Scrittura da fast food |quando gli scrittori preferiscono Starbucks alle librerie

Foto von Chuck Palahniuk

L’iconografia dello sceneggiatore illuminato dalla luce del suo monitor, impegnato a sorseggiare un caffè formato “sfamiamo il terzo mondo” in una catena in franchising e stata ripresa in svariati format letterari e televisivi.

Esiste davvero un rapporto tra lo scrittore e il fast food? Perchè una volta erano i bistrot e le taverne a catturare l’attenzione dei nostri creatori di parole preferiti; qual’è la correlazione tra letteratura e cibo da catena di montaggio?

Prima di continuare, vorrei precisare che l’appellativo scrittore da fast food non vuole assolutamente essere denigratorio, ma semplicemente esplicativo.

Esiste una particolare categoria di letteratura che riesce in maniera estremamente precisa a riprodurre l’attitudine del fast food su carta.  Mi spiego meglio; la domanda che dobbiamo porci è la seguente: cosa cerchiamo nei fast food?

I fast food rappresentano una casa ipotetica, molto simile alla concezione del palazzo mentale. Ecco… i fast food sono dei palazzi mentali di sensazioni organolettiche.

Tutta la diatriba sugli scompensi alimentari e stronzate varie le lasceremo alla porta, perchè adesso inizieremo ad addentrarci nel concetto che voglio esporvi.

Quando ci troviamo all’estero, magari in un paese in cui la cucina non è di nostro gradimento, finiamo irrimediabilmente alla ricerca di qualcosa in grado di farci sentire a casa. Ora, sinceramente a me mangiare una pizza fa sentire a casa, ma dubito che una pizza bulgara riuscirebbe a farmi annusare gli aromi della mia terra, quindi in una situazione del genere, probabilmente finirei a mangiare un panino al Mc Donald. Come mai?

Perchè il Crisby Mc bacon bulgaro è lo stesso di quello austriaco, italiano, svedese e portoghese. Addentando quel panino di matrice americana in Bulgaria mi sentirò davvero italiano.

Il concetto di casa è la prevedibilità. Al Mc Donald non avrò mai spiacevoli sorprese, ma sicure certezze ed è meglio una certezza così e così, che una delusione stratosferica come una pizza  col ketchup.

Ora, torniamo alla letteratura. Quello che ritroviamo in certi autori è proprio quella sicurezza da fast food che tanto amiamo. Quando prendiamo in mano un libro di King, sappiamo che qualche protagonista potrebbe aver avuto problemi con le droghe  o magari troveremo delle atmosfere a noi familiari, già viste in tutti gli altri libri. Prendere in mano un Palahniuk, vuol dire sapere già dove si andrà a parare: una prevedibilità sconcertante nei dialoghi e nelle ossessive ripetizioni compulsive di un postmodernismo quasi da barzelletta.

Wallace è fast food ed è uno degli autori più geniali dell’intera letteratura globale. Cèline è fast food.

La letteratura da catena di montaggio è esattamente come la Apple, non ce ne frega un cazzo dell’hardware… perchè è il design ad ammaliarci.

Amiamo quel modo di raccontare a scapito di quello che si racconta.

Tutti passiamo un periodo della nostra vita ad amare la nouvelle cousine della letteratura, ma poi finiamo irrimediabilmente alla ricerca spasmodica di una firma riconoscibile, una voce solista all’interno del coro delle parole di tutti i libri che intossicano le nostre librerie con abbellimenti alla cruda realtà.

Baricco è fast food esattamente come Don De Lillo.

E a noi il fast food piace parecchio.

 

 

Ferdinando de Martino.