Sono stato in palestra e mi sono anche divertito | Il resoconto di uno scrittore in una palestra di lusso | di Ferdinando de Martino.

Qualche mese fa ho visto su YouTube un video in cui John Irving si allena nella sua palestra casalinga, per poi andare a partorire qualche nuovo capoverso che lo farà diventare ancora più schifosamente ricco di quanto già non sia.
Ero convinto che gli scrittori non dovessero allenare il fisico, ma a quanto pare il mondo si accinge a cambiare e seguire il flusso, dovrebbe essere una prerogativa di chi il mondo lo vuole raccontare.
Assieme ad un mio amico che chiameremo Lucio, ho avuto l’onore di essere stato selezionato per passare una meravigliosa e confortevole giornata negli ambienti iper-stimolanti della palestra più cool di Genova: la Virgin.
Lucio doveva passarmi a prendere alle undici in punto, ma è arrivato con un quarto d’ora di ritardo ed io (che avrei dovuto essere pronto alle undici) sono uscito di casa alle undici e trenta perché… perché dovevo fare i bisogni grossi.
Non so se anche John Irving abbia di questi problemi e forse è proprio per questo che non riesco a sviluppare empatia verso la sua narrativa.
Ritardi a parte, entrai in auto alle undici e trentadue, pronto per un meravigliosa e confortevole giornata negli ambienti iper-stimolanti della Virgin.
Il mio outfit non era proprio in linea con quello di un frequentatore abituale di palestre e affini: pantaloni lunghi di una tuta comprata nei primi duemila, cappellino al contrario di una nota marca di amplificatori e una maglietta con un teschio con su scritto -Skate or Die-. In parole povere, veniva quasi da chiedersi se fossi normale a livello mentale.
In macchina cazzeggiammo un po’, facendo qualche battuta sulle palestre costose e via dicendo. Probabilmente dall’esterno dovevamo sembrare come la volpe della storiella… l’avete presente? Quella in cui la volpe si sbatte come una stronza per arrivare all’uva, ma non arrivandoci, finisce per auto convincersi che l’uva fa schifo? No? Beh, la Virgin è la nostra uva.
Mi piacerebbe avere un abbonamento in quella palestra anche solo per non andarci; ma si sa che io non sono uno con tutte le rotelle al loro posto.
Il nostro arrivo è al quanto epocale. Ci piazziamo davanti alle porte automatiche e veniamo completamente ignorati.
Pensiamo ad un danneggiamento della fotocellula e cose del genere, quindi facciamo dei passi indietro, avanti e di lato, ma niente… la porta rimane sigillata.
-Ma non ci fa proprio entrare?
-Hanno sentito l’odore del buono sconto…
Da temerario quale sono, provo ancora una volta a farmi notare dalla fotocellula come una diva della T.V. in astinenza da telecamera, ma anche quella mia ultima performance si è dimostrata vana.
Un secondo dopo ci accorgiamo che l’entrata della palestra è a fianco alla porta automatica e che gli altri sembrano accorgersene senza nemmeno un attimo di titubanza.
Bene. Iniziamo alla grande.
Entriamo, mostriamo i nostri inviti gratuiti, apprendiamo le nozioni basilari per muoversi all’interno di quel luogo chic e per niente pacchiano, in cui sono presenti quattro iMac d’ultima generazione, utilizzabili dai clienti per postare su Facebook le loro mirabolanti avventure nell’opulento tempio della salute anabolizzante.
C’erano delle donne bellissime, uomini bellissimi, bambini bellissimi, tutti così belli da farmi pensare che nessuno di loro aveva ritardato l’arrivo in palestra per fare i bisogni grossi.
Entrammo negli spogliatoi per mettere i nostri zaini negli appositi armadietti. Qui devo aprire una parentesi importante: il lucchetto.
Io ho un solo lucchetto, ma come gli oggetti più importanti e spaventosamente belli… quel lucchetto ha una storia.
Mio padre lo prese nel millenovecentonovantaquattro. Di quell’anno ricordiamo solamente tre avvenimenti degni di nota: il suicidio di Kurt Cobain, il trionfo di Silvio Berlusconi e mio padre che si accinge a comprare un lucchetto da un ferramenta.
Il lucchetto serviva a qualcosa inerente alla scuola, ma non riesco proprio a ricordare che cosa. La parte importante è un’altra, ovviamente.
Il lucchetto in questione è un lucchetto di Forza Italia. Sì. Sono andato in palestra con un lucchetto promozionale di Forza Italia.
Potevamo tranquillamente distinguere i nostri armadietti da un chilometro di distanza, grazie al dubbio gusto di mio padre in fatto di sicurezza domestica.
Lucchetto a parte, entrammo in palestra alle dodici e dieci.
Non so che dire; a me i posti così schiettamente legati al consumismo, piacciono da impazzire. Amo i centri commerciali e i multisala, esattamente come amo la buona letteratura, il buon vino, le massaggiatrici thailandesi e gli incontri di pugilato.
Le persone erano tutte diverse da me e non mi riferisco solamente al fisico scolpito e ad un atteggiamento da “Questa sera vado in discoteca ad uccidere il mio cervello, dopo aver guardato Uomini e Donne”, bensì a qualcosa di più radicato che al momento non saprei proprio definire a parole.
Decidiamo di partire con il tapirulan. Ovviamente i tapirulan della Virgin hanno un televisore incorporato e l’aria condizionata atta a simulare una corsa reale con il vento che ti scompiglia i capelli.
Qui ho notato la prima perversione. Il mio televisore era rotto. C’era il classico schermo grigio e spinoso di quando MTV non prendeva bene e non riuscivo mai a vedere una puntata intera di Beavis and Butthead, mentre il televisore della macchina accanto alla mia, occupata da Lucio, era sintonizzato su “La prova del cuoco” di Antonella Clerici.
Questa l’ho trovata una scelta estremamente dantesca: guardare della gente a caso, cucinare cibi rimpinzati di grassi, zuccheri e chi più ne ha più ne metta, mentre si è impegnati a correre su dei tapirulan per fuggire in maniera estenuante da una forma fisica che ci rende infelice, rincorrendo uno status da rotocalco che di anno in anno ci fa capire cosa è bello e cosa e brutto.
Il tapirulan è una perfetta metafora della vita: hai la reale consapevolezza di star scappando da qualcosa per raggiungere qualcos’altro, ma in realtà non ti stai muovendo nemmeno di un fottutissimo centimetro. Sul tapirulan sei perfettamente immobile in una fuga perpetua e insensata.
Un trainer della palestra mi chiede se vado ancora in skateboard ed io mi chiedo il come mai di una domanda simile, ma poi ricordo la maglietta e rispondo che mi capita di tanto in tanto di risalire in sella ad una tavola, vergognandomi palesemente, vista la mia età.
Non dev’essere proprio normale incontrare qualcuno con delle magliette simpatiche in quel luogo. Sembrano tutti prendere molto sul serio il loro abbonamento alla Virgin.
Dopo un po’ inizio ad aumentare la pendenza, fingendo di resistere tranquillamente, aumentando anche la velocità.
-Cavolo… non ti facevo così ginnico, Ferdi!- dice Lucio.
La realtà dei fatti era che stavo letteralmente morendo dentro, palesando una faccia distesa e tranquilla, esattamente come quella dei broker quando vanno a lavoro, consapevoli di gettare al cesso la loro esistenza per un mestiere più astratto dell’arte concettuale.
La seconda stranezza che ho notato in quel posto è relativa ad un utilizzo a dir poco illegale di un attrezzo.
Una signora ecuadoriana, sulla cinquantina, aveva acceso una macchina di cui né io, né Lucio eravamo a conoscenza del nome e aveva deciso di utilizzarla in maniera poco convenzionale.
In pratica la macchina era costituita da un cuscinetto rigido, un palo e un manubrio con comandi annessi, che lasciava intuire che l’attrezzo in questione andasse utilizzato da in piedi, mentre la donna aveva deciso di utilizzarlo da sdraiata a pancia in giù, con il basso ventre adagiato sul cuscino in questione.
Sia io che Lucio abbiamo pensato ad un probabile uso lapalissianamente errato dell’attrezzo, ma non abbiamo azzardato nessuna certezza, in quanto non conoscevamo il reale impiego della macchina.
Accanto a noi c’era una ragazza bellissima con una top nero, velato e sensuale che correva verso una bellezza che coltivava in maniera ossessiva. Se quello era il risultato… Dio benedica la Virgin.
Durante una sessione di pesi, in cui Lucio mi spiegò che la mia respirazione nel sollevamento sfuggiva ad ogni senso logico, notai che un tizio simile a 50 Cent, stava correndo sul tapirulan con una pendenza in stile Ivan Draco, al contrario, con la faccia rivolta verso i nostri sguardi increduli e le spalle ai comandi.
Al mondo c’è della gente davvero strana.
Dopo i pesi, lavorammo sui pettorali (credo) con una macchina che non ricordo, per poi finire a fare addominali su dei tappetini rosa Elton John.
A fianco a noi arrivò la ragazza dal top trasparente, bella in maniera prepotente. Probabilmente era la ragazza più bella che avessi mai visto, ma io sono uno che tende ad esagerare.
Dopo gli addominali, fatti spaccandomi la schiena per osservare l’allenamento della ragazza dal top nero che avrebbe potuto tranquillamente chiamarsi Giovanna o Clarissa, insomma, un nome da bellona di circostanza, andammo a mangiare.
A dir la verità, mangiai solamente io.
A quel punto eravamo pronti per quello che era stato il reale motivo della nostra permanenza in quel luogo pieno di persone che sollevavano il loro manubri per tornare a scaricare allegati word dopo una pausa pranzo passata ad affaticarsi un po’ per dare un senso compiuto alla loro stanchezza. Eravamo pronti per la zona relax.
Lucio ebbe un attimo in cui quasi pensò di farsi un paio di vasche in piscina, ma il tutto finì quando vide la vasca idromassaggio calda ed invitante.
All’interno della zona relax, oltre alla vasca idromassaggio, composta a sua volta da tre sezioni con differenti opzioni di gettata, erano presenti un bagno turco, due saune, quattro sdraio in legno, tre docce normali, una doccia scozzese e una doccia monsonica.
Riguardo alla doccia monsonica, il mio amico ha partorito una battuta da romanzo. Eravamo a mollo nella vasca, tra le bolle sparate sulle nostre schiene, quando disse -Pensa come sono fortunati i filippini… loro non hanno bisogno di una SPA per godersi delle belle piogge monsoniche.
Le battute sugli ambienti dei ricchi fanno sempre ridere. Credo che il significato sia strettamente legato al termine ironia, ovvero il definire qualcuno o qualcosa con un termine che ne rappresenta l’evidente contrario.
Esempio: se passa una persona visibilmente grassa e qualcuno grida -Ah silfide…-quella è ironia.
Spesso si confonde l’ironia con la simpatia e questa è una cosa che ho sempre trovato estremamente fastidiosa.
L’ironia fa ridere quando punta al rialzo e non al ribasso.
Se uno ha un conto in banca in rosso, puoi ironizzare dicendogli frasi tipo -Grande… sei proprio ricco eh…- ma è molto raro che qualcuno rida di questa ironia, mentre se ad uno con l’abbonamento alla Virgin dici -Ehi… è proprio dura la vita in Scozia, eh?- mentre si fa la sua doccia scozzese post-sauna, qualcuno potrebbe anche cogliere l’ironia e farsi una risata.
La doccia scozzese, per dovere di cronaca, consiste in una secchiata d’acqua ghiacciata addosso, in un ambiente iper-pagato per cose che potresti tranquillamente fare a casa tua, senza sentirti un imbecille completo.
Comunque, pur essendo un insipido stronzo, troppo retorico per essere preso sul serio da chiunque abbia un cervello o mi conosca di persona… dopo il bagno turco, ho ceduto anche io alla tentazione di fare una doccia monsonica. Una stronzata priva di senso.
Il bagno turco l’ho adorato. Era uno dei miei sogni nel cassetto farne uno e ho deciso di farlo due volte, così da potermene ricordare in futuro.
Una sauna era troppo pesante. Ottanta gradi è una temperatura da rincoglioniti a mio parere. La terza sauna era tranquilla e ho rischiato di addormentarmici dentro.
Dopo ogni sauna\bagno turco, io e Lucio ci buttavamo nella vasca idromassaggio, per assaporare una fetta di vita di quella gente così orribilmente viziata da far sentire George d’Inghilterra uno spacciatore di Compton.
Lucio ha avuto anche il coraggio di fare non una, ma due docce scozzesi. Gran coraggio. Ho visto anche qualche manager ebreo che annuiva verso di lui con profonda stima. Non è vero… queste sono le stronzate che scrivo per sembrare più pulp del dovuto.
Comunque, dopo la doccia (non monsonica o scozzese, ma una maledettissima doccia normale) siamo andati a sfondarci di pollo fritto al KFC, giusto per rovinare il lavoro della palestra.
Ho provato uno strano senso di vuoto, quando abbiamo abbandonato gli ambienti confortevoli della Virgin.
Era come se un’oscura falciatrice metaforica avesse falciato quella piccola parte di me che aveva vissuto quell’esperienza come una cosa normale.
Il bagno turco, la sauna e l’idromassaggio… probabilmente è così che passa la sua vita Trump.
Questo è quanto.

Ferdinando de Martino.