SCRITTURA E ZEN| Il palazzo mentale e il baretto mezzo scassato | di Ferdinando de Martino

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Quando ho edificato il mio palazzo mentale, mi sono ripromesso che il mio casino cerebrale non avrebbe mai varcato la soglia di quel tempio della tranquillità zen.
Quella era una prerogativa abbastanza importante, perchè chi diavolo si costruirebbe un palazzo mentale per portarci dentro i suoi casini?
Un imbecille, ecco chi.
Unire lo zen e la scrittura, ha per me una valenza quasi religiosa e quindi oggi vi parlerò di come ho lasciato entrare nel mio palazzo zen tutta la merda da scrittore represso e disadattato.
Fuoco alle polveri.
Innanzitutto il termine scrittore è estremamente riduttivo, perchè il mio lavoro non è esclusivamente lo scrivere, quanto il ricercare informazioni, collaborare con nuovi autori, fare l’editor e curare illustrazioni, gestire i rifiuti e non cedere alle lusinghe e, infine, contare i soldi e vedere che sono sempre troppo pochi, rivedere le mie idee e convincermi che avrei fatto meglio a seguire le impronte dei miei insipidi compagni di scuola\lobotomizzati, che hanno seguito alla lettera il principio: studia, lavora e crepa.
Ecco. Per la prima volta credo di esser riuscito a definire alla perfezione il mio lavoro, quindi potrei anche chiudere qui l’articolo e tornarmene a meditare sul suicidio, ma per vostra sfortuna sono troppo egocentrico e prolisso per non continuare a battere sui tasti, come un fesso alla ricerca di un qualcosa d’impalpabile.
Il mio palazzo mentale ha una specie di piccolo giardino, piccolo perchè non volevo sbattermi ulteriormente a condonare zolle di terra inesistenti a qualche colletto bianco del karma.
In questo giardino ho piazzato una cesto pieno zeppo di palline da golf e una mazza. Ho preso questa decisione massacrando una delle tecniche base della concertazione preparatoria per la meditazione, ovvero quella in cui respirando si lascia entrare la positività, facendo uscire la negatività e stronzate del genere.
In pratica, ogni volta che prendo una di quelle palline color latte, per piazzarle sul prato, immagino di racchiudere al loro interno qualcosa che sulla terra ferma mi sembra un dramma irrisolvibile. Mi concentro molto a piazzare dentro le palline in questione tutto il delirio e la negatività possibile ed immaginabile e, quando mi sento pronto, lancio via tutto a fanculo, tramite un colpo magistrale di mazza da golf. Un Tiger Wood dello zen, in parole povere.
Sono sicuro che da qualche parte del monto, un monaco buddista sta vivendo il peggior infarto della sua vita, mentre scrivo queste cose, ma giuro che questo procedimento mi calma molto.
Essendo uno scrittore e quindi un creativo, non posso esimermi dal parlare anche del secondo metodo zen per sfanculare tutto il delirio e le catastrofi emotive che quel karma bastardo continua a metterci davanti, quasi come se si fosse dimenticato che al mondo non siamo gli unici e stronzissimi esseri viventi del pianeta.
Il baretto mezzo scassato è molto simile al palazzo mentale, ma al posto della nostra mente, è stato edificato da qualche operaio immigrato negli anni sessanta e bene o male, regge ancora in ogni città del bel paese.
Una volta entrati nel suddetto tempio zen, ignorate i beceri cafoni che parlano di giocatori ventenni che rincorrono palle di cuoio e dirigetevi al bancone.
L’uomo dietro al banco, sarà la vostra guida spirituale, un po’ come lo yogi che mi ha cacciato dal centro yoga, perchè guardavo i culi delle milf; solo che questo sarà più magnanimo.
Prendete una birra e ad ogni sorsata, lasciate entrare la positività e fate uscire tutta la negatività.
Questa operazione si potrebbe fare benissimo con una bevanda priva d’alcol, ma essendo occidentale, quindi estremamente legato al fattore divertimento, io preferisco una bella e salutare bevanda spiritosa.

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