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Jim Carroll, il poeta, l’eroina e una città di forsennati.

Jim Carroll fa parte di quel versante letterario che spesso viene tralasciato dagli insegnanti e dagli ambienti accademici, vuoi per la sua visione cruda e vivida del degrado emotivo e non, vuoi per il suo eccessivo uso di soliloqui davanti alla bellezza della sua città o probabilmente perchè una classe di inebetiti quattordicenni sarà sempre più facile da gestire di una classe di quattordicenni intelligenti e acculturati.

Jim Carroll, il “ragazzo cattolico”, il poeta eroinomane che ha messo in ginocchio i romanzieri dell’intero pianeta, quando a soli tredici anni iniziò a scrivere  “The basketball diaries, nasce a New York nel 1949 per poi spegnersi l’11 settembre del 2009, sempre nella sua amata New York.

Il nome di Carrol è da sempre sinonimo di estro creativo, l’estro di un osservatore della vita, uno scrutatore che appuntava sui suoi quaderni tutto ciò che il mondo gli faceva passare affianco, dipingendo le parole come solo un odierno Van Gogh avrebbe saputo fare.

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Questo ragazzo troppo magro, troppo alto, troppo rosso, troppo affascinante, ha vissuto la vita come se questa fosse un lungo eccesso, non ha caso, uno dei temi principali della sua opera è appunto la droga, intesa non come metafora della vita, ma come metafora della “sua” vita.

Quando ci si trova davanti a “The basketball diaries”, un solo pensiero s’impadronisce del nostro cervello -Ehi, ma questo ragazzino aveva davvero tredici anni?-. Sì, aveva solamente tredici anni.

Jim, la sua New York, i suoi taxi e il suo Central Park, l’intero immaginario di una città che sembra costruita all’interno della sua immaginazione, solo per essere romanzata dalla sua penna… il lavoro di Carroll ha lasciato sgomente intere generazioni di scrittori, inermi d’innanzi al suo talento.

Kerouack disse:  Jim Carrol a tredici anni, scrive meglio dell’ottanta per cento dei romanzieri del pianeta.

La visione di Patti Smith, intenta a cantare Pepole who died della Jim Carroll band, al suo funerale è stata la perfetta chiusura di una vita vissuta al cospetto dell’arte, in ogni sua forma.

L’irreprensibile Carroll, poeta, romanziere, cantante, drammaturgo e diarista, si spegne davanti alla sua scrivania, facendo ciò che amava fare più d’ogni altra cosa: scrivere.

Era l’11 settembre 2009, una data molto particolare per un newyorkese, quasi come se l’empatia l’avesse voluto cucire ancora di più all’asfalto e al cemento di una città che lui stesso aveva costruito e ricostruito più e più volte nei suoi libri.

Sulla sua lapide l’epitaffio recita : quando lo spirito grasce più del corpo, viene chiamato a casa.

Jim Carroll è e rimarrà per sempre il poeta punk che i suoi lettori hanno imparato ad amare.

Ferdinando de Martino.