Filosofia da bar | LA PAURA| #5

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Il concetto di paura è in grado di smuovere le coscienze, gli animi e perfino le masse. La paura ci tiene inchiodati alla nostra personale croce, in attesa che i romani ci facciano fuori.
L’utilizzo della paura può portare alla coercizione, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ma la domanda che voglio porvi è la seguente: si può scendere dalla croce delle nostre paure?
Esiste un solo modo, per quanto mi riguarda, di evitare l’influenza che la paura esercita su di noi e questo modo è il capire che dalla paura non si può guarire.
Con la paura si può esclusivamente convivere e, sempre per quanto mi riguarda, ho iniziato a diffidare di chiunque tenti di vendere una qualche soluzione alle paure più recondite della nostra esistenza. Come mai? Perché l’essere umano è totalmente incapace di compiere azioni che non determinino una qualsivoglia forma di arricchimento personale.
Nessuno fa niente per niente, questo è un dato di fatto.
L’uomo tende a rapportare ogni cosa al guadagno e questo fattore ne determina l’impossibilità di pensare ad una qualche soluzione che aiuti un terzo, senza un eventuale guadagno e, se per caso, esistesse una medicina in grado di curare la paura, nessuno la metterebbe in vendita, perché la mancanza di paura genererebbe l’impossibilità di esercitare ogni forma di potere.
Quando un barista fa uno scontrino, non lo fa perché ama il suo paese ma, semplicemente, perché è terrorizzato dall’idea di beccare una multa. La paura smuove il sistema e, purtroppo, noi tutti siamo vittime del sistema.
L’unico super potere che possiamo sviluppare è la capacità di evitare che la paura ci muova verso azioni atte a sconfiggerla e per fare ciò bisogna convincersi che le paure non si possono mai e poi mai sconfiggere.
La mia vita è stata martirizzata, ad esempio, dagli attacchi di panico. Questa forma di breve crisi depressiva che, senza il minimo preavviso, arriva a fare piazza pulita del raziocinio ha notevolmente influenzato le mie azioni.
Ragionando sui meccanismi che generano la paura, sono riuscito a capire come gli attacchi di panico abbiano veicolato la mia vita verso il terrore. La scoperta che ne ho ricavato, ahimè, non è per nulla rassicurante ma almeno è una scoperta su cui ho potuto lavorare.
Durante un giretto in auto per le vie della mia città, sono stato colto da un attacco di panico, proprio mentre mi trovavo al volante. Questa, credetemi, è una cosa che non auguro a nessuno.
Il mio cervello sprofondò in una sorta di limbo terrificante. Ero fottuto. Di lì a poco mi sarei sicuramente schiantato contro qualcosa o qualcuno, avrei ammazzato qualcuno o, addirittura, avrei ammazzato me stesso. Il cuore iniziava a pompare come se un infarto mi stesse per cogliere da un momento all’altro, mentre l’aria si faceva densa e sembrava non volerne proprio sapere di entrare nei miei polmoni; tutto in me tremava ed io stesso mi stavo trasformando in terrore.
Riuscii ad accostare e lì, proprio in quel momento, iniziò il vero inferno, un inferno che durò per circa tre anni. Tutto partì da una semplice domanda: potrò ancora guidare?
Iniziai ad analizzare la cadenza settimanale dei miei attacchi di panico e stabilii che la media era di tre attacchi a settimana. Senza dubbio un bel numero, vero?
A livello statistico utilizzavo la macchina ben più di tre volte alla settimana, diciamo un tre volte al giorno, anche per viaggi autostradali. Se quell’attacco di panico mi avesse sorpreso a centocinquanta chilometri orari, in autostrada, mi sarei trasformato in una gelatina di organi spappolato contro un guardrail . In parole povere, non avrei mai più viaggiato in macchina tranquillo.
Solamente tre anni dopo capii che le mie paure non erano fondate o infondate, ma semplicemente confuse.
Mi trovavo in un bar assieme ai miei amici e di birra in birra, ingannavamo il tempo, come al nostro solito. Si parlava di politica, calcio e motori. Il calcio e i motori non mi sono mai interessati e in via del tutto confidenziale, posso confessarvi che nemmeno la politica mi interessa per davvero; sostanzialmente mi piace fare incazzare le persone sui temi più scottanti dell’attualità.
Ad un certo punto, noto un paio di ragazze sedute in fondo alla sala. Erano sole, carine ed avevano appena terminato il secondo giro. Cosa fare?
Eravamo animali e in quanto tali desideravamo soddisfare i nostri impulsi sessuali, ma al contrario di tante altre specie, la nostra soffriva di una paura: la paura del rifiuto.
Di tutte le paure, quella del rifiuto è sicuramente la più stupida. La vita è un testa e croce col destino e per ogni faccia della moneta lanciata, esiste la recondita possibilità d’imbattersi nella possibilità contraria.
Ad esempio, vale la pena di rubare la pistola ad un poliziotto? No, perché se ci riesci sarai costretto a prendere una decisione ancora più rischiosa, ovvero: cosa farne della pistola? Ammazzare il poliziotto o scappare, rischiando di diventare un ricercato?
Nel caso in cui non riuscissi a rubare la suddetta pistola, finirei in carcere seduta stante. Quindi, il gioco non vale la candela.
Nel caso di un approccio le opzioni sono due: ricevere un sì e ricevere un no.
Il no non è nulla di grave, se rapportato alla possibilità di un sì. Un sì… che ve lo dico a fare, vale assolutamente la possibilità di ricevere un no.
Così, dopo due tequila decidemmo di fare la nostra mossa. Ordinammo due drink al cameriere, spiegandogli che avrebbe dovuto portarli alle ragazze in fondo alla sala per nostro conto.
Cosa c’è di strano in questa storia? Il coraggio. Per trovare in noi la forza di compiere quel gesto, avevamo ordinato due giri di tequila per eludere la paura.
Ah, quasi dimenticavo, il più grande talento dell’uomo è quello di eludere la paura, impegnando tutto sé stesso per conseguire l’obbiettivo finale di non doversi mai trovare faccia a faccia con questa.
Ma di cosa avevamo paura? Non eravamo degli sprovveduti? Non eravamo Casanova, ma non eravamo nemmeno degli imbarcati totali e la nostra capacità di intrattenere una conversazione non banale era del tutto adeguata al luogo in cui ci trovavamo. Perché allora avevamo una paura da eludere?
La nostra paura non era quella di un possibile ed eventuale rifiuto, era paura della semplice possibilità che la paura di avere paura potesse in qualche modo bloccare il nostro coraggio.
Quella era la soluzione al mio dramma. Con il passare degli anni avevo imparato a gestire gli attacchi di panico alla perfezione, utilizzando delle basilari tecniche di respirazione e la mia bravura nel gestire le suddette crisi è attualmente arrivata al picco più alto, in pratica sono diventato una cintura nera degli attacchi di panico; posso tranquillamente avere un attacco di panico durante una cena, senza che i miei commensali se ne accorgano. Quindi non era l’attacco di panico in sé a spaventarmi, ciò che mi terrorizzava era la tipologia di vita che stavo conducendo, ovvero, la vita di un paranoico perennemente sottomesso alla paura di avere paura degli attacchi di panico. Avevo paura del terrore, quello stesso terrore che accompagnava ogni mia azione e ogni mio sogno.
Non erano stati gli attacchi di panico a mettere sotto scacco la mia angoscia, in quanto quegli attacchi erano diventati gestibili, ma ciò che non riuscivo assolutamente a gestire era la mia continua ossessione per la possibilità di un eventuale attacco di panico e non, come sarebbe stato logico, la possibilità di avere uno dei suddetti attacchi.