scrittura creativa

Come scrivere un buon SOGGETTO |

Quante volte le idee ci sfuggono oppure le imprimiamo su carta, ma poi dopo qualche minuto iniziano a sembrarci stupide? Questo accade perché l’ideazione del soggetto è un po’ come l’idea che si trova alla base del disegno architettonico di una casa. Non è il progetto, ma l’intuizione.

Avere un soggetto solido vale per ogni tipologia di scrittura, da quella cinematografica a quella seriale, dal libro fino al teatro.

Lavorare con la scrittura è un lavoro complicatissimo e pieno di compromessi con se stessi e, soprattutto con il mondo che ci circonda. E non esiste un percorso identico per tutti per arrivare a partorire un buon soggetto.

Con la nostra scuola tendiamo a portare gli iscritti a quel livello di produttività in grado di generare quella sequenza di soggetto-appunti-bibbia dei personaggi-manoscritto.

Info sul nostro corso qui sotto.

Essere uno scrittore non vuol dire vivere come Hank Moody di Californication, serie televisiva incentrata su di un fittizio scrittore americano. Essere uno scrittore è una questione di vita, morte ed egoismo; sì, perché dovrete rinunciare a tanto.

Che prezzo ha tutto questo? Personalmente credo che partecipare al nostro corso o a uno dei tanti che potrete trovare sia utile per raffrontarsi con persone che lavorano nel campo. Ogni struttura ha la sua peculiarità. La nostra scuola, ad esempio ha quella di essere annessa all’Infernale Edizioni e di terminare il corso con una pubblicazione, accompagnando il nuovo autore nel mercato editoriale.

L’importanza del soggetto è basilare e questa è solo una delle tante cose che il corso affronterà con ogni futuro autore.

In Califorinication, appunto, il soggetto è molto semplice: Il cliché autodistruttivo dello scrittore debosciato deve riconquistare la sua dolce metà, affogando i giorni in un mare di alcol e le notti in un fiume di sesso.

Semplice e diretto. Il soggetto dev’essere sincero e venire dalla parte più pura del meccanismo artistico. Il tempo per sporcare il lavoro verrà dopo.

Se siete interessati ai nostri corsi potete cliccare il link a metà dell’articolo o scrivere direttamente all’indirizzo: scritturacreativaiedizioni@yahoo.com

 

Ferdinando de Martino

Violenza sui minori | IL PALAZZO DEI MOSAICI di Paolina Russo | Parlare del trauma

Sentiamo sempre più spesso parlare di violenza sulle donne e violenze sui minori perché, nonostante i carnefici non siano cambiati, le vittime hanno da tempo iniziato ad alzare la testa, denunciando tali violenze.

Sembrerebbe un ragionamento lineare: se qualcuno ti fa del male, basta denunciarlo.

La realtà dei fatti è distante anni luce da questa semplificazione. Oggi vi racconteremo la storia di un’autrice che non solo ha avuto il coraggio di alzare il capo ma che, a distanza di anni, ha creato un modo del tutto atipico per fare uscire i suoi demoni interiori. 

Troppo spesso le vittime non vengono ascoltate, o ancora peggio, vengono messe in dubbio le loro accuse. Altre volte accade che dopo una denuncia, la bestia che si cela dietro la violenza finisca per ammazzare la vittima prima di arrivare al processo. Proprio in questo mondo terribile e angosciante, Paolina Russo ha elaborato il suo dolore gettandosi a capofitto nel mondo della scrittura. 

In una Campania di qualche anno fa, muove i suoi passi nella vita la piccola Oli che da poco ha perso sua nonna; figura molto importante per la bambina. 

Attorno a lei un’intera famiglia in trepidazione per un matrimonio nella cornice del Palazzo dei Mosaici.

I giorni della bambina vengono scossi dalla presenza di sua nonna che, sotto forma di fantasma, sembra tornata per risolvere qualcosa nel palazzo di famiglia. 

Questo escamotage dark riesce a conferire al libro Il Palazzo dei Mosaici una leggerezza quasi fiabesca, nascondendo al suo interno un messaggio difficile da digerire che ai più potrebbe anche sembrare freddo: allontanarsi da un trauma può aiutare a trovare le giuste armi non per combatterlo, ma per conviverci.

Così l’autrice del romanzo ha deciso di affrontare un trauma a sfondo sessuale legato alla sua infanzia.

Parlando con Paolina Russo le abbiamo chiesto come la scrittura e il suo trauma si sono incontrati per trasformarsi poi in un romanzo   

Paolina Russo: Il trauma interferisce e condiziona inesorabilmente la vita di chi lo ha subìto. Anche quando il traumatizzato decide di rimuoverlo fino a negarlo a se stesso. La scrittura non può salvare né guarire dalle ferite di un trauma, ma è uno strumento utile per tirare fuori e fare riemergere una parte di noi. Scrivere mi ha aiutata ad ammettere di aver subito un trauma.

La scrittura di genere molto spesso nasconde parti delicate e personali. Frankenstein ne è un esempio lampante. Utilizzare l’archetipo del fantasma ti ha aiutata dal punto di vista dell’espediente letterario?

Paolina Russo: Credo che la scelta dell’io narrante abbia fatto la differenza. Un fantasma arrabbiato con gli uomini era ottimale. La nonna, che interagisce con la protagonista, è basilare per la comprensione del trauma. Quindi credo che gli escamotage narrativi aiutino moltissimo. 

L’opera diventa un esperienza a tutto tondo con una Campania ricca di tradizioni alle spalle. Proprio per questo  Il Palazzo dei Mosaici uscirà parallelamente anche in versione audiolibro. Chiunque acquisterà la versione ebook avrà la possibilità di ascoltare gratuitamente in streaming l’audiolibro edito da I.Edizioni. 

Con questo libro, uscito dalla fucina della scuola di scrittura creativa Genius di Paolo Restuccia, Paolina Russo non solo ha trovato una sua voce, ma è riuscita a far parlare un dolore che si muove all’interno di molte persone e che spesso cede al silenzio, finendo per rimanere un trauma inespresso. 

Per descrivere a pieno questo romanzo esiste un solo termine: coraggio. 

 

Ferdinando de Martino

OPEN CLASS BOLOGNA | Scrittura creativa

Di cosa si tratta?

Ferdinando de Martino (Direttore Editoriale I.Edizioni), assieme. a Michelangelo De Gregorio, porterà a Bologna una Open class gratuita del corso di scrittura creativa di I.Edizioni.

Argomenti

Si parlerà della struttura del racconto dagli anni ottanta al giorno d’oggi e del percorso lavorativo che porta le idee a diventare veri e propri libri. La discussione verterà attorno a tre titoli fondamentali della letteratura contemporanea.

Per partecipare all’Open class gratuita di Bologna potete scrivere all’indirizzo: michelangelo544@gmail.com

Meditazione e Minimalismo | un racconto di Ferdinando de Martino

La sensazione d’attrito provata durante le continue accelerate nel traffico cittadino lasciava sempre una strana polvere nera sulle sue mani. 

Gli capitava spesso di osservarla, rimanendo ogni volta imbambolato come se l’avesse vista per la prima volta. Lo scooter era vecchio ma non a tal punto da cadere a pezzi e sgretolarglisi tra le braccia. L’autunno stava arrivando. Passeggiando sotto i portici della parte nuova di Genova, accese una sigaretta. 

Ogni mattina cercava di togliere la polvere nera dai polpastrelli sfregandoli sui jeans. Lavorando in cucina non poteva permettersi delle mani come quelle. Il proprietario non si vedeva dietro al bancone. Il grande capo non aveva fatto il suo ingresso trionfale. 

Solitamente lo spiava con occhi furtivi quando fumava prima di entrare a lavoro. 

Albi non era mai stato un cattivo impiegato ma notando l’aggressività che negli ultimi periodi era andata via via crescendo in Marco, aveva deciso che fino all’orario d’entrata lui non avrebbe messo piede dentro al locale.

La settimana precedente Emiliana si era beccata una strigliata unica per aver sbagliato un’ordinazione e ad Alberto era sembrata molto fuori luogo come reazione. Probabilmente Marco stava traendo ispirazione da quei programmi culinari in cui gli chef prendevano ad insulti i loro sottoposti, trattandoli come se si trovassero in una caserma della Seconda Guerra Mondiale. 

D’istinto avrebbe mandato il suo capo a quel paese, difendendo Emiliana, ma qualcosa l’aveva fermato. Non si trattava di un agente esterno, ma di una strana parte interiore.

Guardando le persone far colazione dentro al Toody, Albi capì che il tizio riflesso nella vetrina non era lui. Per quello nessuno aveva difeso la sua collega, perché lui non si trovava realmente a lavoro quel giorno. La persona che si beccava i rimproveri di Marco, quello che rimaneva fino alla fine a pulire i piatti, non era lui. 

Quando tornava a casa da Erika non era lui. Mangiavano proteine in una stretta dieta a zero carboidrati per via del Cross-fitt, divenuta l’unica ragione di vita della sua fidanzata e bevevano strane tisane contenenti taurina, guaranà e via dicendo. Insomma, quell’uomo non era Alberto. 

La sigaretta stava per raggiungere la metà quando si pose una domanda: quando era realmente se stesso?

A lavoro diventava un cagnolino ammaestrato, di tanto in tanto abbaiava ma non mordeva mai nessuno. A casa non si faceva altro che parlare del viaggio in Polinesia che Erika progettava da due mesi e a lui della Polinesia non era mai importato nulla. Guardavano dei film assieme, la sera, romantici o di formazione. Pellicole per le quali non provava molta empatia. Solamente quando Erika si trascinava a letto e lui rimaneva a guardare qualche vecchio film su Netflix per quindici minuti prima di cedere al sonno; allora e solo allora era veramente lui.

Alberto era Alberto per soli quindici minuti al giorno, acciambellato sul divano davanti ad un b-moovie anni ottanta. Un totale di centocinque minuti alla settimana. Stava vivendo la vita di qualcun altro.

Gettando la sigaretta decise che non si sarebbe mai più ritrovato con la polvere sulle mani. Voltò lo sguardo fino al parco difronte al locale e iniziò a camminare, attraversando sulle strisce pedonali a ritmo di un intermittente pedone verde.

Guardando l’erba l’intera prospettiva della vita sembrava cambiare nei suoi pensieri. Non ci fu un vero e proprio ragionamento dietro l’azione che seguì quegli attimi, ciò che ci è dato sapere è che semplicemente accadde. 

Albi posò il casco e si mise a sedere a terra con le gambe incrociate, chiuse gli occhi e cominciò ad inspirare ed espirare. 

Poco distante da lui il traffico della città continuava ad irrompere nelle conversazioni e nelle vite delle persone, prepotentemente come un cane in calore alla disperata ricerca di una gamba sulla quale sfogare i propri istinti.

I genovesi, un po’ come tutti gli abitanti delle città, erano  abituati a quei rumori. Era una specie di serenata al rombo di motore.

Concentrandosi solamente sul respiro che entrava e fuoriusciva dai suoi polmoni ad Alberto sembrò quasi che qualcuno avesse abbassato il volume della sua città, come quando si silenziava una chiassosa trasmissione televisiva. 

Meditare non era nei suoi piani per quella giornata. Aveva frequentato gruppi di meditazione e letto molti libri sulla mindfulness, ma quello che stava accadendo in quel momento era completamente differente da tutto ciò che aveva provato fino a quel giorno. Gli sembrò non solo di meditare per la prima volta in vita sua, ma anche di essere il primo uomo sulla faccia della terra ad aver scoperto la meditazione.

C’era qualcosa da capire, ma qualsiasi cosa fosse, lui non l’avrebbe inseguita. In quel momento esistevano solo due cose: l’inspirazione e l’espirazione.

L’aria circolava all’interno del corpo mettendo in movimento l’organismo, rendendolo parte attiva del parco, della città, del traffico, del locale, della regione, del paese e forse anche della terra e dell’universo. 

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Ferdinando de Martino

Come nasce un libro ? – di Ferdinando de Martino

Ogni libro ha una genesi particolare.  Nella mente degli scrittori  c’è sempre una causa scatenante e questa è l’unica cosa che trovo interessante da discutere assieme ad un autore. Lavorando da anni nell’editoria preferisco che siano i libri a parlare, lasciando agli scrittori l’onere della scrittura.

Mi capita quindi di chiedere ai miei autori di pensare bene all’idea, a quello che si vorrebbe comunicare con un manoscritto e reputo tutto ciò estremamente interessante.

Quindi oggi non ho nessuna intenzione di ammorbarvi parlando di un libro, bensì delle motivazioni che mi hanno spinto a pubblicare il titolo ROMEO E GIULIETTA SI SONO BEVUTI IL CERVELLO.

Come potrà garantirvi Marco Peluso, un autore che frequento mediaticamente, spesso chi lavora con la scrittura finisce per impegnarsi in molti progetti, allineando questi allo studio. Nel mio caso si aggiunge anche il lavoro editoriale, ma esattamente come nella produzione dei miei spettacoli teatrali, mi avvalgo di componenti che riescono a rendere il mio lavoro un po’ più facile.

La genesi di questo libro nasce da due fattori. Il primo è legato alla produzione di racconti che molti siti di case editrici francesi regalano ai lettori per poi aggiungerne uno un po’ più lungo in una versione cartacea. Amando profondamente la linea editoriale dei nostri cugini, decisi di optare per questa metodologia ed iniziare a pubblicare una serie di racconti sul sito dell’Infernale Edizioni, lavorando a quello principale in parallelo.

Insomma, regalare dei racconti confezionando poi un libro finale mi sembra molto coerente con la divulgazione quasi open source.

Il secondo è il concetto di prigione. Ho visto, nella mia breve vita, persone con un’incredibile capacità di auto-privazione-della-libertà che mi ha sempre affascinato. La mia storia, quindi, partiva dal concetto basico del: spesso noi stessi possiamo essere il nostro peggior nemico.

Questo è il punto centrale. La storia parla di un pugile e di una cameriera. Un piccolo idillio nella periferia piemontese esploderà tra loro, mettendo in luce le sbarre delle prigioni che i protagonisti si sono costruiti attorno.

Io amo chiamare il format con cui ho pubblicato ROMEO E GIULIETTA SI SONO BEVUTI IL CERVELLO, “libro regalo”. Lavorando alle mie sceneggiature e ai miei romanzi nelle pause tra gli editing, la preparazione dei corsi della scuola e le attività gestionali è bello poter sfornare ogni tanto qualcosa per non far passare dei tempi biblici tra un romanzo e un altro.

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Ferdinando de Martino

VITTIME – un racconto di Rossella Donadeo

“Cosa ti passa per la mente un attimo prima di morire?”

Chiudo gli occhi, non voglio vedere.

Mi illudo per l’ultima volta.

Nego, evito, ignoro.

Cosa ti passa per la mente?

La nausea fortissima, le viscere attorcigliate in un fuoco che brucia da dentro fino a contrarre tutto il corpo attorno a questo nodo, la gola arida e serrata: tutto questo sembra improvvisamente svanito nel nulla.

Sospeso in questo attimo senza fine, ogni cosa mi arriva attutita, rallentata, irreale. Come questo mio non provare nulla ora.

Cosa ti passa per la mente?

Una vita passata a schivare ogni possibile scelta, responsabilità.

Sono il mago dello slalom d’immaginari paletti.

Troppo dolore, troppa crudeltà hanno visto questi occhi.

E allora è meglio chiuderli.

Trascinato dalla corrente del fiume ho scelto solo l’inevitabile.

In questa guerra senza fine ho fatto solo ciò che andava fatto.

Vittima e carnefice.

Ho ucciso, certo.

Ho visto uccidere, certo.

Ma è come se fossi stato altro da me stesso, spettatore di un film splatter e truculento, con tanto sangue, ovunque.

Cosa ti passa per la mente?

Il cuore asciutto, riarso come un deserto.

Perché non provo nulla ora?

Dove è finita la rabbia, l’odio, la paura, la sete di giustizia?

Mi scopro lucido a pensare cosa rimarrà di me.

Cosa ti passa per la mente?

Forse questa foto, che mi renderà un eroe per il mio popolo e griderà vendetta.

Ma io dove sarò?

Svanito nel nulla, come la mia paura, le mie emozioni, la mia anima, il senso di tutto ciò.

Forse non è poi così male morire.

Tutto tace alla fine.

Anche il dolore che non ha parole.

Rossella Donadeo

Link al libro dell’autrice: LINK LIBRO

Scrittura creativa | DESCRIZIONI CONVINCENTI | di Ferdinando de Martino

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Una delle regole basilari della scrittura è stata ampiamente descritta da autori come Hemingway: SEMPLICITÀ
Il problema della semplicità come concetto letterario è abbastanza particolare, perchè per quanto possa risultare ironico, non è semplice essere semplici.
Partiamo dal concetto di semplificazione.
Leviamoci dalla testa che semplificare voglia dire tagliare, no… tagliare vuol dire tagliare, mentre semplificare e una mera questione di punti di vista.
Per spiegare al meglio questa cosa, utilizzerò un semplicissimo esempio propedeutico alla semplificazione.
Nella narrativa contemporanea, la semplificazione è sinonimo di verità e tutto ciò che non risulta vero diventa automaticamente artefatto o complesso.
Ma come facciamo ad essere veri?

Prepariamo un soggetto per un incipit:

Una ragazza legge una lettera, seduta nella sua cucina.
Abbiamo il soggetto e adesso proveremo a realizzare in maniera veritiera questa scena, partendo da un modo grezzo di descrivere il tutto.

Marta stringeva tra le mani la carta porosa di quella lettera, contenente una risposta che attendeva ormai da troppo tempo.
La cucina era silenziosa, quasi come se stesse aspettando qualcosa di ancestrale.

Vedete? Abbiamo la cucina, la ragazza e la lettera; oltretutto abbiamo usato anche il termine “ancestrale”, quindi dovremmo essere dei fighi… invece, manca la verità.

Come arriviamo a ciò che è vero? Cambiando prospettiva.
Quando raccontiamo una storia, siamo davanti ad una tastiera. Questo è il primo errore: quando scriviamo una storia, dobbiamo essere all’interno della storia.

Se entriamo in quella cucina, vivremo l’ambiente, ma questo non vuol dire che dobbiamo metterci a descrivere ogni oggetto e sensazione, perchè Proust è già esistito. Quello che dobbiamo fare è vivere in maniera reale tutto ciò che ci circonda.
Limone. La fragranza del detersivo per i piatti che stagnava nel lavandino era sicuramente limone.
Riusciva ad infiltrarsi nel legno, passando per le intercapedini, tra i muri, sotto le sedie e perfino nelle narici di Marta, impegnata a sfiorare la colla appiccicaticcia di quella busta.
La sedia scricchiolava, interrompendo gli attimi di silenzio in cui si perdeva in mille divagazioni.

Abbiamo la cucina, anche se non è stata nominata, abbiamo la busta, la sedia e Marta ma la verità è data esclusivamente dai sensi implicati nella descrizione.
Non c’è nulla di visivo, perchè in questo caso ci siamo affidati solamente all’olfatto, all’udito e al tatto, eppure il lettore ha la scena davanti agli occhi: una ragazza legge una lettera, seduta al tavolo della sua cucina.
Il lettore non è uno stupido, anzi, nella maggior parte dei casi è più intelligente dello scrittore, perchè il tempo che lui impiega a battere le parole sulla tastiera, il lettore lo impiega leggendo e questo la dice molto lunga su tutta la questione.

Non dobbiamo mai dimenticarci che un libro è intrattenimento e l’intrattenimento è interattivo: mai dare troppo o troppo poco.
Dare il giusto al nostro pubblico, significa semplificare la narrazione con espedienti sensoriali, atti a gettare il lettore all’interno della storia, facendolo sentire parte integrante di quel magico processo che è la letteratura.

 

Ferdinando de Martino.

Scrittura creativa | IL TEMPO PER SCRIVERE | di Ferdinando de Martino.

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Partiamo da un presupposto: per molti scrittori, scrivere un romanzo o un racconto è un punto d’arrivo, mentre per me è un allenamento.
Scrivere è la preparazione ad un evento sportivo che non verrà mai disputato. Allenarsi senza avere una reale motivazione.
Molto spesso sento gli autori della mia generazione spiegare della loro continua mancanza di tempo da dedicare alla scrittura. Ovviamente questo discorso è applicabile a molte altre tipologie di forme d’arte, anche se la scrittura è a livello oggettivo quella che necessita di minori mezzi per la sua realizzazione.
Un computer o, se vogliamo stringere all’osso, un foglio ed una penna è tutto ciò che serve per scrivere.
Ma veniamo al tempo.
Come fai a scrivere in continuazione? Questa è una domanda che ho sentito molto spesso e, per quanto possa sembrare banale, la risposta è: scrivendo in continuazione.
Trovo iper-ridicolo dover realmente affrontare una discussione del genere, ma anche questo fa parte della letteratura.
Quando scrivere?
Innanzitutto, il mio consiglio spassionato a chiunque si ponga questa domanda è di non scrivere, perchè se un individuo senza disturbi mentali eccessivi arriva a porsi una domanda del genere, vuol dire che non è ben motivato e la motivazione è tutto.
Ma senza dilungarmi oltremodo, andrò a rispondere.
Sempre. Scrivete sempre.
Quando i vostri amici vanno a ballare, scrivete. Non volete fare i ballerini, ma gli scrittori.
Quando i vostri amici vanno al mare, scrivete. Non volete fare il mare, ma gli scrittori.
Quando i vostri amici andranno a Copagabana, scrivete. Al loro ritorno loro avranno un sacco di diapositive che nessuno vorrà vedere e voi avrete terminato un romanzo, perchè volete fare gli scrittori e non i turisti.
Quando i vostri amici andranno a cena fuori, voi sarete dall’altra parte del muro a lavare i piati o fare il cameriere, perchè per scrivere dovrete lavorare fino a sfiancarvi, per poi tornare a casa e riprendere a lavorare davanti alla tastiera.
Quando non avrete più idee in testa, fermatevi e andate a fare dell’altro; una birra con gli amici, una partita a biliardo, andate a donne, al parco col cane, al cinema, insomma… svagatevi, perchè per scrivere bisogna anche un po’ vivere. Magari leggetevi una sessantina di libri all’anno, visto che nella vita volete scrivere.
Non allontanatevi mai dalla vita, perchè quando si è troppo lontani dalla vita, si è agli antipodi dell’arte e a nessuno interessa un’opera pretenziosa, scritta da qualcuno che non parla la lingua dell’empatia. Ricordate che la gente vuole la verità e anche allora, dei libri non gliene fregherà un cazzo a nessuno.
Anche davanti a questo scenario dovrete continuare a scrivere. Quando i calli alle mani vi bruceranno e le ginocchia inizieranno a cedervi… scrivete.
Ogni volta che direte -Non ho tempo per scrivere.-, pensate a tutte quelle volte in cui vi siete rincoglioniti davanti al televisore, quando potevate scrivere o a quando avete passato quattro ore ad abbronzarvi, quando potevate scrivere.
Pensate a Cèline e a tutti quelli che si facevano un culo a strisce, mangiando pane, odio e cipolle per poi tornare a casa e iniziare quel lavoro infame che molti chiamano: scrittura.

Ferdinando de Martino

Scrittura creativa | LA CREAZIONE DEL PERSONAGGIO.

Per la creazione di un personaggio bisogna avere le idee ben chiare.

Ricordate che gli atteggiamenti di un protagonista vanno ad influire sulla capacita del lettore d’immedesimarsi o non immedesimarsi nel vostro figlioccio di carta stampata.

In una serie di racconti gialli da me scritti per il pubblico del web, la serie con protagonista Federico Nicoletti, gli atteggiamenti del protagonista hanno decretato il successo (per i canoni del web) del prodotto.

Quando creai il protagonista della serie, mi affidai ciecamente alle pagine di un saggio di Poe, in cui l’autore spiegava che in un racconto giallo, il protagonista deve sempre essere un outsider che vive la sua vita al di fuori dell’apparato di polizia. Questo dà al protagonista la possibilità di eseguire azioni illegali, per arrivare ad un fine che giustifichi il suo atteggiamento poco convenzionale.

Questo è un consiglio di base, perché il vero dramma è il carattere. L’unica tecnica che conosco è quella di entrare nella mente del mio personaggio (protagonista o semplice comparsa), cercando di captare i suoi pensieri e, soprattutto, i suoi atteggiamenti e i suoi gusti.

                                                   IL VERO DRAMMA È IL CARATTERE.

 

Cosa ordinerà al ristorante? È vegetariano? È etero o gay? Quale squadra tifa? Dorme bene la notte? Pensa mai al suicidio? Quali saranno le sue idee politiche? Preferisce una dieta a base di carboidrati o proteine?

Queste sono domande poco utili ai fini della storia, ma conoscere a fondo il nostro personaggio ci aiuterà a farlo muovere con più dimestichezza nell’universo che gli andremo a disegnare attorno.

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Ricordatevi che creare un personaggio è un po’ come mettere al mondo un figlio e che ogni comparsa merita la dovuta attenzione.

Entrare nelle paranoie, nelle ossessioni e nelle elucubrazioni del vostro personaggio  in questione, vi renderà una sola cosa e riuscirete “assieme” a gestire le pagine del romanzo o racconto a cui state lavorando.

                                                    Entrate nelle sue ossessioni.

Sviluppare empatia verso una storia è praticamente impossibile e i personaggi sono l’unico appiglio emotivo per rendere viscerali le situazioni; perché un proiettile volante che colpisce un uomo al bar è niente, mentre un proiettile che colpisce un padre di famiglia, col vizio del gioco, che quel giorno aveva vinto il primo premio della lotteria, nascondendo alla moglie la sua giocata per paura che questa lo sgridasse, è un ottimo inizio per una storia.

 

Ferdinando de Martino.

Gli autori POPolari, fanno male al cervello?

Giudicare una persona dai suoi gusti letterari, per quando mi riguarda, è un’attitudine estremamente maleducata. Ogni lettore ha un suo personale rapporto con la letteratura e ritengo che questo debba essere preservato dal giudizio della massa; detto ciò, mi piacerebbe esprimere un concetto che mi sta veramente a cuore e nel farlo, spero di non ferire la sensibilità di nessuno.

Non credo ci siano autori di serie A e autori di serie B, l’arte è un campo del tutto soggettivo quindi, spesso, gli unici parametri di giudizio che abbiamo dalla nostra parte sono: il gusto personale e le vendite delle copie dei singoli scrittori.

Porterò adesso ad esempio due autori estremamente popolari, il primo, Stephen King e il secondo, sarà il nostro connazionale Fabio Volo.

Stephen King è ad oggi uno degli scrittori più tradotti al mondo e dai suoi lavori sono state tratte numerose trasposizioni cinematografiche e televisive. Ogni libro di King entra a pieno merito nella classifica dei bestseller, questo ha portato l’autore americano alla stesura di uno dei più famosi manuali sulla scrittura creativa in commercio, dal titolo On writing.

Personalmente conosco decine e decine di estimatori di King, uno di questi è un artista di un settore diverso dal mio, ovvero, quello musicale. Avendo molta confidenza con questa persona, più e più volte nel corso degli anni, mi sono ritrovato a fargli notare quanto mi stupisse questa sua passione per l’autore in questione.

A stupirmi non era tanto la sua devozione verso i lavori di King, quanto più il fatto che una persona così immersa nel settore artistico potesse apprezzare le opere di un autore così schiettamente pop.

Una sua risposta su tutte è riuscita ad esprimere un concetto estremamente semplice, concetto che racchiude tutto ciò che concerne il mondo della letteratura pop.

Mi trovai a chiedere a questo carissimo amico -Hai letto l’ultimo libro di King?- e la sua risposta fu -No… non posso più leggerlo.
Al che domandai, incuriosito -Cosa vuol dire che non puoi più leggerlo?

-Vuol dire che ho letto Fante e Bukowski e adesso… beh, adesso non riesco più a vedere King come uno scrittore.

Vi prego adesso di non affilare gli artigli, non intendo assolutamente dire che King non sia uno scrittore, ricordate che la persona che scrive queste parole conta nel mondo editoriale meno di un moscerino, messo a confronto con King.

Quello che voglio dire è che molto spesso le persone che trovano affascinanti le opere di King non si sono mai rapportate con i grandi classici che hanno portato la carta stampata alla letteratura contemporanea. Con questo non intendo dire che chi ama King, ignori al contempo la totalità della letteratura, quello che voglio dire è che a livello statistico troverete più persone che dopo aver letto Dostoevskij non saranno in grado di leggere King che il contrario.

Ovviamente conosco centinaia di autori, alcuni dei quali anche personalmente, che amano King pur avendo letto molto di più del sottoscritto, ma gli scrittori non fanno testo, in quanto per fare lo scrittore, Stephen King è un autore che ognuno dovrebbe avere nel suo carniere.

King piace, vende e soprattutto è trasposto, quindi si può aggiudicare l’etichetta di scrittore POP laddove pop, sta per popolare.

Un altro autore POP è il nostro Fabio Volo, autore che tutti gli intellettuali continuano a bistrattare, accrescendo ancora di più la sua fama. Personalmente non sono riuscito a leggere più di due pagine di un libro di Fabio Volo senza pensare al suicidio, ma il gusto è un fattore del tutto personale e per fare una buona critica ad un fenomeno di massa, occorre ragionare a mente lucida.

Esistono autori POP che sono stati considerati tali solamente dopo il trapasso, primo fra tutti Edgar Allan Poe. Ricordiamo che Poe è morto in un ospedale di Baltimora, in povertà, senza essere nemmeno riconosciuto ne dai medici ne tantomeno dalle infermiere.

Abbiamo quindi su di un tavolo immaginario due autori POP, Fabio Volo ed Edgar Allan Poe. Quello che voglio invitare a fare ad un eventuale lettore è un semplice esperimento, ovvero, il leggere uno dei libri di Fabio Volo.

Una volta terminata la lettura, l’eventuale lettore dovrebbe cimentarsi nel leggere “La caduta di casa Usher”, di Poe. Una volta terminati entrambi gli autori, dovreste prendere tra le mani un secondo libro di Fabio Volo e provare poi a leggerlo.

A questo punto, dovreste avere le armi giuste per paragonare i due autori POP e molto probabilmente, il resto lo farà il vostro giudizio.
Come spiegavo all’inizio di questo articolo, l’unico parametro che abbiamo per giudicare uno scrittore è il nostro personale gusto; non esistono critici, giornalisti o blogger in grado di decidere per noi.

Spero con questo mio articolo di non aver offeso nessuno, in caso contrario, spero possiate perdonarmi o anche insultarmi; d’altro canto il web è una piazza multimediale dove chiunque può parlare e chiunque può finire alla gogna.

Ferdinando de Martino.

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