Come nasce uno scrittore? | Pioggia | di Salvo Barbaro

18 gennaio 2016
Sono circa le nove del mattino, Elena e Giulia dormono strette l’una all’altra, sembra un quadro, una bellissima tela dipinta per affascinare gli occhi di chi in quel momento sta guardando. Tutte due con la bocca aperta tirano e buttano l’aria fuori all’unisono come se fosse già tutto preparato. Apro delicatamente la porta della stanza e osservo per circa cinque minuti. Non è la prima volta che lo faccio: mi piace vederle rilassate al buio coperte delle lenzuola e dal piumone. Osservo ogni loro piccola mossa, ogni loro battito di ciglia e il movimento calmo del loro cuore. Vieri è andato a scuola, solita scena del latte buttato a terra e solito piccolo battibecco inerente al lavaggio o non lavaggio dei denti. Qualche volta alzo un pochino la voce con lui per poi pentirmene e starci male tutta la giornata. In questo periodo sono particolarmente nervoso e me la prendo per un niente con chiunque faccia un qualcosa di storto, che sia Giulia, Elena, Vieri, i miei genitori, i miei amici e mio fratello.
Chiudo la porta e le lascio dormire, mi volto verso il corridoio e inizia il mio perpetuo dilemma su come iniziare al meglio la giornata. Fuori il freddo taglia le gambe e il tepore dei termosifoni riscalda la mente oltre che il corpo. Attraverso il lungo corridoio e vado in cucina, mi guardo intorno e non so che fare. La pigrizia mi avvolge in un tormentato abbraccio e per la prima volta penso tra me e me -Oggi non voglio fare niente!
Riattraverso il corridoio ed entro in salotto, mi siedo sul divano, sospiro e guardo il soffitto. Mi gratto il mento, mi tocco la barba e penso. Penso all’ultimo impiego da operaio, a quanto è strano il mondo, alla diversità e alla stupidità dell’animo umano. Penso a quante soddisfazioni potevo togliermi, alle mille umiliazioni subìte da persone che a stento avevano la terza media, che s’atteggiavano a capi senza riuscire nemmeno a leggere la loro stessa carta d’identità e a mala pena azzeccavano una coniugazione. Erano lì sul posto di lavoro da anni a dettar e ricevere ordini, a riportare maldicenze e cattiverie in cambio di una pacca sulle spalle dal loro “capo”. La rabbia mi prende allo stomaco, mi aggroviglia il cervello e mi straccia come un tovagliolino di carta usato.
-Se ho fallito come operaio, beh, allora il LAVORO non fa per me! Sono uno che nella vita non riuscirà mai in niente! Mi porto le mani dietro la nuca e le appoggio al cuscino del divano. Chiudo leggermente gli occhi e sospiro. Mi alzo di scatto e senza dire nulla esco fuori infilandomi il giaccone. Piove e fa freddo ma comunque m’incammino verso il niente.
Arrivo sotto il ponte della stazione, le scarpe sono fracide e ho i piedi congelati. Sopra di me passa il treno ed è qui che ho l’illuminazione -Perché non provo a scrivere una storia? Perché non provo a mettermi di fronte a quel dannato computer, iniziando a buttar giù un qualcosa?
Mi fermo, mi volto indietro di scatto, evito pozzanghere e persone come se fossi Ronaldo, ormai la mia mente è proiettata al computer e alla sedia, alla storia che da tempo ho in mente. Arrivo a casa, apro la porta, Giulia e Elena dormono ancora, mi siedo, accendo il computer e inizio a scrivere. Le parole vengono da sé. È il cuore a scrivere.
Giulia si alza, pallida ed infreddolita si avvicina a me. Mi abbraccia e guarda il video.
–Che fai?-mi domanda.
-Sto scrivendo una storia.- le faccio, orgoglioso.
Sorride e mi abbraccia forte.

 

Salvo Barbaro.

1 Commento

  1. Marinella

    Molto bello questo racconto…l’inizio della carriera di scrittore…l’illuminazione…l’ispirazione!..

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