john fante

Aspetta primavera Villa |

I colori dei locali si somigliano tutti nella mia memoria. Forse questo è dovuto al fatto che le sfumature dei liquori attenuano i ricordi, schiarendone le tinte, instaurando nei nostri cervelli una sorta di qualunquismo mnemonico.
I colori sono simili… le persone no.
Fu così che Villa si avvicinò a me. Sguardo vivo e un sorriso accennato.
-Ma sai che questa ragazza si chiama Bandini? Come Arturo Bandini.
-Cristo santo. Probabilmente è il più bel cognome della storia.
-Sì… e pensa che non lo conosce.
-Cazzo.
-Giuro.
-È strano, ma mi sembra di ricordare che non siamo mai finiti a parlare di Fante.
-Incredibile. È senza dubbio il migliore della sua generazione.
Villa sgrana gli occhi, un po’ come quando si parla di una persona estremamente vicina a noi, ma solamente in senso metaforico. È un tipo di contatto che in pochi riescono a capire e quei pochi hanno sicuramente letto Fante.
-Sai… Fante l’ho conosciuto per via di una ragazza che lo leggeva ed è stato subito amore a prima lettura. È un qualcosa che va oltre al semplice appassionarsi.- dice, appoggiandosi al muro -Spesso parlo con persone di letteratura e se capisco che sono prive di quella sensibilità, non butto mai sul tavolo delle argomentazioni Fante, preferisco parlare di Ammaniti… ma non di Arturo Bandini.
-Ti capisco alla perfezione.
E lo capivo davvero. Fante è l’archetipo dello scrittore che seduce l’italiano. Non vorrei esagerare, ma non credo che gli accademici della crusca o i letterati perdano tempo a leggere la roba di questo umile artigiano della letteratura; probabilmente sono troppo impegnati ad analizzare parole come petaloso (per inciso, vorrei sottoporgli un neologismo atto a descriverli: cristo\del\loro\dio.)
Quindi, non vorrei spararla grossa, ma secondo me Fante dovrebbe essere motivo d’orgoglio per la nostra gente quasi quanto Dante.
Dal nulla iniziamo a parlare, io e il socio Villa, un po’ come se le storie di Fante le avessimo vissute noi.
-Ti ricordi quella volta coi granchi?- e -E quella con il padre?-, ancora -E la messicana?
Questo era John Fante: uno scrittore in grado di scolpirti nella memoria i suoi ricordi, quasi come se fosse più un Michelangelo delle memorie che un semplice scrittore.
Io ho amato le donne di Fante. Giuro. Ho fatto l’amore con loro, ho litigato con suo padre, ho portato a spasso il suo cane Stupido e ho provato l’odio degli altri sulla mia pelle.
Io sono John Fante, Villa è John Fante, esattamente come molti altri stupidi e zotici italiani, fieri di parlare di una cultura che non deve, per forza di cose, mettere in imbarazzo le persone con paroloni difficili, perchè se una frase non ti arriva dritta al cervello, percorrendo meno strada possibile, quello scrittore ha sbagliato mestiere.
Un parolone è come una spada troppo pesante per essere brandita. Pensate ai ninja… loro usano spade piccolissime e spaccano i culi lo stesso, no?
Fante era un ninja, mentre gli altri sono dei barbari guerrieri medievali, biechi e ignoranti.
Uno scrittore raffinato, ma con la camicia sporca di vino. Un poeta vecchio stampo, di quelli che oramai non se ne trovano più.
Villa sembrava perso nei suoi ricordi, mentre io ero perso nei mei e i nostri ricordi si mescolavano, dimostrandoci che si può vivere nello stesso mondo senza mai incontrarsi. Villa era stato a Los Angeles nel periodo in cui anche io e Fante eravamo lì, ma non avevamo mai incrociato i nostri sguardi.
Tutto per ritrovarci in un bar a Genova, chiacchierando del più, del meno e di un genio.

 

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Ferdinando de Martino

 

Troppo terrone per gli americani, troppo americano per gli italiani. JOHN FANTE.

John Fante (Denver 1909, L.A. 1983) è stata la voce di una di quelle americhe impegnate a sopravvivere all’incubo americano, in un mondo in cui non si faceva altro che parlare dell’America e del suo sogno.

I suoi lavori, carichi di rabbia e vittimismo, sono una denuncia all’animo umano con la sua debolezza e la sua forza intrinseca.

Italiano d’origine, non riuscì mai a superare il suo dramma personale di “terrone” americanizzato.

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Il suo romanzo d’esordio sarà Aspetta primavera Bandini, sebbene “La strada per Los Angeles” risulti a tutti gli effetti il primo lavoro scritto dall’autore.

Questo ciclo si conclude con il capolavoro assoluto “Chiedi alla polvere”, opera che lo consacra tra i mostri sacri della letteratura mondiale.

Il lavoro di Fante è una continua beffa ai danni del buon senso di una nazione talmente grande da non riuscire a concentrarsi sulla piccolezza dei suoi abitanti. Il tema centrale del suo immaginario è proprio quell’America che tanto amava e tanto odiava, mentre in lontananza vi era un’Italia che non era mai riuscito realmente a vivere.

Troppo terrone per gli americani e troppo americano per gli italiani.

Costretto a scrivere sceneggiature per mantenere la famiglia, non abbandonerà mai la sua attitudine narrativa, sfornando lavori come “La confraternita dell’uva” e a “Ovest di Roma”.

La riscoperta delle sue opere, avviene quando in età avanzata, cieco e costretto sulla sedia a rotelle per via dell’amputazione delle gambe a causa del diabete, lo scrittore Charles Bukowski costringe la sua casa editrice a ristampare le opere di Fante.

Grazie al gesto di Bukowski, Fante rivive una parvenza di quel successo che in vita non ottenne mai realmente, nonostante la cruda bellezza dei suoi libri.

Fante apparteneva a quella tipologia di scrittori capaci di ispezionare l’animo umano con un sorriso beffardo sulle labbra. Un sorriso classico di noi italiani. Il sorriso di Fante, davanti a tutti quegli yankee privi di talento.