E ADESSO? Un racconto di Rossella Donadeo

E adesso?

“…Oh Eh Oh, quando il dovere mi chiama, Oh Eh Oh, rispondo e dico ‘son qua’ .”

Mirco avanza lentamente lungo la strada verso la metro, musica a palla, cuffiette, cellulare in tasca penzolante che rischia di cadere da un momento all’altro.  Invece è sempre lì, quasi per miracolo, a sfidare la forza di gravità, come i suoi stessi jeans, smandrappati, quasi a pezzi, ma che fanno tanto figo. Però Mirco in realtà non è figo per nulla: faccia da bravo ragazzo, occhiali, un cespuglio al posto dei capelli, magrolino. Può piacere alle mamme, certo non alle coetanee diciassettenni, che da diverso tempo popolano i suoi sogni mica tanto innocenti.

“…Oh Eh Oh, mi dici ascolta tua mamma, un, dos, tres e sono già là …”

 I passi sono lenti, svogliati, sembrano quasi rallentare come in una moviola, mano a mano che si avvicina alla metro. Alza la musica. Il suono gli dà quasi un senso di stordimento, ma è questo lo scopo. Una sorta di lobotomia temporanea che cancelli i pensieri molesti.  

“Che palle, non ce la faccio proprio, quasi quasi faccio sega, faccio un salto al nuovo negozio dove vendono la cannabis legalizzata!” gli compare un mezzo sorriso sghembo sul viso, ma subito svanisce, “ma poi cazzo a casa rompono; figurati se mio padre non mi sgama … mi sgama sempre! E poi chi lo regge? che palle!”    

Frammenti di pensieri più o meno sullo stesso tono e umore si alternano nella mente di Mirco.

Sarà una giornata calda. Sente già il sudore che gli bagna la schiena, i vestiti appiccicosi che sembrano aderire al solo scopo di dargli fastidio, umidicci e già impregnati di un odore piuttosto acre, o è solo una sua sensazione? L’aria che respira sembra densa, corposa, quasi solida, difficile da inghiottire. Ogni respiro più che portare sollievo porta fatica . Fatica di camminare, fatica di andare a scuola, fatica di pensare.

“…Oh Eh Oh, quando mi dicon “va’ a casa”, Oh Eh Oh, rispondo sono già quà.”

Forte, speziato, invitante lo colpisce all’improvviso l’odore del kebab. Senza rendersene conto è già arrivato alla fermata di Numidio Quadrato, dopo aver percorso Via Cornelio Labeone e quindi Via dei Sulpici come uno zombie, totalmente inconsapevole del percorso fatto.  Strade dai nomi altisonanti: uno scrittore e una antica famiglia patrizia romana. Tutte le strade del suo quartiere sono intitolate a scrittori, generali, personaggi vari dell’antica Roma. Sono strade ben squadrate, per la maggior parte larghe, neanche fossero gli antichi decumani.

Tuttavia, la parte che ha appena percorso non è all’altezza dei nomi, anzi gli sembra abbastanza squallida dal suo punto di vista. Negozi e bar zero, se si escludono le lavanderie, i negozi di computer e quelli dei cinesi dove trovi di tutto a pochi euro. Scarabocchi ovunque, sui muri, sui cassonetti e sulle serrande per la maggior parte chiuse, completano il quadro. Chiamarli graffiti sarebbe un insulto per chi pratica questa nobile forma d’arte.      

Ed eccolo lì il “kebab Ali Babà”, subito prima della gelateria “I Siciliani”. È la sua tappa obbligata prima di prendere la metro. Mirco si toglie le cuffie ed entra. 

“Ciao Rami!”. 

“Ti faccio il solito?”  risponde il ragazzo poco più grande di lui che serve al banco. 

Nel negozio non c’è ancora nessuno a quell’ora e possono farsi quattro chiacchiere senza problemi. “Si, però mettici meno cipolla e più carne, e tanta salsa piccante.” 

Sua madre non approverebbe. Mica per motivi razzisti, no. Ma è fissata col cibo bio e salutare e appena può Mirco sgarra e mangia schifezze di ogni tipo: senso di colpa zero, goduria allo stato puro mille.

 “Che fai, ci vai alla partita della “magica” domani? Sei riuscito a trovare i biglietti? Oh guarda che qui si fa la storia, se riusciamo nell’impresa di rimontare l’andata, sai quanto rosicano i burini… zitti e muti almeno per un anno!“ 

“Mi piacerebbe, ma costa un botto e poi qui c’è sempre da fare e mio padre ha bisogno di aiuto, lo sai.” 

Rami fa la faccia triste e sconfortata ma in realtà il suo tifo è piuttosto blando, senza un gran coinvolgimento, forse lo fa per sentirsi più integrato, chissà? Ma gli dispiace dire a Mirco che lui tutti questi soldi per una partita proprio non gli va di spenderli. Mirco gli sta simpatico, e la magica non si tocca. Quindi fa finta di essere veramente dispiaciuto, non per mentire, ma per amicizia.   

“Vabbè, tanto non ci vado neppure io, i miei non sganciano, che tirchi! Ti saluto devo scappare. Ciao!”  saluta Mirco, che afferra il panino, lo infila nello zaino che pencola dalla spalla destra, si rimette le cuffiette ed imbuca di corsa le scale della metro.

Ogni giorno Mirco prende la metro a Numidio Quadrato per scendere sei fermate dopo a Ponte Lungo ed arrivare al Liceo Classico Augusto. 

“Sei sicuro di voler fare il classico? Guarda che c’è da studiare, greco e latino non sono uno scherzo, che credi! E che ci fai con gli studi classici? Come trovi lavoro poi?” 

Di fronte alla sua ostinazione alla fine il padre era esploso con quello che gli rodeva dentro fin dall’inizio: “E poi proprio all’Augusto? Fascio per tradizione! Ma insomma che mi tocca sentire!”. 

Pino, padre di Mirco, è sindacalista da una vita, non si è perso un festival dell’Unità (finché ci sono stati), si emoziona ad ascoltare gli Inti Illimani ed è in lutto perenne dalla nascita della “cosa” in poi. È un nostalgico dei tempi d’oro della sinistra, quando era ancora sinistra e con le palle, e a Mirco fa quasi tenerezza in questo suo aspetto di sognatore disilluso, nostalgico e un po’ retrò. È molto più grande di sua moglie, Roberta, e il salto generazionale è notevole tra lui e Mirco. Più che di salto dovremo parlare di voragine…

Mirco però era stato irremovibile, amava tutto ciò che riguardasse Roma, dal sacro (la magica Roma) al profano (gli studi classici).  

Mirco ama scrivere e ha vaghe ambizioni da giornalista. In compenso odia tutto ciò che ha un che di razionale, scientifico, logico e in definitiva noioso.

A lui i fasci non interessano. Ha sviluppato un metodo tutto suo per isolarsi da tutto e da tutti quando ciò che gli sta intorno non gli piace. Diventa invisibile e impermeabile, la mente altrove, persa chissà dove. Tanto il padre è tutto politica e passione, tanto lui è avulso da qualunque coinvolgimento politico, quasi per reazione.

Non che non abbia le sue idee. Ma non gli va di discuterne. Tempo sprecato, tanto ognuno resta sulle proprie posizioni. E a lui non va proprio di sprecare energie.

“Prigionieri di Azkaban fuggiti da Alcatraz Facevamo i compiti solo per cavarcela …”

Ora Mirco sta aspettando pazientemente la metro, appoggiato al muro, perso nella canzone che in questo periodo lo ha preso e riascolta ripetutamente come un mantra. Il rumore della folla che aspetta, il brusio delle voci gli arriva come un suono lontanissimo.  

Ha gli occhi chiusi e ascolta.

“Io mi sento fortunato, alla fine del giorno. Quando sono fortunato, è la fine del mondo. Io sono un pazzo che legge, un pazzo fuorilegge  …” 

Una signora esclama “ma che c’ha la metro stamattina? E mezz’ora che aspetto! E che cavolo tutte le mattine ce ne è una! Mo’ che sarà successo? Che altro se so inventati sti bastardi?”   

  … Fuori dal gregge , che scrive scemo che legge … Oh Eh Oh, quando il dovere mi chiama, Oh Eh Oh, rispondo e dico ‘son qua’ …”

Una sensazione di pressione sul torace sveglia Mirco dal suo “isolamento”. Un signore anziano sta a pochi millimetri da lui, è affaticato e sembra in piedi per miracolo, manca poco che si appoggi a Mirco come se fosse un muro. Mirco si gira a destra e vede una ragazza masticare chewingum a tutto spiano mentre parla al cellulare, incollata alla sua spalla destra. Un odore stucchevole di fragola proveniente dal chewingum lo disgusta e lo spinge a voltarsi di nuovo. Si gira a sinistra e non capisce come gli sia sfuggito finora che un energumeno palestrato altro uno e novanta stia al suo fianco accaldato e sudato, sbuffando per il caldo.

La metro non passa. Circolano voci su un ipotetico guasto tecnico.

 “Tra un po’ vedrai che mettono i bus MA1 e MA2 sostitutivi, un incubo!” 

Il flusso della gente che scende nella metro non si ferma, la gente si accalca sempre di più, si agita, impreca e schiaccia sempre di più Mirco contro la parete del muro della banchina.

Mirco comincia a sentire una strana sensazione allo stomaco. Gli manca l’aria, respira ma è come se non entrasse nulla, neanche fosse su Marte. Suda. Goccioline gli scorrono lungo le tempie. Improvvisamente si accorge di avere un cuore che batte, anche troppo. Il pulsare del sangue lo avverte nelle tempie, nella gola, nelle orecchie… quasi dei tonfi… una nausea improvvisa lo assale. Vuole muoversi ma non ci riesce, stipato su quella banchina malefica. C’è troppa carne, troppo sudore, troppi odori, troppe voci, troppo tutto! Si sente in trappola, chiuso, ed ora cosa cavolo gli sta succedendo? 

Ha paura. 

Si sente svenire ma è ancora lì in piedi, tutto si muove come al rallentatore, è come se stesse morendo, ma lentamente, osservando dall’esterno questo suo lento spegnersi, ma non succede nulla, lui è sempre lì, col cuore che batte all’impazzata e sembra quasi sbatacchiare a caso nella cassa toracica. 

Ora vomito pensa. 

Ma non succede. 

Con uno sforzo sovrumano comincia a pigiare in ogni direzione per farsi strada, arriva quasi a picchiare la gente che lo insulta ma a lui non importa, neanche li vede. Deve uscire! Via, Via da questo luogo angusto che lo soffoca. Fuori, Fuori aria!

“ … Dritto per la mia strada, meglio di niente, màs che nada …”

Libero! Finalmente fuori. 

Mirco si accascia sul marciapiede, le mani sulle ginocchia, chino in avanti respira avidamente l’aria esterna che ora gli sembra miracolosamente buona, e cerca di calmarsi.

Si toglie le cuffiette, miracolosamente ancora aggrappate alle sue orecchie. 

Pensa. 

Attacco di panico. Ecco, deve essere stato un attacco di panico. Certo! Tutto qua.

E adesso? 

 

 

 

 

Rossella Donadeo