Come nasce uno scrittore | Compleanno | Salvo Barbaro

Oggi è il giorno dei giorni. Mi hanno sempre detto che festeggiare i diciotto anni, anni della maturità, anni del “cazzo, posso fare quello che voglio, senza che i miei possano rompermi”, sia il giorno più bello di tutta la tua vita, indimenticabile.
Non è vero. Per me è una grossa stupidaggine. È un giorno come tanti, assolutamente uno dei tanti. C’è chi ti lecca il culo se lo inviti alla tua festa, c’è chi te lo lecca per essere invitato, c’è chi ti dice -Ti vedo benissimo oggi, più maturo!-, c’è chi, invece, non ti calcola comunque.
Io la famosa “festa” non la faccio. Festeggerò con i miei “magnifici” parenti la domenica prima o quella dopo, ma sono l’unico e dico l’unico della mia generazione a non farla. Mio fratello, quattro anni prima, ha festeggiato con i suoi amici, io no. I miei mi hanno chiesto se volevo farla, ho dubitato, ho perso tempo, forse troppo, mi sono giocato la “grande occasione”. Nulla, niente festa.
Vado ancora a scuola. Faccio il penultimo anno di ragioneria. Stessa scuola di mia madre e di mio fratello, stesso istituto, stesso percorso.
Mi sveglio verso le sette del mattino. Mia nonna mi porta il caffè a letto. Un onore per me, una gioia sentirla entrare con il passo veloce, aprire le persiane della finestra di camera e toccarmi la spalla dolcemente. Il profumo che proviene dalla tazzina è quello che nella vita non scordi mai, un tenero ricordo. Poesia allo stato puro.
Bevo lentamente e penso. Penso che non voglio andare a scuola, oggi proprio non me la sento. Voglio regalarmi un bel “filone”. A pensarci bene sono maggiorenne, posso firmarmi le “giustificazioni” da solo, bellissimo. Sospiro, mi alzo e mi preparo alla meglio. Mi guardo allo specchio. Sono brutto, mi vedo un cesso. I miei amici alla mia età già hanno avuto la loro prima esperienza, io no. Mai una ragazza, mai un misero bacio. Forse non piaccio, forse mi vergogno, sono timido. Forse ho paura. Preferisco fumare e poi mangiare, abbuffarmi davanti la tv fino a tarda sera, masturbarmi davanti a un bel film porno. Mi piace la solitudine, la calma, la noia.
Dopo il solito rito degli auguri, delle risate di circostanza che personalmente odio, saluto nonna, mio fratello ancora assonnato e mio padre. Mi dirigo velocemente alla fermata del bus. In mente un unico pensiero: non andare a scuola.
Ok, ma che faccio? Che farò da solo? Devo trovare uno o più complici. Mentre la mia testa frulla, una mano sulla spalla mi spintona, il nervosismo mi sale e non poco. Mi giro di scatto.
-Auguri ciccè! – mi dice M., mio amico, direi il migliore.
Ciccetta, il soprannome che mi porterò per tutta la vita. Non mi offendo se mi chiamano così, è simpatico, direi anche carino e non volgare.
-Oh M., grazie!
Lo abbraccio e ci guardiamo negli occhi. Al volo subito ci capiamo.
-Filone? – mi fa.
Annuisco. Sorrido. È fatta.
L’autobus arriva. Come al solito restiamo in piedi e il puzzo di caffè, sudore, sigaretta, dentifricio ci accompagna. Poi le urla, il parlare senza ritegno, gesticolare, spintoni, frenate di schianto. Odio la confusione.
Finalmente arriviamo. Io e M. scendiamo e cerchiamo di organizzarci sul da farsi. Davanti a scuola meglio non andare per evitare di incontrare qualche professore o qualche spione. Sicuramente l’indomani mi dovrò sorbire qualche “filippica” di qualcuno che mi dirà che apposta ho saltato le lezioni per non offrire, per non festeggiare con loro. “Chissenefrega!” penso.
-Andiamo in sala giochi, lì per il momento nessuno ci vedrà! – mi dice M., esperto in “filoni”. Bocciato due volte e un anno solamente per le assenze.
Annuisco. Sono emozionato e il cuore mi batte a mille.
Entriamo in questo posto. Fuori c’è il sole, dentro il buio totale. Il puzzo di sigaretta si sente lontano un miglio. Il fumo sembra nebbia. Un centinaio di macchinette videopoker, sonanti e luccicanti, fanno da contorno ad una sala immensa di altri videogiochi, quattro o cinque sale biliardo e la cassa gettoni dove a gestirla c’è un omone grande, grosso e ciccione. Ci scruta appena entriamo, ci perquisisce e ci fulmina con lo sguardo.
-Documenti! – ci dice.
Wow, è il mio momento, lo sognavo da anni. Orgoglioso prendo la mia carta d’identità e gliela “sbatto” in faccia.
-Diciotto anni oggi! – gli dico orgoglioso.
-Auguri, ma non me ne importa nulla! – mi dice con la voce rauca e con la faccia sudata e cattiva.
Deglutisco. Fa veramente paura, sembra un mostro. Ci ridà i documenti.
-Non voglio casini nel mio locale!
-Ok! – facciamo all’unisono e ci dirigiamo al piano superiore dove c’è un bar e anche la cucina. Ci sediamo. Mi frugo nelle tasche. Guardo il portafogli. Ho cinquanta mila lire. Sospiro felice.
-Caro M., oggi sei mio ospite. Si festeggia!
Mi sorride.
Il locale inizia a riempirsi di tutti i ragazzi di Avellino e provincia che sono lì per lo stesso e identico motivo. Lo sguardo resta quasi sempre fisso all’entrata del locale, per paura che qualcuno di nostra conoscenza possa scoprirci.
Ordiniamo da mangiare, ma soprattutto da bere. Birra a volontà. Ridiamo, scherziamo, brindiamo, parliamo dei nostri amici che non sono lì a godersi questo momento. Urliamo. Chiacchieriamo di niente mentre l’alcol inizia a fare il suo dovere. Prendiamo in giro la cameriera sudata, un ragazzo vestito con la felpa di pile che sembra un pastore, le ragazze accanto a noi che non sanno fumare.
Restiamo seduti in quel letamaio fino alle due. Siamo ubriachi come tegoli. Le cinquanta mila lire le ho salutate, ci alziamo e barcolliamo vistosamente. Ridiamo e finalmente vediamo la luce del sole. Mi gira tutto. Lo stomaco è sotto sopra. Mi sento male. M. mi guarda e mi prende in giro dicendomi che sono un pivello che non riesce a reggere l’alcol. Mi avvicino lentamente a un muro, poggio le mani. Inizio a vomitare. Una, due, tre volte. M. ride ancora. Alzo la testa, lo guardo, rivomito. Noto le scarpe sporche, impreco.
Sospiro. Alzo la testa di nuovo. Mi sento meglio. Respiro profondamente.
-Ciccè, tutto ok? – mi chiede M.
Annuisco e non dico niente.
Si avvicina e mi poggia una mano sulla spalla. Sto meglio e se ne accorge anche lui.
-Grazie! – mi dice sorridendo.
-Grazie a te per la giornata, socio.

Salvo Barbaro.

5 Commenti

  1. Laura

    Classica giornata filonara…..bei ricordi!

  2. francesca

    Un bel salto nel passato. Resta la curiosità di sapere come sia andata a finire con il rientro in famiglia in versione “ciucco fin dal primo pomeriggio” ! Ma una cosa è certa:sei sopravvissuto!!

  3. Anna D'Auria

    Epico.

  4. Antonio Giordano

    Divertente, mi sono immedesimato. Anch’io sono ragioniere e ho vissuto qualche esperienza simile. Bei tempi quelli! Una scrittura apparentemente semplice, soprattutto che non annoia, ma che in realtà evidenzia un’ottima padronanza dell’italiano. Sei forte!

  5. paola

    Stile secco, asciutto, ben calibrato al realismo della storia che unisce l’eccezionalità di un evento, il diciottesimo compleanno alla quotidianità , facendo diventare l’eccezionale straordinariamente quotidiano , la trasgressione normale routine con tanto di filone, sbornia e macchinette video poker. Il racconto riesce a delineare con efficacia tratti della vita adolescenziale sino alla parola finale, socio, che sancisce la complicità emotiva tra i due. Personalmente, però, avrei dato un po’ più di colore alla storia nel linguaggio e nell’ambiente, soffermandomi magari su particolari, elementi presenti nel locale , i cosiddetti dettagli che rimandano al tutto e tracciano l’atmosfera della sala e l’umore dei suoi frequentatori abituali e dei due “soci”.

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