Gravità | BAR-SOFIA | filosofia da bar| #6

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La gravità, in senso figurato, rappresenta tutto ciò che ha un peso incisivo. Un’azione negativa, ad esempio, andrà a gravare sul nostro curriculum o sulla nostra figura pubblica.
Vi è mai capitato di cambiare opinione sulla gravità di una qualche vostra azione, magari dopo il terzo bicchierino al bar? Non so quale sia la vostra risposta, ma la mia è senza dubbio un sì.
Se osservato da un punto di vista esterno, questo meccanismo emotivo potrebbe sembrare una semplice strategia di difesa o un qualcosa di artefatto, atto a difendere la propria quiete interiore. Personalmente non credo che sia così.
Se il bar è solamente un piccolissimo spicchio di quello che chiamiamo “mondo”, è probabile che ciò che avviene in questo spicchio, in realtà, rappresenti una versione in miniatura dell’intera arancia, no?
Facciamo un piccolo esempio: Tizio A perde il lavoro.
Tizio A inizia a disperarsi, ragionando su quello che il lavoro comporta e sui cambiamenti che dovrà apportare alla sua vita, fino a che non troverà una nuova fonte di guadagno per sostentare il suo tenore di vita.
La società contemporanea ci ha addestrati molto bene, convincendoci che se tizio A iniziasse a prendere alla leggera una situazione del genere, sarebbe da ritenere pazzo o non idoneo alla vita savia.
Quindi nel momento in cui tizio A, arrivato al terzo bicchierino, inizia a pensare che -tutto sommato non è poi così importante…-, viene automaticamente catalogato come pazzo. Insomma, il non dare il giusto peso alle proprie azioni è molto grave, secondo la nostra società.
Gravità, che parola magnifica. In “Harry a pezzi”, Woody Allen ha un flashback in cui rivive una sua seduta psicanalitica di quando era solamente un bambino; nella suddetta seduta, il piccolo Woody spiegava come il fare i compiti non avesse senso, quando l’intero universo si stava sgretolando. Quell’azione, secondo l’ebreo più famoso della comicità intelligente, era più grave del suo percorso di studi.
Questo mi porta ad un affermazione fattami da una mia vecchia professoressa. Premetto che non sono mai stato uno studente modello, anzi, si può tranquillamente dire che ero l’esatto contrario di uno studente modello.
Questa mia professoressa, che ho detestato all’inverosimile, ha irrobustito in me il concetto che l’insegnamento non è una cosa da prendere alla leggera e, soprattutto, che i buoni professori si possono contare sulle dita di una mano di un superstite troppo lento nel lanciare una bomba a mano.
Due episodi, relativi a quel periodo, mi faranno ricordare fino alla fine dei miei giorni di questa professoressa.
Per evitare querele o cose del genere, chiameremo questa prof. Santippe, come la moglie rompiscatole di Socrate.

Episodio 1

Durante una delle mie migliori interrogazioni (stavo mirando a qualcosa di vagamente superiore alla sufficienza), Santippe, dopo avermi dato un “più che sufficiente”, disse -Eri più preparato del solito. Ovviamente non sei come la Giorgi, ma non si può pretendere tutto dalla vita.-.
-In che senso non sono come la Giorgi?- domandai.
-Beh, de Martino, non pretenderai mica di essere intelligente come la Giorgi, no?
Quella frase mi colpì profondamente, facendomi sprofondare in un limbo in cui stagnai per circa un quarto d’ora, ovvero, il tempo atto a formulare un ragionamento che molti professori non riusciranno mai a capire.
Decisi che l’azione della mia professoressa era molto grave e che con quella sua affermazione, aveva dimostrato di essere un incompetente nel suo mestiere di levatrice dello spirito e della voglia di conoscere.
Santippe, in pratica, aveva preso i voti della mia collega Giorgi e li aveva messi a confronto coi miei, tracciando così un profilo d’intelligenza, basato sulla capacità di accumulare nozioni pressoché inutili, imparate durante le lezioni.
Giorgi era un soldato, le si diceva cosa e quando imparare e lei lo faceva, come una sorta di automa. Arrivati ad una nuova nozione, si liberava dei contenuti della precedente lezione e imparava a memoria parole e regole di cui ignorava totalmente il significato. Questo è l’esatto contrario della filosofia.
I migliori filosofi sono quelli che hanno fatto a pezzi le parole, approfondendo la vacuità del loro significato significante. Non ero di certo un filosofo, ma non ero neanche meno intelligente della mia collega, semplicemente: ero.
Io ero, lei era ed era, anche, la mia professoressa. Eravamo. La nostra intelligenza, non era rapportabile a quel contesto in senso stretto. I professori tendono a giudicare l’intelligenza in base alla capacità degli studenti a non porsi domande, mentre il loro unico scopo dovrebbe essere quello di creare individui pensanti.
Di recente ho incontrato la mia vecchia compagna, la buona e cara Giorgi. Se ne stava seduta alla fermata dell’autobus ad attendere il bus, come se attendesse qualcosa di più oscuro e malinconico. Sono abbastanza sicuro che la vita, una volta uscita dalla cupola dorata dell’istruzione pubblica, avrà bussato alla sua porta, mostrandole una strada lastricata di concetti da estrapolare dai cartelli per capire in che direzione andare. La vita aveva battuto lei, come aveva battuto anche il tizio che in questo momento scrive questo libro. Non siamo né intelligenti, né tantomeno stupidi, cara mia amica. Siamo… forse.

Episodio 2

Santippe mi diede una nota, un bel giorno, ed io decisi di strapparla e buttarla nell’immondizia. Un mio compagno recuperò la suddetta nota e la recapitò a Santippe (figlio di…).
Nacque, così, una seconda nota. Era molto più colorita della prima e, mi duole ammetterle, anche notevolmente interessate dal punto di vista dell’enfasi.
Mi si descriveva come una persona totalmente apatica e incapace di capire la gravità delle mie azioni. Avevo preso una nota e al posto di farla firmare ai miei genitori, l’avevo buttata, cercando di nascondere così le mie nefandezze alla mia famiglia. Per Santippe quella era l’ennesima dimostrazione della mia indolenza verso tutto ciò che mi circondava. La mia azione era da considerarsi, sempre secondo Santippe, estremamente grave.

Il fatto era che allora, come oggi, non credo che il termine “grave” sia rapportabile al suo significato figurato dell’accezione negativa.
Adesso, arrivato alla soglia dei trent’anni, mi viene da sorridere se ripenso a quell’episodio perché non lo giudico grave, esattamente come non lo giudicavo grave all’epoca in cui strappai la nota. Insomma, facciamo i seri, che ripercussioni può avere lo strappare una nota a scuola, sulla vita di un essere umano?
Se avessi dato importanza a quel gesto, mi sarei dimostrato uno stupido. Questo mio ragionamento, però, andava a demolire il ruolo di “potere” che Santippe si era costruita nel tempo. Sia io che lei, eterni nemici, sapevamo che quella non era un’azione grave, ma lei doveva reggere il gioco.
Ricordo che una volta, la mia compagna Giorgi prese una nota e questo la fece piangere. Probabilmente le ripercussioni gravose di quella nota avranno distrutto la vita di Giorgi. Forse l’aver preso quella nota le avrà impedito di trovare un lavoro? Magari al primo appuntamento con il principe azzurro, questo l’avrà abbandonata al tavolo, dopo aver scoperto questa macchia indelebile sulla sua fedina penale e via dicendo.
Per Santippe io ero indolente, mentre Giorgi era intelligente.
La gravità è relativa. Per me, ad esempio, è grave mangiare i porcellini d’India, mentre per un peruviano è all’ordine del giorno.
Mangiare un cane è illegale nel nostro paese, mentre in certe zone del mondo puoi tranquillamente sederti ad un tavolo ed ordinare un Alano alla griglia. È probabile, quindi, che la gravità delle azioni siano soggettive, in base alla nazione che ci ospita e alle sue leggi. Per un indiano è grave mangiare una mucca, mentre noi adoriamo il Big Mac.
Il cannibalismo non è grave. Il cannibalismo: è.
Se la nostra nazione approvasse il cannibalismo, in due sole generazioni inizieremo a non reputare tanto grave il mangiare un polacco o un francese.
Il senso della gravità è tale in base alla nostre leggi. Un furto, ad esempio, graverà sulla tua fedina penale, ma il furto in sé non poi così grave, in senso figurato.
L’omicidio, la pedofilia, la creazione della bomba atomica, nessuna di queste cose è realmente grave se non in maniera del tutto soggettiva all’individuo e subordinata alle leggi del paese in cui una persona vive.
Per Giorgi, una nota è grave a tal punto da piangere davanti all’intera classe, mentre per il sottoscritto non vi è gravità nel ricevere una nota.
Per il mostro di Firenze è normale uccidere prostitute, mentre per il sottoscritto è grave.
Uccidere prostitute o prendere note a scuola, possono risultare azioni gravi o non gravi, in base alla soggettività dell’individuo.
Tutto questo può sembrare una stronzata, ma quando una ragazza ti lascia e il mondo sembra crollare a pezzi, arrivato al terzo bicchierino capisci che il mondo sta realmente andando a pezzi e che la rottura con una ragazza non grava poi tanto su questa situazione.