare nei suoi pensieri. Non ci fu un vero e proprio ragionamento dietro l’azione che seguì quegli attimi, ciò che ci è dato sapere è che semplicemente accadde. 

Albi posò il casco e si mise a sedere a terra con le gambe incrociate, chiuse gli occhi e cominciò ad inspirare ed espirare. 

Poco distante da lui il traffico della città continuava ad irrompere nelle conversazioni e nelle vite delle persone, prepotentemente come un cane in calore alla disperata ricerca di una gamba sulla quale sfogare i propri istinti.

I genovesi, un po’ come tutti gli abitanti delle città, erano  abituati a quei rumori. Era una specie di serenata al rombo di motore.

Concentrandosi solamente sul respiro che entrava e fuoriusciva dai suoi polmoni ad Alberto sembrò quasi che qualcuno avesse abbassato il volume della sua città, come quando si silenziava una chiassosa trasmissione televisiva. 

Meditare non era nei suoi piani per quella giornata. Aveva frequentato gruppi di meditazione e letto molti libri sulla mindfulness, ma quello che stava accadendo in quel momento era completamente differente da tutto ciò che aveva provato fino a quel giorno. Gli sembrò non solo di meditare per la prima volta in vita sua, ma anche di essere il primo uomo sulla faccia della terra ad aver scoperto la meditazione.

C’era qualcosa da capire, ma qualsiasi cosa fosse, lui non l’avrebbe inseguita. In quel momento esistevano solo due cose: l’inspirazione e l’espirazione.

L’aria circolava all’interno del corpo mettendo in movimento l’organismo, rendendolo parte attiva del parco, della città, del traffico, del locale, della regione, del paese e forse anche della terra e dell’universo. 

PER CONTINUARE A LEGGERE IL RACCONTO, LINK ALL’ACQUISTO: RACCONTO COMPLETO

 

Ferdinando de Martino