Ep1 |Diario di uno scrittore in quarantena |

Era bellissima, ma su questo torneremo dopo.

Dovrebbe essere all’incirca il quattordicesimo giorno di quarantena. 

Mi affaccio spesso dalla finestra e guardo la mia città deserta. Parlo con i miei dirimpettai che hanno due gatti. Gridiamo da una finestra all’altra mentre qualcuno spara musica dai diffusori di un qualche palazzo in lontananza. Non parliamo di massimi sistemi, ma quattro chiacchiere distaccate su come il mondo stia andando a rotoli possono salvare le giornate. 

Mia moglie è al computer e disegna sulla tavoletta grafica. Aveva preso uno studio poco prima che scoppiasse la pandemia, per fare una divisione netta tra casa e lavoro. Ora quella divisione non esiste più e, in pratica siamo colleghi e amanti di un piccolo universo in cui esistiamo solo noi. 

Io vado a fare la spesa, a buttare l’immondizia e in farmacia. Per il resto leggo, lavoro, gioco a biliardo online e litigo con mia moglie che non vuole che fumi, ma di tanto in tanto una sigaretta esco a farmela con la scusa della spazzatura o dell’eroismo intrinseco nell’andare a fare la spesa con il covid in giro.

Le nostre segregazioni sono differenti e altalenanti. Le mie, sedate dagli ansiolitici e le sue lucide e malinconiche.

Vorrei portarla a fare una passeggiata. 

Ieri, mentre andavo a fare la spesa è accaduto qualcosa. Credo che sia lo stesso qualcosa  scattato in London quando vide per la prima volta un cane.

Me lo immagino Jack London davanti a un molosso a pensare “Ma sai che su questa cosa dei cani che covano dentro un po’ la voce selvaggia dei loro avi ci potrei scrivere qualcosa?”. 

Ero in strada e mi sembrava di essere entrato in uno di quei libri distopici in stile Il Mondo nuovo o nel film L’Esercito delle dodici scimmie. Tutti con le loro mascherine a un metro di distanza. Nessuno parla. Tutti isolati con la testa china sui cellulari a cercare informazioni, soluzioni, siti pornografici, distruggere altri esseri umani sui social network e vie dicendo.

Stiamo tutti in fila e in strada una serie di linee di nastro rosso delineano le distanze da rispettare. Chi entra nel supermercato e vuole anche della frutta deve fare una fila a parte. 

In quanto editore il mio pensiero costante è il suicidio, perché il digitale è una risorsa, ma grazie a questa pandemia ci stiamo accorgendo di quanto sia fondamentale l’analogico.

Vado dal macellaio dopo aver fatto la spesa e compro delle fettine da fare in padella.

Gli chiedo come procede l’attività e lui risponde che non c’è male.

“Tirerei sotto col camion quelli che corrono, però!” conclude bestemmiando.

Prendo le fettine ed esco. Mia moglie è fissata con le verdure e mi ha fatto una lista sul cellulare. Non  so come ma anche questa volta dimenticherò qualcosa. 

Mentre mi avviavo verso il fruttivendolo, tiro fuori il portafogli per evitare di farmi trovare impreparato, perché per una conta di monetine di questi tempi ci si possono beccare degli insulti anche pesanti e Corona Virus o non Corona Virus io non amo essere insultato.

“Ehi tu.” sento.

Continuo a camminare quando una ragazza mi supera sulla destra e mi si piazza davanti, rispettando il metro di distanza.

“Ti sono caduti questi.” dice.

Era bellissima. Una di quelle donne delle quali avrei potuto innamorarmi prima d’incontrare mia moglie. Dev’essere dell’Africa del Nord. 

Guardo le sue mani. Dovevano essermi caduti a terra quindici euro. Lei li aveva raccolti e me li stava restituendo cercando di mantenere le distanze. 

In quello stesso momento qualcuno si stava spegnendo per sempre in uno dei tanti ospedali e lo stava facendo lontano da parenti e famiglia. 

Era un periodo terribile. E poi c’era quella ragazza bellissima che mi stava dando quindici euro.

“Grazie.” dissi io. 

Li presi e mi accorsi che quello era uno dei rarissimi contatti diretti degli ultimi giorni. 

“E di cosa.” e vola via.

L’idea di tornare a casa e rimettermi al timone della Casa Editrice, della scuola e dei corsi mi metteva l’ansia. 

Ogni giorno mi metto davanti al computer e provo a lavorare, scrivere, fare conferenze, lezioni mentre il mondo sta andando a rotoli.

Quando scrivo, ultimamente, lo faccio con lo stesso umore di uno dei musicisti del Titanic.

Credo che questa situazione non faccia bene a chi soffre di depressione o disturbi mentali. Personalmente vivo le mie giornate affrontando il mio disturbo con sertralina, bromazepam, alprazolam e il mio preferito: il lormetazepam, ma si sa, io sono uno all’antica. 

Leggo di un sacco di persone che vivono le loro depressioni facendosi foto sexy ciucciando mandarini su internet e mi viene da pensare che quasi quasi la reclusione non è poi così male. Ho una donna meravigliosa, del cibo, dell’acqua e dei medicinali generici pronti all’uso. 

Quel contatto con la ragazza che mi ha restituito i soldi per strada mi ha fatto sentire qualcosa. È raro che io senta davvero qualcosa. 

La notte, ad esempio, quando abbraccio Irene e lei mi scosta nervosamente perché ha caldo, io continuo ad abbracciarla, perché i contatti mi fanno ancora sentire qualcosa.

 

Ferdinando de Martino

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