Come nasce uno scrittore |PRECARIETÀ | di Salvo Barbaro

5 Agosto 2011

È venerdì oggi. Fa caldo ed è ovvio, visto che è piena estate. Ho dormito pochissimo, mi sono rigirato nel letto tutta la notte, pensando e ripensando al mio lavoro. Il periodo è molto particolare, di quelli da ricordare come “periodo di merda”. Sono nervoso con tutti, ce l’ho con il mondo intero. I miei, ottusamente, pensano che il mio malumore sia da ricercare solo nella situazione sentimentale, infatti la mia storia con V. è giunta al capolinea. Non s’interrogano sul perché e sul come un figlio possa star male. Nessuna domanda, nessuna “chiacchierata” padre e figlio riempie quei buchi di silenzio e solitudine. Solo comode conclusioni buttate lì, -Salvo è nervoso per colpa di V.!-, -Salvo è sempre teso e non pensa alla famiglia!- è ancora -Salvo non si può andare avanti così!
Ma una domanda normale nessuno riesce a farmela? Una, ma che sia decente!
È l’ultimo giorno di lavoro nell’azienda vinicola e non conosco con esattezza il mio futuro lavorativo. Precarietà è la parola che mi si addice.
Mi alzo verso le sei e trenta, solita doccia, solito rituale SILENZIOSO del caffè in cucina e soliti nervi tesi respirati tra le quattro mura. Esco di casa, per me è una gioia, poi mi viene il magone pensando che tra una decina di ore devo ritornare, e non solo, dovrò affrontare qualche mio superiore che mi dirà le solite cazzate sul mercato del lavoro e sul futuro aziendale. Prendo la macchina e metto in moto.
Parcheggio e vado a timbrare il mio “forse ultimo” cartellino. Lo faccio imprecando nella mia testa.
La giornata trascorre come tutte le altre. Mi confronto con gli altri colleghi precari che tacciono stranamente sull’argomento. Sono tutti silenziosi, non parlano o forse già sanno. Conoscono perfettamente chi resterà e chi verrà buttato fuori dopo sette lunghi anni di lavoro, sempre a dire “sì sissignore”, “ok resto due ore in più”, o leccando il culo per un sorriso del grande capo.
R. non sa nulla. Mi sta vicino come può, rincuorandomi, -Tranquillo Salvo, hai un buonissimo curriculum, non sarà difficile trovare un lavoro!
Sorrido, ma non so che pensare.
La chiamata dalla direzione giunge a fine giornata, su mia richiesta, dato che ancora nessuno s’era degnato di chiamarmi.
Entro nell’ufficio del capo del personale. Sembro Fantozzi nello studio di mega direttore BALABAN con la classica poltrona di pelle umana. Lui mi fissa, mi fa accomodare e inizia con la notevole SUPERCAZZOLA.
-Senta Barbaro, la stavo facendo chiamare! (Bugiardo e ipocrita!)
-Non so come dirle, ma il mercato, la crisi che avanza, il surplus degli operai, il caro vita e bla, bla, bla, bla!
Tutto uno strano monologo per dirmi -Ok non è più dei nostri!
Saluto, esco dal suo ufficio e vado via. Saluto tutti i miei ex colleghi, compreso R. che è l’unico veramente dispiaciuto. Entro in auto e piango. Per la prima volta piango per un qualcosa di caro perso così nel nulla. Mi fermo al primo bar e “affogo il dispiacere” con delle birre gelate.
Poi a malincuore ritorno a casa. Appena infilo la chiave nella toppa, il nervosismo mi prende alla testa. Neanche l’alcol ce la fa a calmarmi.
Le solita faccia di mia madre “servizievole” verso mio padre, seduti davanti alla tele guardando una telenovela argentina agghiacciante.
-Ciao Ciccio, com’è andata?- fa mamma sorridendo. Quando mi chiama “Ciccio” la mia ira funesta aumenta a dismisura.
-Benissimo madre!- usando la stessa arma del sorriso -Da domani sono disoccupato, che vuoi che sia?
Mio padre resta in silenzio con lo sguardo fisso al televisore. Si morde il labbro superiore e non dice nulla. Mia madre invece sempre raggiante, -Tranquillo amore, l’importante è la salute. Si troverà qualcos’altro, non demordere!
-Ok!- faccio e vado in camera mia. Appena lascio l’uscio della sala da pranzo sento papà prendere il suo cellulare, mettere in pausa la tv e fare una chiamata a qualcuno.
-Mi avevi promesso che mio figlio rimaneva! Io ho votato tizio e non è servito a niente! Che promesse sono queste?
Rido. Forse l’alcol, forse l’esilarante scena pirandelliana.
Mi alzo dal letto e vado in cucina dove ci sono nonna e zio M.
Sono loro a consolarmi senza parole, ma con un sincero e tenero abbraccio.

 

Salvo Barbaro.

6 Commenti

  1. Francesca

    Questa è una mia curiosità personale ma mi piacerebbe conoscere più a fondo la psicologia del personaggio.

    Nel racconto traspare tutta l’amarezza che vuoi trasmettere, tutto lo sconforto ed il disagio: con poche parole riesci a dipingere chiaramente la relazione genitori-figlio ma c’è qualcosa che resta in sospeso: perché lo zio e i nonni riescono a comprenderlo? Cosa ci fanno lì? Sono presenze reali? Sembrano apparire come “fantasmi comprensivi”che appaiono nella quiete di una stanza. Sembrano essere le uniche ” certezze di salvo” e ti suggerirei, se posso, di dare loro in pizzico di corporeità i più.

  2. Rosaria

    Ottimo spunto di riflessione e ottimo incipit… ti suggerirei di svilupparlo in un romanzo!

  3. Laura

    Pura e semplice verità di questa vita fatta di raccomandazioni e false promesse!

  4. Roberta

    Conoscevi questo finale,nulla ti ha scomposto,la stessa amarezza, affogata in una birra gelata, non sembra coglierti impreparato!le tue parole rappresentano nitidamente il tuo stato d’animo, l’affetto vero e sincero che si percepisce nelle ultime righe, addolcisce il tuo umore e sembra restituire speranza nel futuro e soprattutto nella semplicità dei rapporti più veri!grazie per questa pagina

  5. maria

    Amarezza di una realtà

  6. Paola Marino

    Bello il finale in cui si riscatta un personaggio esplicitamente fantozziano anche nella poltrona del capoufficio, ma che va oltre la dimensione caricaturale e drammatica al tempo stesso del ragioner Ugo; è un vinto pure nell’imprevedibile , ma come i personaggi pirandelliani ( e Pirandello non a caso è citato) si riqualifica proprio attraverso quell’imprevedibile che porta a ribaltare il calcolo paterno ; di conseguenza l’ abbraccio di Salvo è rivolto a due figure che devono rimanere, come hai ben realizzato quasi senza corpo, perché simbolo dell’abbraccio del protagonista non solo a due specifiche figure alle quali è affettivamente legato, ma al flusso irrazionale della vita, alla logica disinteressata del cuore piuttosto che a quella opportunistica della ragione dell’homo oeconomicus, per il quale l’agire è completamente estraneo ed indipendente da ogni valore morale, sociale e relazionale. Non solo ancora una volta primeggia l’amara constatazione della vita : alla fine i pesci voraci inghiottano sempre i pesci piccoli , ma ai pesci piccoli rimane la dignità e la verità dei sentimenti, che meri e mediocri giochi di arrivismo e potere non possono scalfire

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