Settembre 2016

Scrittura creativa | IL TEMPO PER SCRIVERE | di Ferdinando de Martino.

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Partiamo da un presupposto: per molti scrittori, scrivere un romanzo o un racconto è un punto d’arrivo, mentre per me è un allenamento.
Scrivere è la preparazione ad un evento sportivo che non verrà mai disputato. Allenarsi senza avere una reale motivazione.
Molto spesso sento gli autori della mia generazione spiegare della loro continua mancanza di tempo da dedicare alla scrittura. Ovviamente questo discorso è applicabile a molte altre tipologie di forme d’arte, anche se la scrittura è a livello oggettivo quella che necessita di minori mezzi per la sua realizzazione.
Un computer o, se vogliamo stringere all’osso, un foglio ed una penna è tutto ciò che serve per scrivere.
Ma veniamo al tempo.
Come fai a scrivere in continuazione? Questa è una domanda che ho sentito molto spesso e, per quanto possa sembrare banale, la risposta è: scrivendo in continuazione.
Trovo iper-ridicolo dover realmente affrontare una discussione del genere, ma anche questo fa parte della letteratura.
Quando scrivere?
Innanzitutto, il mio consiglio spassionato a chiunque si ponga questa domanda è di non scrivere, perchè se un individuo senza disturbi mentali eccessivi arriva a porsi una domanda del genere, vuol dire che non è ben motivato e la motivazione è tutto.
Ma senza dilungarmi oltremodo, andrò a rispondere.
Sempre. Scrivete sempre.
Quando i vostri amici vanno a ballare, scrivete. Non volete fare i ballerini, ma gli scrittori.
Quando i vostri amici vanno al mare, scrivete. Non volete fare il mare, ma gli scrittori.
Quando i vostri amici andranno a Copagabana, scrivete. Al loro ritorno loro avranno un sacco di diapositive che nessuno vorrà vedere e voi avrete terminato un romanzo, perchè volete fare gli scrittori e non i turisti.
Quando i vostri amici andranno a cena fuori, voi sarete dall’altra parte del muro a lavare i piati o fare il cameriere, perchè per scrivere dovrete lavorare fino a sfiancarvi, per poi tornare a casa e riprendere a lavorare davanti alla tastiera.
Quando non avrete più idee in testa, fermatevi e andate a fare dell’altro; una birra con gli amici, una partita a biliardo, andate a donne, al parco col cane, al cinema, insomma… svagatevi, perchè per scrivere bisogna anche un po’ vivere. Magari leggetevi una sessantina di libri all’anno, visto che nella vita volete scrivere.
Non allontanatevi mai dalla vita, perchè quando si è troppo lontani dalla vita, si è agli antipodi dell’arte e a nessuno interessa un’opera pretenziosa, scritta da qualcuno che non parla la lingua dell’empatia. Ricordate che la gente vuole la verità e anche allora, dei libri non gliene fregherà un cazzo a nessuno.
Anche davanti a questo scenario dovrete continuare a scrivere. Quando i calli alle mani vi bruceranno e le ginocchia inizieranno a cedervi… scrivete.
Ogni volta che direte -Non ho tempo per scrivere.-, pensate a tutte quelle volte in cui vi siete rincoglioniti davanti al televisore, quando potevate scrivere o a quando avete passato quattro ore ad abbronzarvi, quando potevate scrivere.
Pensate a Cèline e a tutti quelli che si facevano un culo a strisce, mangiando pane, odio e cipolle per poi tornare a casa e iniziare quel lavoro infame che molti chiamano: scrittura.

Ferdinando de Martino

Ritratti macabri | un racconto di JOHN WICKER |

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Lo guardavano da sempre come se provenisse da un altro pianeta o da una galassia di tipi incasinati. Avevano ragione, il suo intero universo era molto incasinato, ma chi di noi non era completamente sfasato a sedici anni?
Kevin riusciva ad ignorare tutti quegli sguardi, piazzandosi le cuffie del suo walkman con i Cure in continua rotazione.
Preferiva il suono delle musicassette a quello degli appena nati compact disc, anche se nulla batteva quel calore che solamente il vinile riusciva a trasmettere ai suoi sensi.
La penna ad inchiostro nero solcava il foglio, sfiorando appena la carta ancora bagnata dalla china azzurrina.
Kev era solito utilizzare un misto di tecniche nelle sue illustrazioni. Amava sperimentare e sosteneva che tutti i più grandi del passato fossero stati a loro modo dei precursori nell’ambito delle sperimentazioni.
La mano del professor Pitt colpì la sua spalla un paio di volte.
-Mi scusi professore, con le cuffie non la sentivo.
-È interessante questo gioco dell’inchiostro. Viaggiamo ancora sul cupo, ma… è davvero molto interessante questo percorso.
Era una vita che si sentiva dire frasi come quella, come se ogni sua azione fosse troppo cupa.
I suoi professori, la sua famiglia, gli amici e le ragazze, il panettiere, il benzinaio e tutti gli altri avrebbero voluto vederlo meno cupo. Non poteva farci niente, perchè il suo amore per il nero e per i Cure era realmente puro e non sarebbe riuscito ad indossare i vestiti dei suoi compagni di classe, sportivi e deculturalizzati, nemmeno in un milione di anni.
L’illustrazione a cui stava lavorando, sarebbe finita sul giornalino della scuola, perchè la redattrice era l’unica altra goth della scuola e gli aveva promesso che avrebbe piazzato il suo lavoro in prima pagina, allegando un articolo sulla stupidità dei giovani contemporanei, troppo viziati per capire davvero l’empatia.
Un’ombra invase il campo visivo sul quale stava lavorando. Sollevò lo sguardo e incontrò quello di Vicky.
Come descrivere Victoria? Avete mai fatto il liceo? Avete mai avuto una cotta per una ragazza bellissima? E, soprattutto, avete in mente quelle ragazze di cui non ci si poteva nemmeno innamorare, perchè perfino amarle sarebbe stato un peccato mortale?
Mettiamola così: in quel liceo Victoria era più bella e popolare di Madonna.
Era una ragazza pom pom e un’appassionata d’arte, insomma, non la si riusciva proprio ad inquadrare.
Kev lo si inquadrava in una decina di secondi, ma lei no, lei era una sorta di divinità scesa in terra a confondere gli sportivi e gli alternativi di tutta la scuola.
Stava parlando. Kev si tolse le cuffie.
-È veramente molto bella. Chi è la ragazza?- domandò.
-È una tipa che ho visto sull’autobus.- rispose lui, ignorando le frasi dei suoi compagni, tipo “Hey, ma sta davvero parlando con quello sfigato?”.
Il liceo era pieno di rincoglioniti, massacrati dalla televisione e dallo sport.
Lui non era uno di loro e non lo sarebbe mai stato. Non era come tutti gli altri ragazzi che si fingevano alternativi solamente perchè non erano riusciti a saltare sul carrozzone dei vincenti. Lui era uno vero.
Non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma si sentiva migliore di loro praticamente in tutto.
Dopo la campanella gli studenti se ne tornavano tutti a casa, nelle belle auto che i genitori gli avevano regalato, mentre a lui il fato aveva regalato due bei piedi e un paio di scarpe.
Ogni giorno era la stessa storia, le ragazze montavano sulla macchina di qualche idiota e lui si accendeva un joint, iniziando camminare. I Cure nelle orecchie erano, ovviamente, di rito.
Un giorno quella sua ossessione per Smith e soci sarebbe giunta al termine, ma al momento i Cure erano la sua band preferita.
-Hey, straniero… dove ti porta il vento?
-A fanculo.- rispose, senza nemmeno voltarsi.
-Gentile da parte tua… rispondere così ad una ragazza.
Si voltò. Era Vicky.
-Cavolo… non avevo idea che…
-Che mandare a fanculo le persone non fosse il modo migliore per farsi dei nuovi amici?
-Colpito e affondato.
-È una canna?- domandò, indicando l’evidente spinello che Kev stringeva tra le dita.
-È una canna.
-Mi faresti fare un paio di tiri?
-Davvero?
-No, per finta.
-Vuoi dirmi che le ragazze pom pom, adesso, si fanno anche le canne? La prossima cosa sarà… una ragazza pom pom presidentessa degli Stati Uniti?
-Uhm… credo che faranno prima un nero come presidente degli States. Per le donne è ancora presto.
-Il giorno che un Nero diventerà presidente degli Stati Uniti, io mi taglierò l’uccello.- concluse Kev, porgendo la canna a Vicky.
Ci mise qualche minuto a realizzare che Vicky stesse realmente fumando assieme a lui. Era come se una divinità dell’antica Grecia avesse bevuto del vino con un contadino. Nulla di buono sarebbe potuto nascere da una situazione così surreale.
-Cazzo, questa roba è veramente forte.
-Sì.
-Ma che erba è?
-Non è erba… è hashish.
-Ah.
-Forse sei abituata a quell’erba finocchietta dei tuoi amici quarterback.
-Ah, ah, ah… prendimi pure in giro… ma questa roba dovrebbe essere illegale.
-Infatti lo è.
Scoppiarono entrambi a ridere. Vicky appoggiò un braccio sulla spalla di Kev.
Non si erano mai toccati prima di quel momento. Quello significava che per lei Kevin non era un lebbroso alternativo.
I ragazzi ricchi della scuola lo chiamavano in quella maniera, “Lebbra”.
-Hey, è arrivato Lebbra.- dicevano ad alta voce, quando passava in mezzo ai corridoi del liceo.
Odiava con tutto se stesso quel branco d’idioti, ma aveva smesso di dare importanza alle parole degli altri, perchè a soffrire come un cane non si diventava ricchi, ma solamente più depressi del solito.
-Senti… ma tu cosa fai?- chiese Vicky.
-In che senso?
-Adesso…
-Pensavo di passare dal Black-Store.
-Wow. Fico. Il negozio di dischi. Ti darebbe fastidio se io venissi con te? Sono troppo sballata per farmi beccare da mia madre in queste condizioni.
-Certo. Vieni pure.
-Però, poi mi porti a mangiare un hamburger?
-Avrai il tuo panino con carne, donna.
La più bella della scuola e Lebbra s’incamminarono verso il Black-Store, camminando a zig-zag, con la classica andatura dei ragazzini rimpinzati di fumo.
L’adolescenza è sempre stato il miglior periodo per fumare. Niente paranoie, ma solo grandi viaggi mentali.
Entrare in quel negozio era sempre un’esperienza visiva fantastica. Pile su pile di dischi che aspettavano solamente di essere scoperti e ascoltati.
D’improvviso Kev iniziò a porsi una domanda: quali erano i gusti musicali della sua nuova amica?
Probabilmente ascoltava le classiche band slavate da adolescente ricca e soddisfatta da tutto. Quelli come lei sembravano fatti con lo stampino.
-Sai, non credo che qui abbiano i Kajagoogoo?
-Cosa ti fa pensare che io sia una fan dei Kajagoogoo?
-Mh… frequenti un branco di ritardati. Nulla di personale.
-Cosa ne sai tu di chi frequento io?
-Hai ragione… stavo solamente facendo lo stronzo.
-Facciamo così…- disse, sfiorandosi i capelli biondi -Visto che tu volevi comprare un disco e anche io voglio comprarne uno; io lo comprerò per te e tu lo comprerai per me. Che ne dici?
-Tipo un regalo?
-Tipo un regalo.
-Sì, ma quel finto New Wave di Limahl non lo voglio nella mia collezione, intesi?
-Fanculo Kev.
Iniziarono a cercare il giusto regalo tra le cassette riciclate, piene di vinili nuovi e usati, accuratamente divisi per genere e ordine alfabetico, relativo a band e artisti solisti.
Kev trovò quasi subito il disco per Vicky, mentre lei impiegò un po’ più di tempo per trovare qualcosa che, secondo il suo gusto, Kev avrebbe sicuramente apprezzato.
-Eccomi qui. Cosa mi hai preso?- chiese.
Era maledettamente bella. Non sembrava nemmeno un essere umano.
-American Beauty. È un disco dei Greatful Dead.
-Wow… non li conosco.
-Sono tipo il miglior gruppo di tutti i tempi.
-Fico.
-Questo è il mio.
Kev prese in mano il disco che la ragazza aveva scelto per lui e sorrise. Ovviamente possedeva già una copia di “Sandinista”, ma il fatto che Vicky avesse scelto i Clash l’aveva costretto a ricredersi su quella ragazza.
-Ma quindi, si può essere bellissime e avere anche un cervello?
-Quindi, tu credi che io sia bellissima?
Era un idiota. Non ci sapeva fare con le ragazze.
-Cosa?
-Uh… hai forse una cotta per me? Vorresti baciarmi? Il ragazzo dark, troppo intelligente per mischiarsi con gli sportivi e le pom pom girls, ha una cotta per una di loro?
-Smettila di prendermi in giro.- disse lui, imbarazzato.
Vicky lo baciò. Il mondo intero sembrò fermarsi per una manciata di secondi.
Forse era un bacio di circostanza, perchè lei non sembrava averci dato molta importanza.
-Adesso… mi porti a mangiare un cheesburger colossale.- sorrise.
-Ah, ma quindi voi ragazze pom pom mangiate?
-Stupido.
Doveva mantenere il suo ruolo di misterioso ragazzo goht, ma dentro di sé stava provando un fuoco di passioni contrastanti.
Al fast food Vicky prese un cheesburger con patatine, mentre lui ripiegò sul frullato al cioccolato.
-Ma dimmi un po’, tutti i goth bevono frullati, oppure è una tua prerogativa.
-Ah, ah, ah… niente sangue di pipistrello al mattino.
-Scherzi a parte, lo sai che i tuoi disegni mi piacciono un casino?
-Grazie.
-È questo che vorresti fare nella vita?
-Wow, sei bella diretta tu. Sì… cioè, probabilmente mio padre preferirebbe che diventassi un ladro o un assassino, piuttosto che un disegnatore, ma questo è quello che vorrei fare. Mi piacerebbe lavorare sulle copertine dei dischi e sui poster.
-Figo.
-Si, i dischi dei Greatful Dead hanno sempre delle copertine fighissime. Quello che ti ho regalato non è malaccio, ma le altre sono pazzesche.
-Quindi mi hai regalato quello più sfigato?
-No, stupida, ti ho regalato quello più bello.
-Oh… se continui così, magari, un giorno ci baceremo ancora.- rispose, guardandolo con malizia.
Era una ragazza interessante.
-E comunque anche secondo me c’è qualcosa di cupo all’interno dei tuoi disegni, ma sono cupi nell’accezione positiva del termine… come i Cure.
-Hai centrato il punto. Io amo davvero quello che faccio. Sai… questo non lo sanno in molti, ma io mi faccio da solo i colori.
-Ecco perchè le tue boccette non hanno mai le etichette commerciali. Che figata. Questo rende i tuoi disegni ancora più fighi.
-Fico.
Il gergo degli anni ottanta, per quanto possa risultarvi strano, era esattamente così. Fico, rappresentava il sessanta per cento dei dialoghi della gioventù intenta a bruciarsi i giorni, esattamente come avevano fatto i giovani delle decadi precedenti e come, probabilmente, avrebbero fatto quelli delle decadi successive.
Quando il giorno seguente Vicky salutò Kev, a scuola, le sue compagne iniziarono a chiederle come mai avesse dato tanta confidenza ad uno sfigato e lei rispose che Kev era un ragazzo fantastico e che era un disegnatore formidabile e non vedeva il motivo d’ignorarlo, visto che il giorno precedente aveva fumato dell’erba assieme a lui.
Kevin non faceva altro che continuare a pensare a quel bacio. Nessuno lo sapeva e, al contrario di tutti gli altri, lui non moriva dalla voglia di spargere ai quattro venti una cosa importante come quella.
Vicky, probabilmente, era abituata a distribuire baci a destra e sinistra, ma lui non era così abituato a riceverne. Quando poi a baciarti era la ragazza più bella e popolare della scuola, la situazione diventava surreale.
Se l’avesse spiattellato a qualcuno, la voce si sarebbe sparsa e tutti gli avrebbero detto che il bacio era stato solamente una sua invenzione e che solamente nel mondo dei sogni avrebbe potuto baciare Vicky.
Sentiva un rapporto molto profondo con quella ragazza, da quando si erano baciati, e voleva immortalare in qualche modo ciò che sentiva, ma non sapeva come fare.
Ignorò Vicky per tutto il resto della giornata, consapevole del fatto che i suoi amici l’avrebbero presa in giro se solo si fosse nuovamente avvicinata a lui, visto che per un semplice saluto l’avevano tutti guardata male.
Vicky e Lebbra. Che cosa ridicola.
Durante il tragitto del ritorno, Kev si accese la sua consueta canna. Aveva in programma di passare il pomeriggio a guardare qualche vecchio film dell’orrore e, magari, ascoltarsi un bell’album dei Cure.
Sì, Kevin era un ragazzo molto monotono.
-Ciao, straniero. Che facciamo oggi?
Era la voce di Vicky.
Era la seconda volta che assisteva ad un miracolo, ma l’imbarazzo era lo stesso.
-Cosa vuoi fare?
-No… cosa vuoi fare tu?
-Io pensavo di andare a casa ad ascoltare qualche disco.
-Ci sono i tuoi?
-No.
-Senti… perchè non mi fai un ritratto?
Tombola. D’un tratto Kev trovò il modo d’immortalare per sempre quello che aveva sentito quando la ragazza più bella del liceo l’aveva baciato.
-Certo… ma non credo di essere così bravo da riprodurre la tua bellezza.
-Dio, adesso mi imbarazzi. Divento tutta rossa.
Lungo la strada di casa, parlarono dei dischi che si erano rispettivamente scambiati il giorno precedente.
Vicky aveva apprezzato i Greatful Dead, ma li trovava un po’ troppo psichedelici. Kev, al contrario, trovava tutti i gruppi “poco psichedelici”.
Una volta dentro l’abitazione, Kevin preparò due sandwich al tacchino e burro d’arachidi per lui Vicky e li mangiarono guardando Mtv, quando ancora l’emittente trasmetteva musica, al posto di stronzate ammazza neuroni.
Kev non sapeva proprio cosa fare. Doveva baciarla? Forse doveva far finta che non si fossero mai baciati?
-Che ne dici di farmi il ritratto?- chiese, guardandolo di sbieco, sfoderando uno degli sguardi più belli ed irripetibili che Kev avesse mai visto.
-Sì. Andiamo in camera mia.
-Certo.
Raramente qualcuno entrava nella sua stanza. I poster alle pareti erano quasi tutti dei Greatful Dead e dei Cure, anche se si potevano incontrare delle immagini di Ian Curtis.
Kev non aveva amici, forse perchè in città non c’erano molti altri goth, o forse perchè non era mai stato molto socievole… vallo a sapere.
Vicky si mise in posa, davanti alla finestra. Era molto bella e consapevole di questa sua bellezza. Tuttavia, la consapevolezza non era mai volgare quando la indossava lei.
-Come funziona?
-Come funziona cosa?
-Il tuo processo creativo?
-Per la realizzazione dell’opera, intendi?
-Sì.
-Adesso sto facendo lo schizzo a matita, poi vado giù nello studio e passo alla colorazione, in fine con l’inchiostro e il pennino ripasso i contorni ed elaboro i dettagli.
-Fico. Lo studio cosa sarebbe?
-Il posto in cui creo i colori.
-E dove si trova?
-Nello scantinato.
-Ah… quindi hai una tua fortezza della solitudine?
-È più una bat-caverna.
-Ah, giusto… l’ossessione per il nero. Ma io ti piaccio anche se sono bionda?
-Che stupida…
-Tanto lo so che ti piaccio.
Le piaceva, ma il fatto era che Kev aveva un modo tutto suo d’amare.
-Finito.
-Fammi vedere.
-No… lo vedrai quando sarà finito.
-Non ci sto.
-Sono irremovibile.
Vicky si mise a sedere accanto a lui.
-E se io ti bacio così?- chiese, dandogli un frettoloso bacio sulle labbra.
-Spiacente. Sono le politiche aziendali ad impedirmi di mostrare i lavori prima che siano finiti.
-E se ti bacio così?- richiese, infilandogli la lingua in bocca.
Si baciarono lentamente. Kev le accarezzò la guancia. Aveva una pelle molto fresca.
Era quello l’amore? Forse, ma Kevin decise di non porsi nessuna domanda. L’unica cosa che doveva fare era impedire al suo corpo di svenire durante quel bacio da film.
-Allora?- chiese lei, guardandolo negli occhi.
-Mi dispiace. Voglio che tu lo veda completo.
-Ok, ti capisco. Però voglio vedere la tua bat-caverna.
-Bene. Quella posso fartela vedere.- rispose.
Vicky sentiva qualcosa di strano. Era come se volesse addentrarsi in quel rifugio per sentire cose c’era dentro quel ragazzo così diverso da tutti gli altri compagni di corso che aveva incontrato.
Erano tutti sempre così presi da loro stessi, che incontrare una persona con del talento, priva di quella fastidiosa ed irritante auto celebrazione, l’aveva profondamente scossa.
Insomma, quel ragazzo sembrava riuscire a suonare perfettamente le sue corde.
Uscirono dalla casa ed entrarono nel seminterrato. Si poteva accedere solamente dall’esterno, essendo uno di quei vecchi seminterrati costruiti nell’epoca del proibizionismo.
C’era un odore malsano, ma probabilmente era dovuto all’assenza di finestre o ad un danneggiamento del canale di ventilazione.
-Adesso accendo la luce… non aver paura.- disse Kev.
-Paura… perchè dovrei avere paura… sei tu che dovresti avere paura di me.
La luce si accese e Vicky si trovò davanti ad una visone a dir poco agghiacciante.
Appesi a vecchi catenacci, c’erano teste e frattaglie di rane, gatti e, probabilmente, quella che una volta doveva essere stata una volpe.
Le ampolle di differenti colori, emanavano un forte ed insistente odore di morte.
-Ma che dia…- disse Vicky, sentendo una sensazione mai provata prima.
La lama attraversò il suo fianco, come uno spillo avrebbe attraversato un cuscino. Kevin girò la lama e iniziò a muoverla verso l’ombelico, per poi affondare ancora l’arma nella carne viva.
-Ah. Ahh.- sussurrò Vicky, non riuscendo a superare la tonalità dello sbadiglio.
Cercava in lei la forza per pronunciare qualcosa, ma i pensieri finivano per morirle in gola, spezzando le frasi, esattamente come si stava spezzando la sua giovane vita.
Tre mesi dopo la tremenda scomparsa della liceale più bella della città, la vita aveva ripreso il suo naturale corso e gli studenti notavano appena le foto sui cartoni del latte e le locandine di cui la città era tappezzata.
Fu proprio un disegno raffigurante la giovane ragazza scomparsa a vincere il primo premio di un concorso locale di pittura.
L’artista premiato si chiamava Kevin Oberline e il colore vivido ed emblematico di quelle labbra rosse come il sangue, rimase a lungo nella memoria dei giudici del concorso.

J. Wicker