Tennis, tv, trigonometria e tornado | David Foster Wallace

Andiamo dritti al nocciolo della questione: i saggi di David Foster Wallace sono sensazionali.

La capacità di analizzare le questioni, i temi e le sottigliezze della vita al microscopio filosofico/psicologico, fa di David Foster Wallace un saggista in grado di arrivare a dei picchi di precisione unici. Picchi che solamente chi cerca la matematica nella vita può concepire.

Sviscerare i contenuti, facendo a pezzi il razionale come se più che un saggista fossa uno speleologo dell’iper-razionale, era la strategia di Wallace.

David Foster Wallace

In Tennis, tv, trigonometria e tornado, l’autore esprime le sue opinioni sugli argomenti citati, con una meticolosità che di tanto in tanto riesce a mettere i brividi al lettore.

-È normale pensare così tanto, in direzioni così contrastanti col pensiero unilaterale?- è stata una delle domande che mi sono posto più e più volte leggendo i saggi dell’autore americano.

Prendiamo due brevissimi estratti in cui Wallace parla di geometria e tennis:

“Una dote ancora più grande era che mi trovavo totalmente a mio agio in mezzo alle linee rette. Neanche l’ombra della strana claustrofobia geometrica che dopo un po’ trasforma giovani e talentuosi juniores in sofferenti animali zoo.“

“Amavo la raffinata relazione delle linee rette più di ogni altro ragazzino con cui sono cresciuto. Penso che sia perché loro erano nativi di lì, mentre io mi ci ero trasferito quando ero piccolissimo da Ithaca, che era dove mio padre aveva preso il suo Ph.D. Perciò avevo conosciuto, seppure nella maniera orizzontale e semiconsapevole di quando si è bambini, era qualcosa di diverso: le colline alte e i tortuosi sensi unici dell’intero stato di New York.

Sono abbastanza sicuro che mantenni quella poltiglia informe di curve e dossi a fare da controluce laggiù in qualche anfratto lucertolesco del mio cervello, perché i bambini di Philo con cui giocavo e facevo la lotta, ragazzini che non conoscevano e non avevano conosciuto niente di diverso, non trovavano proprio nessuna traccia di assolutezza da fondazione utopistica nella disposizione planare dell’area cittadina, non ne apprezzavano per niente la precisione. (Senonché: come mai ritengo significativo che così tanti di loro siano finiti nell’esercito, a eseguire scattanti dietrofront in uniformi con pieghe affilatissime come rasoi?)“

Immaginate come possa evolversi una raccolta di saggi che analizza il tennis, la televisione, i tornado e la trigonometria se queste sono le premesse.

La parte più importante del saggio (secondo il mio parere) è quella relativa al regista David Lynch, amato da Wallace in maniera quasi compulsiva.

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Proprio in questo saggio l’autore mostre l’imparzialità del suo occhio, dedito allo studio di tutto ciò che è, anche vagamente, “studiabile”.

L’occhio esterno dà all’individuo la possibilità di osservare in maniera critica l’esecuzione di un qualcosa, in questo caso si parla della realizzazione del film “Strade perdute”.

David Foster Wallace, ammesso sul set di strade perdute per la stesura di un articolo su David Lynch, non ha parlato con il regista nemmeno una volta. Questo potrebbe sembrare assurdo a chi non ha mai letto niente dell’autore, ma non rivolgere la parola all’artista su cui si deve scrivere un articolo non era poi così azzardata come metodologia di lavoro per uno come Wallace.

la distanza, a volte millimetrica tra lui e il regista, ha dato all’autore la possibilità di scrivere un articolo sulla realizzazione di un film come se sul set non ci fosse nemmeno un giornalista.

Wallace, amante di Lynch,  riesce in qualche modo a tracciare il ritratto di un artista estremamente complesso, in maniera lineare ed iper-logica.

Personalmente, da amante di Lynch, posso asserire di aver capito molto di più David Lynch grazie al saggio di Wallace, piuttosto che leggendo il libro scritto in prima persona da David Lynch.

“A Tarantino interessa come viene strappato l’orecchio. A David Lynch interessa l’orecchio.”

Questa è la descrizione più calzante che abbia mai letto, relativa ai due cineasti americani.

La lettura di questo saggio è consigliata a tutti i lettori che annoverano fra i propri interessi almeno uno di quelli citati nel titolo dell’opera.

 

 

Ferdinando de Martino.