Perchè è difficile fare un ritratto ? | di Irene Tamagnone |

Opere e articolo di Irene Tamagnone


Fare un ritratto per me è la cosa più difficile. Difficilissima. È un punto interrogativo poggiato su qualcuno”. Così il fotografo Henri Cartier-Bresson parlava della difficoltà del fare ritratti, esattamente come ne hanno parlato altri artisti che hanno lavorato nell’ambito dell’arte figurativa.  

Come mai la ritrattistica è spesso ritenuta la tipologia d’arte più complessa in esecuzione? Che differenza c’è tra disegnare un’anfora antica e disegnare un volto?  

Un’interessante risposta arriva dal mondo neuroscientifico e ha a che vedere con l’innata e formidabile capacità della specie umana di riconoscere i volti. Durante la sua vita una persona memorizza mediamente 5000 volti diversi e affina la capacità di distinguere un volto dall’altro anche per differenze molto piccole. In particolare una differenza millimetrica nell’area triangolare compresa tra occhi e bocca comporta la riuscita o il fallimento del riconoscimento di un viso. Grazie alla scienza sappiamo che la responsabile di questa capacità è un’area del cervello che è stata sviluppata solo dall’essere umano specificatamente per il riconoscimento dei volti. Si chiama prosopagnosia quel deficit – dovuto ad un ictus o a un problema congenito localizzato in quell’area – a seguito del quale la persona colpita non è più in grado di riconoscere le persone amate, perlomeno non guardandone il volto. Le persone affette da prosopagnosia sono ancora in grado di percepire le parti che formano il volto, ma non il volto come entità in sé, riconoscono le parti ma non l’insieme. Se vi state chiedendo cosa c’entra questo con le frustrazioni dei ritrattisti, la risposta è che tutto ciò alza molto di più l’asticella della precisione richiesta ad un pittore nel tracciare i lineamenti di un viso, piuttosto che di quella richiesta per tracciare le linee dell’anfora. Se durante l’evoluzione delle specie noi umani avessimo sviluppato un fenomenale sistema di riconoscimento di anfore probabilmente al pittore che ne volesse dipingere una sarebbe richiesta una precisione maggiore.

Questa è solo una delle possibili risposte, ma vediamone un’altra.

Vi è mai capitato di non riconoscervi in una foto appena scattata o in un ritratto eseguito magistralmente?

Ciò è dovuto al fatto che il nostro corpo, così come tutto il resto, non è un oggetto assoluto, ma è un oggetto relativo all’osservatore. Per capire questa frase è utile pensare alla velocità. Su un’autostrada, ogni veicolo ha velocità relative diverse rispetto a ciascuno degli altri mezzi in movimento. Un camper che va a 100 km/h è veloce rispetto ad un camion che non può superare gli 80 km/h mentre è lento rispetto ad un’auto che viaggia a 120 Km/h. Come è possibile che il nostro volto – così come la velocità –  possa cambiare al cambiare di chi l’osserva? Ecco la risposta. Quando percepiamo qualcosa abbiamo sempre delle credenze – o ipotesi – a priori sulla cosa che stiamo percependo, anche se non ce ne rendiamo conto, e quest’ipotesi a priori ha un peso nelle caratteristiche dell’oggetto che stiamo percependo. In pratica abbiamo una sorta di schema iniziale. Per fare un esempio semplice: se una persona ha gli occhi di un colore indefinito compreso tra il verde e l’azzurro e quando è stata registrata il colore degli occhi è stato segnato come verde, quella persona percepirà probabilmente i suoi occhi più facilmente come verdi piuttosto che come azzurri, e viceversa. Questo avviene a causa di una forte credenza a priori.

Un altro esempio interessante viene fatto dallo storico dell’arte Ernst Gombrich nel suo libro “Arte e Illusione”, quando parla di un litografo inglese che nel momento più alto dell’arte topografica inglese si recò in Francia a disegnare la cattedrale francese di Chartres.  Aveva un’idea romantica delle cattedrali, per lui erano le creazioni più elevate dei secoli gotici, così, nonostante fosse un artista esperto ed attento, finì per tralasciare lo stile romanico delle finestre a tutto sesto della facciata centrale per trasformarle in finestre di stile gotico, a sesto acuto, solamente perché abituato ad osservare finestre gotiche. Probabilmente in questi casi di percezione errata succede che la persona percepisce qualcosa dall’ambiente prossimo (la cattedrale che sta osservando in quel momento) e qualcosa dal suo ambiente esteso (tutte le cattedrali che ha visto fino a quel momento). In questo caso il disegnatore continuava a percepire gli archi a sesto acuto delle chiese gotiche e questa percezione era così forte che prevaleva su quello che aveva davanti agli occhi. Come quando le persone non vedono i cambiamenti fisici nella compagna/compagno con cui vivono perché continua a prevalere una percezione più estesa nel tempo. Per questioni evoluzionistiche tutte le specie animali hanno delle ipotesi a priori, è per una ragione di sopravvivenza. Queste credenze si sono formate in ciascun individuo in modo diverso a seconda delle esperienze vissute nella propria vita. La diversità di esperienze diverse porta a lievi differenze di percezione e crea oggetti relativi diversi. Il viso di Cristina per il suo amico Marco, che ha vissuto per dieci anni in Norvegia, può essere lievemente diverso da quello percepito dal suo amico Antonio, che invece ha vissuto da sempre nella sua stessa città. Se Marco e Antonio fossero due bravi pittori dipingerebbero il suo viso in maniera diversa, e probabilmente Cristina si riconoscerebbe più in uno che nell’altro. A proposito di questo, l’illustratore tedesco Ludwig Richter raccontò di una giornata passata a Tivoli a disegnare il paesaggio in compagnia dei suoi colleghi di studi d’arte. Scelsero tutti pennelli duri e appuntiti in modo da riuscire a rendere i soggetti più fedelmente possibile. Quando a sera paragonarono i loro lavori rimasero tutti sorpresi da come risultassero tanto diversi nonostante la somiglianza degli strumenti usati. È molto interessante il fatto che Richter spiegò queste diversità come specchi delle diverse disposizioni degli artisti, ad esempio il disegno del compagno più malinconico aveva una prevalenza di azzurro maggiore rispetto agli altri.

Avete mai partecipato ad una lezione di disegno della modella dal vero? Delle modelle dipinte dai pittori non ce ne sarà mai una uguale all’altra.

Non per nulla il famoso Oscar Wilde disse che “Ogni ritratto dipinto con passione è il ritratto dell’artista, e non del modello.”  




Più immediato ma non meno importante è un altro aspetto con cui si scontra sempre il ritrattista. Nessuno è perfetto: facile a dirsi. Difficile metterlo in pratica.  C’è una diffusa difficoltà ad accettarsi per quello che si è. Molte persone non riescono ad essere serene e ad accettarsi per quel che sono e come appaiono a sé stesse e agli altri. Tra le altre cose, è dimostrato dal sempre crescente numero di ricorsi a interventi estetici. Quando si osserva il proprio viso si vorrebbe sempre vedere una rughetta in meno, gli zigomi un po’ più evidenti, il naso lievemente più dritto… si è veramente esigenti nei confronti del proprio corpo. Questo lo sa bene l’esperto ritrattista che in modo strategico cambia piccoli dettagli in modo da incontrare i gusti del committente!

Fare un ritratto non vuol dire copiare un viso, c’è qualcosa di più. Farsi fare un ritratto, magari da qualcuno che si conosce, è fare una nuova esperienza di condivisione. Il ritrattista appassionato non è un mero tecnico che riporta i lineamenti del viso su un foglio bianco, ma è qualcuno che mostra una sua visione, un suo punto di vista. Ne potremmo anche rimanere sorpresi.

Irene Tamagnone 

Per seguire l’artista sui social: FACEBOOK INSTAGRAM

1 Commento

  1. Vanna

    Sono assolutamente d’accordo con te. Per me la difficoltà più grande nel fare i ritratti è legata all aspetto proiettivo del processo pittorico. Come giustamente sottolinei, ogni artista dipinge sempre se stesso e per fare il ritratto bisogna liberarsi delle proprie proiezioni e lasciare spazio all’altro…

I Commenti sono chiusi.