Le vostre figlie stanno twerkando coi nostri sentimenti

2013 MTV Video Music Awards - Show

Per una volta uscire di casa si era dimostrata una cosa utile ed istruttiva.                                   Il mondo stava andando a rotoli e noi tutti non potevamo che fingere di essere delle pietre rotolanti, per citare Dylan.
Passavo molto tempo in biblioteca, in mezzo alla gente intenta a studiare, ansiosa di andare ad immettersi in quel meccanismo chiamato vita che non avrebbe fatto altro che deluderli, trattando le loro ambizioni e i loro sogni come carne da macello.
Avevano tutti una gran fretta e detta in tutta sincerità non riuscivo proprio a capirne il motivo.
Fretta di laurearsi, di scopare, di lasciarsi, di offrirsi gelati, di aspettare un bus sotto la pioggia, fretta di perdere qualche amicizia per colpa di una donna, fretta di tornare presto a casa per portare fuori il cane, fretta di truccarsi dentro e fuori e via dicendo.
Io non studiavo, anzi, avevo fatto del “non studiare” un “non lavoro” e mi trovavo in quel posto proprio per quello.
Lavoravo in mezzo a tutta quella gente perché ero un solitario e quello che non sapete dei solitari è che odiano la solitudine. Non si è mai soli per scelta, ma per assuefazione.
Quindi di tanto in tanto mi costringevo a guardare la gente, mentre lavoravo. Il lavoro che facevo era un po’ particolare, se non del tutto anomalo.
Proprio mentre un tizio a fianco a me studiava trigonometria e una ragazza ripassava la sua tesi, io scrivevo “Lo sterminatore anale”.
Sì, scrivevo porno. Nella mia vita si è sempre azionato un meccanismo di stranezza e tutto ciò che mi riguardava, finiva per essere risucchiato in un vortice di stranezze e cose del genere.
Ero impresentabile. Immaginate di vedere tutti quei ragazzi più giovani di me, impegnati a sputare sangue sui libri per ottenere qualcosa nella vita e poi, provate a visualizzare me, intento a scrivere “Lo sterminatore anale” sperando che la ragazza al mio fianco non sbirciasse lo schermo.
Ad onor di cronaca dovrei dire che il racconto a cui stavo lavorando si chiamava “Lo sterminatore anale” parte due, perché il primo risaliva alla settimana precedente.
Volevo mettermi in mezzo alla gente per non sembrare proprio un totale extraterrestre, ma come pretendevo di non risultare strano quando passavo la maggior parte della mia giornata a scrivere porcate inaudite per uno stipendio da fame? Quella roba ti entrava dentro fino al cervello e non potevi farci niente.
Parlavo con le persone e dicevo -Sì, sono uno scrittore.- e loro avevano una sorta di sguardo di ammirazione, ma poi quella vocina interiore mi diceva -Ricordati che scrivi di sterminatori anali e non sei Tolstoj.-.
Non ero Tolstoj, quello era poco ma sicuro. Forse con una barba lunga avrei potuto anche imitarlo, ma le similitudini si sarebbero limitate all’estetica.
Ad un certo punto notai che la ragazza al mio fianco aveva cambiato espressione. Iniziai ad auto convincermi che con lo sguardo fosse riuscita a rubare qualche capoverso dallo schermo del mio portatile.
Provai una vergogna inaudita. Non potevi nemmeno andare a studiare in biblioteca senza finire a fianco ad un pervertito che scriveva di sterminazioni anali.
Forse vi chiederete il perché del titolo e la risposta è molto semplice: in pratica il protagonista della saga era una spia che sterminava le donne potenti con degli orgasmi anali senza precedenti.
Poi viene quasi da chiedersi come mai le donne non volessero uscire col sottoscritto, eh?
Avevo completamente rinunciato a comprendere quel meraviglioso ed infernale enigma che tutti chiamavamo: donna.
Mi arrivò un messaggio sul telefono, ma non lo lessi, perché ero troppo risucchiato dalla trama del racconto che stavo scrivendo. Per quanto possa risultare ridicolo ho sempre messo molta dedizione nello scrivere e sinceramente non ne ho mai capito il motivo, perché mentre Follet viveva in una villa, io scrivevo pornografia in biblioteca e non potevo permettermi nemmeno di avere un motorino.
Mi si accusa di eccedere con la repressione nei miei libri e non si può muovere un accusa più concreta di questa, riguardo ai miei lavori. La repressione è l’unica cosa che conosco veramente a fondo.
So cosa si prova a non potere fare le cose, so cosa si prova a guardare gli altri vincere quando tu ti impegni dieci volte più di loro, ma non hai né le carte in regola, né le possibilità di competere con loro.
È tutta merda che conosco molto bene e non posso parlare d’altro, perché è proprio quando smetti di parlare delle cose che conosci, per descrivere mondi popolati da folletti e cazzate del genere che smetti di essere uno scrittore ed inizi ad essere un qualcosa che non voglio nemmeno prendermi la briga di definire.
Era proprio in quel posto che avevo trovato i mei primi amici. I personaggi di quei libri mi avevano sedotto, avevamo preso delle pinte assieme ed eravamo andati in posti che non avrei mai visitato, per via della mia paura di volare. Quei volumi impolverati mi avevano salvato la testa dalla pazzia, nonostante mi fossi ritrovato a scrivere “Lo sterminatore anale” a fianco ad una donna che non mi sarei mai portato a letto, perché credeva che fossi uno psicopatico.
Poco più tardi, sull’autobus, lessi il messaggio che mi era arrivato poco prima, quando mi trovavo ancora in biblioteca.

_Stasse DISCO_
Era un messaggio di un mio amico, atto ad invitarmi ad una serata in discoteca. Odio le serate e odio le discoteche, quindi il programma non mi allettava per niente, ma dovevo assolutamente fare qualcosa per il mio karma; quindi decisi di accettare il suo invito.
Cercai di vestirmi alla moda, accorgendomi di non immaginare nemmeno in che direzione andasse la moda e alla fine mi vestii come al solito.
Per descrivere il mio modo di vestire ho creato un neologismo: seattle-romantico.
Non è tanto una questione di capi d’abbigliamento, quanto più di attitudine; in pratica ogni cosa che indosso diventa automaticamente grunge.
Non so se questo sia un bene o un male e non mi interessa più di tanto avere un opinione a riguardo.
Fuori dalla discoteca eravamo in quattro, tutti pronti ad entrare in quel luogo che non ci apparteneva nemmeno un po’.
Erano tutti così belli e pettinati che mi veniva quasi da pensare che in qualche posto del mondo, per una sorta di bilanciamento cosmico, dovesse esserci una discoteca piena di gente sciatta e brutta.
Mi ero già pentito di essere uscito, ma quella era una cosa che mi succedeva praticamente ogni volta che mettevo il naso all’aria aperta.
Cambiai notevolmente opinione sull’intera serata, solamente dopo essere entrato in quel locale. C’era una quantità di ragazze imbarazzante.
Erano bellissime e giovanissime… che diavolo potevano mai avere a che spartire con uno che non era né bello e né tanto giovane, che guadagnava meno di quello che i loro genitori gli davano il sabato sera per andare a sculettare in quei locali.
Avevano la vita in pugno, mentre a me quella stessa vita non faceva che prendermi a pugni dal mattino alla sera. Ero un perdente, ma almeno avevo imparato a stare sul ring e quella non era una cosa da tutti.
Ad un certo punto, assieme ad un mio amico, iniziammo a ballare con due giovani ragazze. Probabilmente diciotto anni, per evitare denunce o cose del genere.
Adesso, urge una precisazione sul termine ballo.
In pratica, cari padri di famiglia, quando le vostre figlie diciassettenni vi dicono -Ciao, vado a ballare.- quello che in realtà intendono é -Ciao papà vado a fare sesso anale.
Lo so che in questo momento starò rovinando la vita di molti genitori, convinti che le loro figlie siano delle ballerine di danza classica, ma proprio per dare a questi genitori le armi per capire cosa fanno le loro figlie, mi trovo costretto a scendere nel dettaglio.
Le ragazze non ballano più. Lo so che dicono in continuazione -Vado a ballare.-, ma quello che in realtà dovrebbero dire è -Vado a Twerkare!
Cos’ è il Twerk, cari padri? Il twerk consiste nell’appoggio del sedere di vostra figlia sul pacco del ragazzo con cui sta ballando.
Una volta appoggiato il culo sul suddetto pacco, vostra figlia inizia a muovere il sedere, mantenendo i glutei molli, facendoli letteralmente ballonzolare, facendo inserire meglio il… non c’è un termine elegante per continuare questa frase, ma ci siamo capiti.
Una volta raggiunta una sorta di, come dire, rigonfiamento, la figlia in questione inizierà ad abbassarsi con la schiena, andando a creare quella che per loro e danza, mentre per quelli della mia generazione è a tutti gli effetti una pecorina.
Adesso viene la parte interessante del ballo. Una volta raggiunta quella posizione ad angolo retto, la ragazza inizia a staccarsi dal pacco, per poi colpirlo nuovamente a ripetizione, il tutto afferrando le mani del giovane scrittore… ehm, volevo dire del giovane tizio preso a caso, per piazzarsele sulle tette.
Questo è il ballo. Non fraintendetemi, perché nel carrozzone dei pervertiti ho un posto in prima fila, ma credetemi, sono rimasto completamente sconvolto da questa nuova tipologia di ballo.
Più che altro non riesco a capire come si sia potuti passare dallo “Schiaccianoci” alla pecorina, perché mi rifiuto di dare al Twerking un nome diverso.
Ovviamente essendo di una generazione obsoleta, dopo questo rapporto sessuale in pista, ho provato a baciare la suddetta ragazza e lei si è spostata.
Questo ha creato in me uno scombussolamento antropologico.
Ai miei tempi prima si limonava e poi si passava alle tette e al culo. Ora, non voglio sembrare l’ultimo dei romantici, ma adesso le giovani sembrano lasciare il libero accesso alle basi secondarie, senza però concedere la base più soft.
Io non riesco realmente a concepire questo atteggiamento, non perché mi senta un rudere, ma per il semplice fatto che non ha un reale senso logico. Mimare una pecorina con un ragazzo, piazzandogli le mani sulle tette, per poi rifiutarsi di baciarlo è un po’ come salire sul bus, timbrare il biglietto e poi scendere per proseguire a piedi.
Questo fanno le vostre figlie, probabilmente perché non avete saputo educarle a dovere, insegnando loro che un impegno è un impegno e che non possono andare in giro a twerkare coi sentimenti altrui.

 

 

Ferdinando de Martino