Luglio 2016

Come nasce uno scrittore? | “GIOVANE” ESPERIENZA | di Salvo Barbaro

29 ottobre 2013

L’esperienza al ristorante del mio caro “zietto” finalmente è giunta al termine. Emicranie infinite, disavventura al pronto soccorso per una gastrite insopportabile, malcontenti personali, stipendi e “favori” non retribuiti, finalmente possono essere un lontano ricordo. Forse, anzi, ne dubito.
Oggi è il mio primo giorno di lavoro come magazziniere in un importante negozio d’abbigliamento di Firenze. Io sinceramente prima di allora non ero a conoscenza nemmeno dell’esistenza di quel posto, ma Giulia, fiorentina doc, ne descriveva la grandezza internazionale e la furbizia imprenditoriale del proprietario.
-Amore, sinceramente io passando in centro ho visto sempre la vetrina! Mah, a me sembrano tutti grulli lì dentro, io non c’ho mai messo piede. Comunque è un negozio conosciutissimo!- mi fa divertire Giulia, ogni parola che esce dalla sua bocca è un inno all’allegria.
La sveglia suona presto come al solito. Alle sei sono in piedi, mentre l’orario di entrata è alle otto. Sono in ansia, perché voglio fare bene, voglio che questo lavoro finalmente vada come Dio comanda, voglio questo fottutissimo contratto a tempo indeterminato. L’agenzia interinale, l’Adecco, mi ha garantito la serietà dei dirigenti, dei lavoratori e dei miei futuri superiori. Sono convinto di potercela fare.
Colazione veloce, sbadigli dovuti alla tensione e non al sonno, chiacchierata di “sfogo” con il piccolo Vieri, che, ingenuo e piccino, pensa alle corse in giardino con i suoi amichetti dell’asilo e al pranzo dove chiederà tre volte il bis. Lo bacio, saluto Giulia che è già pronta perché accompagna il piccolo.
-In bocca al lupo amore!
-Crepi, a stasera.- le rispondo baciandola. Esco dalla porta e prendo la mia Bianchi nera, super accessoriata, ben lucidata, regalo di compleanno della mia amata. Monto in sella e vado verso “l’ignoto”.
Il posto non dista tanto da casa, quasi un chilometro, pista ciclabile facile e brezza fredda mattutina che ti sveglia come non mai. Cosa di preciso andrò a fare non so, ma più o meno L., mio “superiore”, nonché amico dell’altro mio zio, per sommi capi mi ha spiegato la situazione. Apro una parentesi: sono un raccomandato! Sì! Se mio zio non fosse amico di questo ragazzo, l’Adecco, agenzia “seria” e dinamica, col cazzo che mi avrebbe chiamato. Chiudo la parentesi.
-Magazziniere, ma soprattutto ricercatore d’ordini via internet. Cioè, ti spiego meglio, Tizio dall’America ordina un paio di scarpe, l’ordine, dopo tanti percorsi, arriva a noi. Lo scarichi dal computer e prendi materialmente la scatola di scarpe, la porti ad una delle ragazze e lei fa il pacchetto e noi la spediamo! Semplice!- queste le parole di L.
Pedalo e penso. Immagino il mio contratto a tempo indeterminato, immagino Giulia incinta, una vacanza al mare noi quattro soli e spensierati, immagino nessun problema lavorativo, immagino poter aprire un mutuo e comprare una casa. Il clacson d’un auto mi sveglia. Il cuore inizia a battere velocemente più mi avvicino a destinazione. Che ambiente sarà? Chi troverò? Con chi mi relazionerò? Sarò all’altezza di questo lavoro? Sarò una delusione per Giulia e per me stesso? La voglia di frenare e ritornare a casa è tanta, ma comunque continuo per la mia strada.
Finalmente sono arrivato, lego bene la bici e mi avvio al magazzino. Fuori una decina di giovani ragazzi che aspettano come me di entrare a lavoro. Sorridono, parlano tra di loro, ecco mi hanno visto e ridono di me, penso. Respiro, digrigno i denti e m’incammino verso di loro lentamente.

Salvo Barbaro.

Come nasce uno scrittore? | AMICIZIA | di Salvo Barbaro

3 ottobre 2009

Piove come al solito, sono anni, decenni, secoli che ad Avellino la pioggia è quasi un’istituzione, un cittadino onorario, il Sindaco. È chiamata volgarmente dai vecchi “Pisciaturo d’Italia”, pisciatoio d’Italia, parola mai così azzeccata come quasi tutti i detti antichi.
Mi alzo presto, siamo in piena vendemmia e si lavora sabati e domeniche ininterrottamente, almeno per tutto il mese di ottobre. Mi piace questo lavoro, mi piace l’ambiente, il posto, tutto. Settimana scorsa ho firmato anche la proroga di sei mesi; ho provato un’emozione unica, intensa, piacevole, straordinaria.
Sono contento, mi succede rare volte di provare questo sentimento, ma è un periodo positivo per me. Mi sveglio con il sorriso e con una quasi-calma che mi sorprende e mi spiazza al tempo stesso.
Mi faccio una doccia veloce, sono quasi le sei e devo timbrare il cartellino alle sei e trenta. Mangio una brioche rapidamente, saluto mio padre con altrettanta destrezza e mia madre che stranamente non è andata a lavoro perché ha chiesto un giorno di ferie. Sono contento per lei, invidioso come non mai, ma felice.
Salgo in macchina, prendo il cellulare ed invio un sms alla mia fidanzata V., per un attimo mi soffermo a pensare, vedo cadere la pioggia incessante sul vetro: adoro questo rumore, adoro il profumo di bagnato, adoro l’aria fredda che taglia la pelle. Poi penso a V., penso che sono anni, quasi sette che sto con lei. È un periodo molto particolare, il nostro rapporto comincia a starmi stretto, inizio a non respirare più, sono abbastanza stanco e annoiato. Mi dispiace per lei ma non ho le palle per troncare il famoso “fidanzamento” che mi condurrà negli anni all’altare, a vivere e far vivere una vita di litigi, nervosismi, depressioni. Farò dei figli, non instaurerò con loro un dialogo, sarò bacchettone con loro, mi odieranno, non mi rivolgeranno mai più la parola, non mi faranno vedere i miei nipoti, morirò da solo e senza nessuno che mi dia una parola di conforto. Apro il finestrino per far uscire questi pensieri e respirare un po’. Poso il cellulare e mi avvio a lavoro.
Passo il badge, attraverso il largo piazzale dell’azienda e incrocio R., mio collega, nonché amico, persona deliziosa, leale, schietta, il classico padre di famiglia buono e cortese. Lui lavora in laboratorio, gestisce gli ordini, insieme al suo “capo”, che poi passerà agli addetti alla cantina e all’ imbottigliamento. Gli voglio un bene dell’anima. In qualche modo s’è creato tra noi un rapporto di complicità fatto di risate, sfottò e giudizi spesso dettati dalla rabbia e dallo sconforto. Mi viene di frequente a trovare nel depuratore dove presto servizio, una specie di scantinato con tre grandissime stanze, dove ci sono quattro immense vasche per la depurazione delle acque reflue. È un luogo tetro, ma a me piace tantissimo. Lavoro da solo, mi autogestisco completamente, riempiendo i vuoti con grandissime e infinite letture. Quando R. scende, chiacchieriamo, ridiamo, giochiamo e c’incazziamo. Mi piace il suo modo di spiegare le cose, le sue risate ad ogni mia imitazione dei “capi”. Lo osservo e penso che R. è sprecato qui dentro, sembra un pesce fuor d’acqua, una macchia bianca in mezzo ad un velo nero.
–Lo sai che voglio fare da grande R.?
–Che vuoi fare da grande, sentiamo un po’!
–Vorrei provare a scrivere qualcosa, non so una storia, un libro, un articolo!
–E’ difficile!
–Lo so questo!
–Salvatò, tu continua a leggere e poi si vedrà! Ora sei in questa gabbia di matti!
–Giusto, continuerò a leggere senza sosta! Ciao R., ci vediamo domani!

Salvo Barbaro.

Veronica si presenta | La scrittrice del web si mostra al popolo della rete | di Ferdinando de Martino

veronica

Così, un bel giorno, Veronica si presenta al popolo della rete.

Un video semplice in cui parla a tu per tu con la telecamera della sua ambizione letteraria e del rapporto con suo marito, in un mondo in cui tutto deve passare, per forza di cose, attraverso l’occhio del computer per ottenere un feedback .

È bello vedere una ragazza pronta a mettersi in gioco ponendo al centro il suo sogno editoriale, al posto dei classici discorsi sui trucchi o tutorial su come sbucciare i mandarini con una chiave inglese.

A quanto pare il progetto in questione (un thriller) verrà letto sul web settimanalmente, da questa giovane scrittrice, prestatasi al mondo dell’intrattenimento video.

Vi allego il video.

https://www.youtube.com/watch?v=6-S7A9kHP30&feature=share

 

Ferdinando de Martino.

Come nasce uno scrittore? | Pioggia | di Salvo Barbaro

18 gennaio 2016
Sono circa le nove del mattino, Elena e Giulia dormono strette l’una all’altra, sembra un quadro, una bellissima tela dipinta per affascinare gli occhi di chi in quel momento sta guardando. Tutte due con la bocca aperta tirano e buttano l’aria fuori all’unisono come se fosse già tutto preparato. Apro delicatamente la porta della stanza e osservo per circa cinque minuti. Non è la prima volta che lo faccio: mi piace vederle rilassate al buio coperte delle lenzuola e dal piumone. Osservo ogni loro piccola mossa, ogni loro battito di ciglia e il movimento calmo del loro cuore. Vieri è andato a scuola, solita scena del latte buttato a terra e solito piccolo battibecco inerente al lavaggio o non lavaggio dei denti. Qualche volta alzo un pochino la voce con lui per poi pentirmene e starci male tutta la giornata. In questo periodo sono particolarmente nervoso e me la prendo per un niente con chiunque faccia un qualcosa di storto, che sia Giulia, Elena, Vieri, i miei genitori, i miei amici e mio fratello.
Chiudo la porta e le lascio dormire, mi volto verso il corridoio e inizia il mio perpetuo dilemma su come iniziare al meglio la giornata. Fuori il freddo taglia le gambe e il tepore dei termosifoni riscalda la mente oltre che il corpo. Attraverso il lungo corridoio e vado in cucina, mi guardo intorno e non so che fare. La pigrizia mi avvolge in un tormentato abbraccio e per la prima volta penso tra me e me -Oggi non voglio fare niente!
Riattraverso il corridoio ed entro in salotto, mi siedo sul divano, sospiro e guardo il soffitto. Mi gratto il mento, mi tocco la barba e penso. Penso all’ultimo impiego da operaio, a quanto è strano il mondo, alla diversità e alla stupidità dell’animo umano. Penso a quante soddisfazioni potevo togliermi, alle mille umiliazioni subìte da persone che a stento avevano la terza media, che s’atteggiavano a capi senza riuscire nemmeno a leggere la loro stessa carta d’identità e a mala pena azzeccavano una coniugazione. Erano lì sul posto di lavoro da anni a dettar e ricevere ordini, a riportare maldicenze e cattiverie in cambio di una pacca sulle spalle dal loro “capo”. La rabbia mi prende allo stomaco, mi aggroviglia il cervello e mi straccia come un tovagliolino di carta usato.
-Se ho fallito come operaio, beh, allora il LAVORO non fa per me! Sono uno che nella vita non riuscirà mai in niente! Mi porto le mani dietro la nuca e le appoggio al cuscino del divano. Chiudo leggermente gli occhi e sospiro. Mi alzo di scatto e senza dire nulla esco fuori infilandomi il giaccone. Piove e fa freddo ma comunque m’incammino verso il niente.
Arrivo sotto il ponte della stazione, le scarpe sono fracide e ho i piedi congelati. Sopra di me passa il treno ed è qui che ho l’illuminazione -Perché non provo a scrivere una storia? Perché non provo a mettermi di fronte a quel dannato computer, iniziando a buttar giù un qualcosa?
Mi fermo, mi volto indietro di scatto, evito pozzanghere e persone come se fossi Ronaldo, ormai la mia mente è proiettata al computer e alla sedia, alla storia che da tempo ho in mente. Arrivo a casa, apro la porta, Giulia e Elena dormono ancora, mi siedo, accendo il computer e inizio a scrivere. Le parole vengono da sé. È il cuore a scrivere.
Giulia si alza, pallida ed infreddolita si avvicina a me. Mi abbraccia e guarda il video.
–Che fai?-mi domanda.
-Sto scrivendo una storia.- le faccio, orgoglioso.
Sorride e mi abbraccia forte.

 

Salvo Barbaro.

Un tutt’uno con questa decadente città | un racconto di Ferdinando de Martino

Sono le otto e trenta e la città è già in movimento.
La spremuta d’arancia scende lungo la gola, rinfrescando il mio apparato digerente. La codeina dovrebbe iniziare a fare effetto a minuti.
La vista dal quattordicesimo piano è migliore di quella del quindicesimo, per questo ho deciso di affittare l’appartamento in cui mi trovo in questo momento, nonostante allo stesso prezzo avrei potuto avere quello del quindicesimo piano.
Da qui riesco a vedere anche il palazzo della Deutsche Bank, mentre dall’altro appartamento la struttura della vecchia ferrovia impedisce una visione totalitaria di questa meravigliosa frazione di città.
Detesto le banche e sono dell’idea che i nemici vadano sempre tenuti sott’occhio.
L’altezza non è tutto nella vita. L’unica cosa che conta è una posizione ben definita all’interno dell’universo che decidiamo di edificarci attorno.
Quella che sta uscendo dalla camera da letto per andare a farsi una doccia è Karisja, la mia compagna.
È la perfetta incarnazione della bellezza.
Lavorava in uno dei nostri club prima d’iniziare a lavorare esclusivamente per me. In pratica l’ho comprata, non nel senso letterale del termine, in quanto non esiste nessuna forma di contratto che stabilisca che la sua vita è diventata di mia proprietà dopo una transazione economica, ma sostanzialmente lei sta con me per il mio denaro e forse anche per affetto, ma non ci giurerei.
Non vive sempre qui… come potrebbe. Dovete sapere che ho abbracciato la concezione minimalista zen, ovvero, mi sono liberato di tutto ciò che è superfluo come i mobili, i divani e l’oggettistica riempi-vite-vuote.
Per qualche attimo ho anche pensato di comprare un Budda da mettere vicino alla parete ovest, ma poi mi sono chiesto -A che diavolo serve un Budda?
La sala è composta da un tavolino orientale laccato in bianco, attorno al quale sono presenti dei cuscini bassi su cui sedersi. Un piccolo mobile bianco, vicino all’ingresso contenente documenti vari, qualche quaderno su cui appunto le mie idee e un paio di altri oggetti di cui vorrei liberarmi, proprio perché il minimalismo mi ha risucchiato nella sua spirale illuminata.
La società occidentale ha abolito la schiavitù, finendo poi per divenire schiava delle proprie ossessioni compulsive. Il superfluo rappresenta l’ironia del nuovo millennio.
Il bello esiste anche nel minimalismo, l’importante è ottimizzare l’estetica con la funzionalità.
Sul tavolino bianco c’è un posacenere verde acqua. È un bell’oggetto ed è funzionale, perché se qualcuno fuma può metterci dentro la cenere.
Non ho un armadio in camera da letto, ma un mobile in cui ripongo il mio guardaroba, composto da pantaloni sportivi, magliette della stessa identica marca, ma di differenti colori, camice Dark Iron blu scure di taglia media, giacche grigie e maglioni casual neri, tutti identici.
Ho eliminato lo stress da vestiario che attanaglia tutti noi, riducendo all’osso la scelta.

Giornate importanti: camicie blu, con giacca grigia.

Giornate normali: maglietta presa a caso.

Per le scarpe ho optato per un paio da ginnastica ed uno elegante, ma preferisco quelle da ginnastica.
In casa sto scalzo, motivo per cui il riscaldamento in inverno viene dal pavimento. Questa è stata una delle scelte più intelligenti della mia vita. Bisogna sapersi congratulare con noi stessi per le giuste scelte.
La mia compagna ha terminato di farsi la doccia. Adoro la sua pelle bagnata. Credo proprio che andrò a fare l’amore con lei.
Quando fai l’amore sotto oppiacei non senti quell’impeto che avresti normalmente e molto spesso non vieni nemmeno, ma ogni singola molecola del tuo corpo vivrà  un sogno ad occhi aperti, durante l’unione dei corpi nella vecchia danza di carne.
-Sei molto bella.
-Lo so.- dice, spazzolandosi i capelli.
L’asciugamano bianco, la condensa, gli occhi azzurri, la pelle di una ragazza oramai diventata donna e tutto il resto… questo essere vivente mi fa letteralmente impazzire.
L’afferro e inizio ad amarla, osservando la sua espressione all’interno dello specchio che abbiamo difronte.
Sporcare una bellissima donna dopo una doccia è un po’ come rovinare un’opera d’arte. Mi sento esattamente come quel pazzo che ha rotto il naso alla Pietà di Michelangelo.
Davanti alla bellezza l’uomo non può che provare il desiderio di distruggere e sporcare. La perfezione è un concetto estremamente complesso da capire senza incazzarsi come bestie.
Una volta terminato il tutto, le lecco il collo e me ne ritorno in sala, davanti alla finestra.
Karisja ha comprato un gatto. Si lamentava in continuazione del silenzio presente nel mio appartamento per via dell’assenza di un televisore, io le ho detto che avremmo potuto prendere un gatto e lei, senza interpellarmi sulla scelta dell’animale in questione, ne ha preso uno bianco e nero.
Odio quel gatto. La mia casa è bianca. Pavimento bianco, cucina bianca, tavolino bianco, computer portatile bianco, letto bianco e mobiletti bianchi. Gatto bianco e nero. Capirete da soli che questo incasina tutto quanto.
Non ho nulla contro quella bestia, ma sta male con il resto dell’appartamento.
Nella vita mi definisco un cattivo.
Assieme al mio socio, Marco, abbiamo iniziato a scrivere un dizionario minimalista. In pratica prendiamo le parole e sintetizziamo i loro significati, rendendoli universali.

Dal dizionario minimalista.

BUONO: colui che subisce cattiverie.

CATTIVO: colui che pretende bontà.

Avete visto? È tutto più semplice, quando si riduce il superfluo.
Accendo il computer mentre Karisja si prepara per la giornata. Il nuovo lavoro le piace molto e ci permette di passare meno tempo assieme, il ché è di basilare importanza per la tranquillità emotiva del nostro rapporto.
Si sente arrivata laddove non pensava che sarebbe mai riuscita ad arrivare.
probabilmente molti di voi non riusciranno a capire quanto segue, ma per la mia compagna, passeggiare per strada con una bella camicetta e un pantalone di velluto lungo è un traguardo unico nel suo genere.
Karisja è nata in una zona disagiata dell’est del nostro bel continente europeo. Ha portato a termine il liceo e aveva intenzione d’iscriversi all’università; mi pare che volesse diventare un’infermiera o roba del genere, ma questo non è utile ai fini della storia. La sua famiglia non aveva i soldi per mandarla a studiare, quindi tutti quei disegni appesi alle pareti, in cui aveva grossolanamente abbozzato il suo futuro, persero di significato ed iniziò a fare la barista in un locale per beceri zoticoni.
Quando capì che il suo futuro sarebbe stato quello di farsi sbattere ad intermittenza da rozzi camionisti senza né arte né parte, decise di sposarsene direttamente uno.
Rimase incinta, sfornò una bella bambina e iniziò a passare le sue giornate davanti alla televisione, attendendo che suo marito tornasse a casa per riempirla di botte.
Cenerentola aveva rotto le scarpe e i calzolai erano in sciopero. Aveva ventun anni.
Così, un bel giorno decise di vendere la televisione e, di nascosto dal marito, partì verso l’Italia.
Aveva nostalgia di sua figlia? Chi lo sa… e poi non sono fatti miei.
Dopo qualche anno, passato a sculettare nei locali notturni della movida della nostra città, venne assunta da mio padre per ballare in uno dei nostri locali.
Abbiamo tre night club, anche se sulla carta solamente uno di questi risulta effettivamente nostro.
Fu lì che la incontrai per la prima volta. All’epoca aveva venticinque anni e io ne avevo diciannove.
Al contrario dei miei amici, passavo molto tempo a gingillarmi con bellissime donne provenienti dai più disparati angoli di questo marcio pianeta.
Le guardavo ballare e di tanto in tanto ci divertivamo in uno degli appartamenti in cui le avevamo piazzate.
Una sera, molti anni fa, finimmo a letto assieme ma la cosa morì lì.
Ero un giovane uomo che passava la maggior parte del suo tempo a leggere libri di filosofia e a guardare bellissime donne dondolare su di un palo, ascoltando della pessima musica commerciale. Era un frangente molto bello della mia vita.
A ventisei anni presi in mano la gestione di uno dei suddetti locali e parallelamente iniziai a meditare, avvicinandomi a quella che è diventata la mia personale concezione di minimalismo.
Lavoravo in un locale frequentato da persone che volevano andare a letto con delle modelle che non avrebbero mai fatto sesso con loro nella vita reale e tutto quel ballare sui pali era solamente un intralcio al vero potenziale del tutto. Mi seguite?
Insomma, guadagnavamo su quello che quel branco di arrapati beveva durante gli spettacolini e racimolavamo qualcosa dai privè. C’era troppa roba in quell’equazione.
Per esperienza sapevo che all’interno dei nostri privè ogni ragazza adottava una differente politica d’intrattenimento; c’erano quelle che ballavano e quelle che per qualche soldo in più, finivano per concedersi.
Quello era il motivo per cui i nostri locali andavano per la maggiore, ma il superfluo mi annoiava terribilmente e la noia è il vero incubo della sanità mentale.
Contattai un mio vecchio amico e assieme aprimmo un sito, promuovendolo come un sito artistico di fotografia, in cui mostravamo le ragazze del mio club, disposte ad andare oltre.
Il sito era privo d’ogni scritta e distrazione. C’erano i nomi delle ragazze e le loro fotografie, nulla di più e nulla di meno.
Iniziammo a spargere la voce ai nostri clienti più fedeli, dicendo che le ragazze in mostra su quel sito erano disponibili e da quel giorno vietammo ad ognuna delle suddette ragazza di spingersi oltre coi nostri clienti all’interno del club. Installammo anche delle telecamere di sicurezza per controllare che tutto filasse per il verso giusto.
I biglietti da visita mediatica con l’url del nostro sito entrarono nei portafogli di ogni fidato cliente.
Chiunque avesse voluto provare i nostri prodotti, avrebbe dovuto prenotare una notte di fuoco in albergo o in un luogo da noi prestabilito.
Iniziammo a guadagnare bene ed io lasciai il locale in gestione al mio socio Marco, genio dei computer.
Karisja divenne una delle ragazze più gettonate del nostro sito e i clienti iniziarono ad arrivare anche dal web. Il suo solo incasso lordo si aggirava intorno ai tremila euro al mese.
Smise di ballare nel club, continuando però a mostrare ai nostri clienti le nuove entrate del sito, utilizzando un’iPad. Era diventata una sorta di mistress mediatica e per questo ottiene tutt’ora una percentuale aggiuntiva per ogni appuntamento da lei procurato.
Con il passare del tempo iniziò a venire sempre più spesso a letto con me e senza decidere nulla di particolare, un giorno capimmo che eravamo diventati una sorta di coppia.
A lei piaceva lo stile di vita che io potevo assicurarle ed io adoravo il minimalismo zen della nostra relazione. Ricchezza uguale amore. Semplice da capire.
Il fatto che lei non viva assieme a me è relativo all’enorme quantità di roba inutile che ha in casa sua.
La mia casa è un tempio. L’avvento degli e-Book mi ha permesso di eliminare anche l’accumulo di libri, dandomi la possibilità di piazzare i miei tomi digitali in un server schiaffato in qualche posto sperduto a fanculo chilometri e chilometri da me.
L’utilità è l’unica cosa che mi esalta.
Tornando al presente; quello che sta suonando il campanello è Marco, il mio socio.
Apro la porta. È assieme a Silvia, una nuova ragazza.
-Ciao vecchio. Ciao Silvia… piacere.- dico.
-Piacere mio.
È molto raro trovare delle ragazze italiane e quando capitano, bisogna trattarle bene. Operare nel nostro settore è molto divertente, anche se solitamente si è portati a pensare allo squallore che si trova alla base del lavoro più vecchio del mondo.
Vedete, io sono fondamentalmente un anarchico e non voglio dover pagare tasse e cose del genere, quindi un lavoro normale non mi basterebbe mai, perché dovrei sempre e comunque spartire con uno Stato una parte dei miei incassi.
Questo non vuol dire che io non voglia utilizzare le strutture pubbliche o cose del genere, anzi, io voglio delle buone scuole e dei buoni ospedali, ma voglio che li paghiate voi.
L’anarchia, nel mio dizionario minimalista è un concetto che si basa sulla salvaguardia del capitalismo, perché solamente in uno stato capitalista i più furbi possono permettersi di vivere nell’anarchia, fottendo gli allocchi. È un po’ come in quel vecchio film di Pasolini? Quello in cui si rapporta l’anarchismo al fascismo.
-Mettiamo su un po’ di musica? Che ne dite?
-Certo.- risponde Marco.
-Si, volentieri.
-Che genere ascolti, Silvia?- chiedo per gentilezza.
-Ascolto hip hop.
-Ah… tipo?
-Mi piace molto Eminem.
-Ok… Ice Cube sia.
-No, ho detto Eminem.
-Credo che sia arrivato il momento di ascoltare un po’ di musica vera. Se ti piace Eminem, sono sicuro che ti piacerà anche uno dei migliori rappers americani.
Non è una questione di spocchia, ma quando si tratta di musica classica o jazz, posso passare tranquillamente sopra l’ignoranza delle nuove generazioni, ma il fatto che questi non capiscano niente nemmeno della musica leggera del loro periodo storico, mi fa veramente incazzare.
Bisogna avere una certa costanza per non essere stupidi e smettere di ascoltare musica stupida, leggere libri stupidi e guardare film stupidi è il primo passo. Con questo non intendo criticare i gusti di nessuno, ma i miei sono decisamente migliori o, se vogliamo dirla in maniera giovanile, i miei sono più “giusti”.
-Ok, ascolterò questo Ice Cube.- concluse.
È bella. Bella in maniera disarmante. Molte donne lo sono, ma lei ha ancora quella nota acerba pronta quasi a guastare il suo profumo. Un giorno quella nota sparirà, senza darle nemmeno il tempo di rimpiangerla e lei non ne ha la benché minima percezione. Questo è quello che mi eccita tremendamente nella vita e nella stupidità.
-Marco, prepara una canna, io metto su il tè.- dico, perdendomi in cucina.
-Mi piace molto casa tua.- dice ad alta voce Silvia.
-E alla mia casa piaci tu.
-Anche il tuo gatto è figo.
L’impulso di rispondere -Io vorrei ammazzarlo.- è molto forte, ma mi limito a dire un -Sì, è proprio tenero.
Servo il tè, mentre Marco accende la canna d’erba olandese che mensilmente mi spediscono da Amsterdam e ci mettiamo tutti a sedere attorno al tavolino.
-Hai pochissimi mobili.- dice Silvia, guardandomi negli occhi, cercando di sedurmi.
Non si può sedurre una persona che è stata sedotta da praticamente ogni cosa su questo pianeta talmente stantio da far venire il voltastomaco.
Niente di trascendentale, ma ho la certezza che nulla al mondo riuscirà nuovamente a sedurmi.
-Quando Socrate si trovò davanti ad un negozio di mobili disse: non sapevo che agli ateniesi servissero così tante cose.
-Davvero?
-Non lo so… magari non era un negozio di mobili e forse non erano nemmeno ad Atene.
Beviamo il tè, ascoltando No Vaseline di Cube. L’erba fa effetto praticamente all’istante.
-Allora, cosa ne pensi della ragazza?- mi chiede Marco.
-Penso che sia bellissima.- dico, guardando Silvia dritta nelle palle degli occhi.
Quando si guarda qualcuno negli occhi, non bisogna mai guardarli entrambi. Il trucco sta tutto nel concentrarsi solamente su uno dei due occhi; io uso il sinistro, ma voi potete usare quello che vi pare.
-Bella è l’unico aggettivo che mi viene in mente. Tu sai di essere bellissima, vero?
Non risponde, limitandosi ad abbassare lo sguardo. Questa è la prima fase dell’addestramento.
Il tè è fatto con l’erba, la stessa che Silvia sta fumando con noi. Questo è il classico vantaggio strategico, perchè sia io che Marco sappiamo quanta erba stiamo assumendo, mentre Silvia continua a sorseggiare il tè, sperando che la teina l’aiuti a reggere meglio lo sballo.
Bisogna che si sciolga ben bene. Dobbiamo farne una super donna.
-Non devi abbassare lo sguardo. Il fatto che tu sia bellissima non è di certo un difetto, anzi… dovrebbe farti camminare a testa alta, perchè le persone sono disposte a pagare ingenti somme di denaro per passare un ora della loro misera e vuota esistenza votata al nulla con te. Lo sai il motivo?
Silvia alza lo sguardo e dice -Perchè vogliono scoparmi?
-No, piccola, non è solo quello. Quella è gente che può avere mogli bellissime, locali di lusso e una vita perfetta. Non è il sesso il vero motivo. Sono disposti a ritirare soldi da carte di credito non controllate dalle loro mogli, per chiudersi in una stanza d’albergo con te, perché vogliono capire come mai fare l’amore con te è così diverso. Perchè tu sei la risposta al senso delle loro vite. Sei una bomba ad orologeria e lo sai qual’è il problema delle bombe ad orologeria?
-No.
-Esplodono. Perchè il tempo è tiranno. Tutto quello che hai è il potere della fonte della giovinezza, una giovinezza che svanirà, facendo di te una di quelle mogli che gli uomini tradiranno con una te del futuro. Questo è il tuo momento e tu puoi fare tutto quello che vuoi con questo potere, grazie alla sola consapevolezza che non sarà eterno.
È senza parole. Le stiamo dando un cucchiaio di zucchero e sale e la sua espressione è quella di una ragazza che cerca di capire se il boccone che ha appena ingerito sia dolce o salato.
Mi alzo e termino il numero che in passato abbiamo messo in scena per ogni singola ragazza che abbiamo arruolato nel nostro entourage. Prendo una busta bianca ed estraggo una pila di banconote da cento euro.
Mi metto nuovamente a sedere, questa volta accanto a lei. Siamo io, Simona e Marco, vicini e vittime del tempo.
-Ti piacciono i soldi?- chiedo.
-Sì.- risponde.
-Questo è il punto, le persone vogliono tuffarsi nella fonte della giovinezza, sempre e comunque… e tu sei la fonte. A te piacciono i soldi e davanti a te queste persone perdono la capacità di attribuire al denaro il suo vero valore.
Poso davanti a lei una banconota da cento euro.
-Sono miei?
-È solo carta, piccola. Solo carta.- dico, posandole davanti un’altra banconota, poi un’altra e un’altra.
La bacio. Ha un sapore che ricorda le fragole fuori stagione.
Allungo un’altra banconota sul tavolo. È solamente carta e davanti a te tutti vorranno liberarsene. Il mondo vuole le sue risposte e solamente tu puoi soddisfare l’ossessiva domanda.
La mano di Marco inizia a sfiorarle il seno. Altre tre banconote cadono sul tavolo. Non fanno rumore, ma nel cervello di Silvia una certa pesantezza dovrebbe iniziare a sentirsi.
Le volto il viso e Marco inizia a leccarle le labbra. Le loro lingue s’incontrano.
Mi alzo, prendo la canna dal posacenere e mi piazzo attaccato al muro a guardarli. C’è armonia e bellezza. L’unica stonatura è quel maledetto gatto che se ne sta sul cornicione della mia finestra bianca. I gatti non cadono mai… maledizione.
Cosa rimane di tutto questo? Cosa conta davvero? I soldi sul tavolo? Marco e Silvia? Io? Il gatto? Nemmeno io ho le maledettissime risposte, per questo cerco di annacquare le domande fino a dissolverle nell’aria.
Mi rimangono due banconote da cento tra le mani. Le butto davanti a Silvia e iniziamo a spogliarla.

Come sempre il silenzio. Metto su un po’ di musica.
La luce azzurrina del computer illumina il mio volto. La notte è arrivata con il suo down emblematico e destabilizzante.
Ho vissuto più di una guerra nella mia testa e nulla può destabilizzarmi realmente.
Le foto di Silvia sono state caricate sul sito. È perfetta. È stata perfetta con me e Marco e lo sarà sicuramente con gli altri. Lei farà un mucchio di soldi e li faremo anche noi.
Ma è solo carta. Non so dirvi se questa sia una cosa che si capisce solamente dopo aver iniziato a fare i soldi o se è necessario capirla per farli seriamente.
Prendo un Valium.
Il gatto è sul cornicione, intento a guardare la città addormentarsi silenziosa. Ci sarà sicuramente qualcuno pronto ad uscire per illudersi di poter cavalcare la vita a suo piacere facendo le stesse identiche azioni di tutti gli altri individui all’interno dello stesso locale.
Se stai facendo quello che nel tuo stesso ambiente stanno facendo più di quattro persone, allora sei veramente fottuto. Sei niente e ti converrebbe spiattellare il tuo cervello sulle mura cittadina, diventando un tutt’uno con questa meravigliosa e decadente città.
Ballate scimmie. Ballate al disotto dei nostri tetti. Il vostro posto e là sotto a dimenarvi come degli imbecilli, mentre il mio è qui, a scrutarvi dall’alto.
Il gatto muove la coda. Piccolo e maledetto esserino incapace d’intonarsi con l’ambiente circostante.
Mi avvicino. La finestra è aperta. Un colpetto secco. L’armonia è tornata.
Il gatto è un tutt’uno con questa città. Il prossimo animale sarà un camaleonte.

Ferdinando de Martino