netflix

SUITS | una stupenda serie a tempo determinato |

Cosa dire di Suits, se non che per molti è l’erede di Mad Man con tanto di citazioni a riguardo. La differenza sostanziale è che la serie incentrata sui pubblicitari americani ha avuto un perfetto inizio e un eccellente finale, al contrario di quella legale.

Suits, per via di spin-off, rinunce ai ruoli per matrimoni di reali e chi più ne ha più ne metta ha smesso di essere suite da un bel po’ di tempo.

Diciamocela tutta, il solo fascino di Harvey Specter non basta a tenere in alto lo show di USA Network.

Le prime stagioni erano brillanti, tecniche, intriganti e thriller. Chi non ha avuto le palpitazioni per la situazione instabile di Mike Ross e Rachel Zane.

La verità è che di Mad Man c’è n’è uno solo. Suits avrebbe potuto tranquillamente essere una di quelle serie da prendere come esempio e non il contrario. Purtroppo senza la suspense legata ai personaggi del cast delle prime stagioni non rimangono che gag di Louis Litt e frasi laconiche di Harvey.

Consigliatissima fino alla settima stagione, fingendo che il resto non esista.

Comunque non è da tutte le serie avere in copertina una duchessa o ex duchessa… insomma, Meghan Markle

Ferdinando de Marino

Vuoi trasformare la tua passione in lavoro

HOMELAND | Tutti amano Carrie | Recensione

Qual è il segreto di Homeland? Una serie che dura da otto anni e che anche dopo la scomparsa di uno dei personaggi principali riesce a mantenere suspense e ritmo in maniera ineccepibile.

Semplice: il segreto è Carrie Mathison o, per meglio dire Claire Danes.

L’unico vero motivo per cui guardiamo Homeland è che siamo tutti innamorati di Claire e speriamo che il suo personaggio bipolare faccia dal nulla l’amore con qualcuno, esattamente come la serie ha abituato i fan da svariati anni.

Che tu sia uomo, donna, trans o genderfluid non ha importanza tutti si innamorano di Carrie e tutti aspettano che mischi il lavoro della CIA con il suo piacere personale.

Siamo sicuri che gli sceneggiatori conoscano bene questo meccanismo perverso che giace dormiente nei nostri cervelli e lo utilizzano per continuare a produrre una stagione dopo l’altra. Purtroppo siamo arrivati all’ultima stagione e tra poco non potremo più vedere Claire Danes passare da una strage di stato a limonare uno studente di medicina.

 

Ferdinando de Martino

THE SINNER | Recensione | Netflix

Superare l’esordio con la sensazionale Jessica Biel nei panni di Cora era difficile e The Sinner avrebbe potuto fare la fine di molti altri prodotti devastati dalla mancanza di uno o più elementi del cast.

Questa seconda stagione affronta il tema delle sette sempre care agli spettatori. Bill Pullman è strepitoso nel ruolo del detective e incentrare sul suo passato una parte della trama ha sopperito ampiamente alla mancanza della Biel, che figura comunque all’interno dello staff produttivo.

L’elemento sorpresa anche questa volta non manca e bisogna ammettere che il prodotto USA Network è davvero di buona qualità.

Se cercate un thriller psicologico che affronti le vicende da più punti di vista, THE SINNER fa decisamente al caso vostro.

Consiglio di visionare la prima stagione e poi passare alla seconda, nonostante le due storie risultino slegate. L’interpretazione di Jessica Biel nella prima stagione è sublime.

Vuoi diventare uno scrittore?

Sceneggiature: di cosa parlano i film? | Storia di un matrimonio | NETFLIX

Sono le due passate e ho appena terminato la visione di “STORIA DI UN MATRIMONIO” targato NETLFIX.

Si tratta dell’ennesimo film americano a tema divorzio che in realtà è tutto fuorché l’ennesimo film americano a tema divorzio. Scritto, diretto e prodotto da Noah Baumbach che utilizza nuovamente uno dei suoi attori prediletti “Adam Driver”. Il regista mette in piedi un vero e proprio dramma famigliare basato sul concetto di umanità.

Quando ci si ritrova davanti al grande spettacolo della guerra tra coppie si finisce quasi sempre per patteggiare per una delle parti, simulando lo stesso amore vuoto a perdere che si prova per alcuni politici. 

Trovo sbagliato utilizzare l’opera omnia di un regista per definire un lavoro, quindi vorrei concentrarmi solamente sul film con Scarlett Joanson e Adam Driver. 

Perchè non ci immedesimiamo nei perdenti?

Guardando una sparatoria o un duello con le spade, siamo soliti immedesimarci in colui che spara e mai nell’assassinato, perché l’eventualità della sconfitta ci terrorizza a morte. Siamo figli degli anni ottanta e i media hanno alimentato i nostri cervelli europei con pane ed edonismo. “La a guerra dei Roses” è il perfetto esempio di quel meccanismo in stile cane mangia cane che dovrebbe rappresentare un divorzio nell’immaginario collettivo.

La realtà dei fatti è che una persona ferita cerca sempre riparo nella rabbia, piuttosto che nell’accettazione. Incassare per molti è segno di debolezza, ma è stato proprio un film americano a mostrarci l’importanza del rialzarsi sempre: Rocky.

Non diciamo mai, guardando uno spettacolo -Cavolo, vorrei essere sgozzato in quella maniera.- o -È proprio così che vorrei essere licenziato e perdere tutto.-.

Guardando questa pellicola ho pensato che divorziare in quella maniera non sarebbe stato poi così male.

Il sogno americano è ancora vivo?

Ci sono due interpretazioni relative a questo film. Una semplice e sensazionalmente romantica e una un po’ più veritiera.

1 Quando un forte sentimento lega due persone, intimamente e profondamente, questo è destinato a tramutarsi, quando il dolore diminuirà d’intensità, in qualcosa di altrettanto viscerale.

2 Divorziare non è mai bello, ma se sei borghese, bianco, privilegiato e facilmente soggiogabile è un po più facile del dovuto.

Per quando possa sembrare una satira, la seconda interpretazione è forse quella più veritiera e lusinghiera nei confronti di questo piccolo gioiello. 

Essere noi stessi nell’altro è complicato, ma smettere di essere se stessi per qualcuno è decisamente più doloroso e questo è il grande messaggio che la sceneggiatura tende a suggerirci, fino a farci dire: beh, se fossi bianco, ricco e viziato vorrei divorziare proprio così.

Viviamo in un secolo stanco e questo film potrebbe essere il manifesto di una generazione talmente lontana dal sogno americano da aver smesso di far giocare i propri bambini al dottore o all’avvocato, per regalargli un buon contratto prematrimoniale al posto di un videogioco. 

Ce li vedo proprio questi neo genitori biologici e vegani dire ai figli -Se tutto andrà bene farai il medico e il tuo primo divorzio non ti distruggerà in maniera irreversibile.-

 

 

Ferdinando de Martino

 

After Life – La serie evento – recensione di Ferdinando de Martino

Prendere un personaggio conosciuto e mediatamente controverso è un’arma a doppio taglio quando si lavora ad un progetto d’intrattenimento. In questo caso la scelta, dell’emittente mediatica più lungimirante del momento (Netflix),  di produrre una serie televisiva creata, diretta e prodotta dal poliedrico Ricky Gervais è stato un vero e proprio azzardo.

L’idea di affrontare due temi drammatici quali malattia fisica e patologia mentale è non solo coraggiosa, ma a tratti folle e ipoteticamente fallimentare. Tuttavia Netflix ha dalla sua parte un enorme vantaggio, correlato alla nuova metodologia di fruizione dei contenuti. La possibilità d’immergersi in una maratona, guardando un’intera stagione nel giro di due o tre giorni, rende molto semplice il linguaggio narrativo. Per i profani del mondo delle sceneggiature, mi soffermerò meglio su questo particolare.

La prima puntata di After Life è eccezionale, ma non avrebbe assolutamente funzionato in un contesto televisivo. Dopo aver guardato l’episodio pilota, la settimana successiva, la maggior parte del pubblico non si sarebbe sintonizzato sulla seconda puntata. Non è una questione di qualità, bensì di metodologia d’assunzione.

Quando si produce il primo episodio di una serie televisiva, l’obbiettivo è quello di infilarci una ricca presentazione dei personaggi e un colpo di scena atto a incuriosire lo spettatore, portandolo ad aspettare la puntata successiva. Stiamo parlando di un mero ragionamento commerciale.

Gli utenti Netflix, avendo già pagato per usufruire della piattaforma, non sono costretti ad attendere settimane per guardare un episodio, questo gioca a favore dei prodotti targati Netflix, perché essendo forti di questa dinamica anti-commerciale, possono permettersi di creare un prodotto d’autore, senza snaturare la trama nativa, evitando di trasformare il primo episodio in un grosso spot pubblicitario dell’intera opera.

Questa motivazione, strettamente settoriale, rende After Life un prodotto tecnicamente ottimo.

Ma veniamo al reale motivo che mi ha spinto a scrivere una recensione: si può uscire dalla depressione?

Questa è la grande domanda attorno alla quale ruota la vita del protagonista. Non è la risposta onnisciente ad essere importante, quanto più quella che lo stesso Gervise riserva al suo personaggio, ovvero: no.

Così, dare ad un tossico i soldi per comprare un’overdose finale diventa una scelta comandata, perché se da quel tunnel buio non si può uscire, è inutile tentare la corsa.

Tuttavia facendo gli stronzi spesso si finisce per imparare che il genere umano non è altro che lo specchio dei nostri stessi atteggiamenti e che la persona che abbiamo davanti non è che un essere vivente con un suo bagaglio emotivo e un caleidoscopio di demoni.

After Life è il prodotto di uno dei migliori sceneggiatori del nuovo millennio e come al solito noi europei riusciamo a creare una tipologia d’intrattenimento che gli americani possono solamente sognare.

 

 

Ferdinando de Martino

 

MARKET 24 | il romanzo del web | Presentazione

IMG_0427
Com’è difficile parlare dei propri lavori…
Partiamo dal principio: avere un blog non serve a niente se non ci butti dentro materiale inedito.
Come molti di voi sanno, è da poco uscito il mio nuovo romanzo “Uroboro”, acquistabile dal sito di Eretica Edizioni. Scrivere Quel libro mi è servito per dimostrare di non essere un totale imbecille, vittima del postmodernismo e degli echi della beat generetion. Scrivere un romanzo lineare è stato divertente e gratificante e spero che il libro possa piacere a chi l’ha acquistato e a chi l’acquisterà in futuro.
Ci tengo a ringraziare chiunque abbia comprato i miei libri o supportato questo piccolo sito, perchè per quanto possa risultare stupido, non è per nulla semplice giocare a fare lo scrittore. È un lavoro estenuante, credetemi, ma nessuno mi ha puntato una pistola alla testa dicendomi -Distruggi la tua esistenza davanti ad un computer mentre gli altri vivono la vita vera.-, quindi è stata una scelta del tutto libera.
Mentre leggerete questo articolo, starò caricando sul blog un libro dal titolo “Market 24”.
Perchè? Semplice: perchè il mestiere dello scrittore è quello di arrivare al pubblico e per quanto ci piaccia credere che meno sei mainstream, più sei geniale, questa versione delle cose differisce molto dalla realtà.
La connessione tra la testa dello scrittore, nel momento in cui ha scritto il libro, e la testa del lettore nel momento in cui legge le parole su carta o foglio elettronico, è l’unico punto d’arrivo.
“Market 24” è un romanzo postmoderno di genere. Ecco… l’ho detto.
È un (tappatevi gli occhi intellettuali) thriller. Tuttavia, non vi saranno le solite scorciatoie e cazzate del genere appena citato, in quanto l’opera è a tutti gli effetti un lavoro singolare.
La storia c’è, ma non è il soggetto, perchè il soggetto sono i soggetti. Ganzo il gioco di parole, eh?
Il romanzo è stato pensato per il web, seguendo il modus operandi di Netflix, ovvero, avendo terminato la prima parte (di tre), ho deciso di caricarla interamente sul sito, dandovi l’opportunità di seguire il lavoro come e quando volete. Potrete leggerlo tutto d’un fiato, oppure frazionare la lettura secondo i vostri ritmi di lavoro.
Come dicevo, la storia è interamente narrata dal punto di vista dei singoli protagonisti, come se il lettore entrasse nella testa di ogni personaggio, ascoltandone i pensieri. Questo renderà difficile seguire la trama, semplificando però l’empatia. Questo è l’obbiettivo di “Market 24”, raccontare i personaggi più che la storia; impresa estremamente difficile per un romanzo di genere.
Ogni capitolo parlerà delle ore relative alle singole giornate dei personaggi, nell’arco di alcune settimane, regalandovi la prospettiva di ogni carattere all’interno dello stesso contesto.
Ogni personaggio avrà il suo modo di esprimersi e pensare, seguendo il tanto amato da noi feticisti della parola scritta, flusso di coscienza.
Ci sarà un pazzo, un altro pazzo un po’ più pazzo del primo, una youtuber, una cassiera, un poliziotto e… altri personaggi nella seconda parte, in produzione.
Ecco fatto. Adesso, dopo aver svelato tutto, mi sento molto più libero e felice di condividere con voi questo materiale inedito.
Anche perchè mi sembra maleducato produrre solamente cose a pagamento, sebbene io debba comunque mangiare, senza coltivare il blog come se fosse un lungo romanzo in continuo sviluppo.
Detto questo, non crediate che i lavori piovano dal cielo a noi scrittori, anzi… non piovono mai e quelli che piovono sono quasi esclusivamente cazzate erotiche e per cazzate erotiche, intendo: porno. Sì, per tirare a campare ho scritto anche porno.
Non voglio rubarvi altro tempo…
Se volete comprare il mio libro, potete comprarlo e spero che Ermand, il suo protagonista, possa allietare le vostre ore di lettura; mentre se volete leggere “Market 24”, dovrete semplicemente fare un giretto sul mio blog e iniziare la lettura.
Spero perdonerete gli eventuali refusi, dovuti alla produzione indipendente del lavoro e la narrazione scostante, dovuta all schiettamente postmoderna linea di prospettiva.

Ciao e grazie.
Ferdinando de Martino.