Bar-sofia (filosofia da bar) | La delicata questione delle dipendenze | #4

La delicata questione delle dipendenze.

Il più grande talento dell’uomo è il sabotaggio.
Il mondo degli uomini, più di qualsiasi altro mondo animale è basato su di un solo concetto: la paura.
Può essere molto difficile da accettare, ma la natura dell’essere umano é tutto fuorché nobile. Probabilmente siamo la specie meno nobile di tutto il pianeta.
Questa mancanza di nobiltà è direttamente proporzionale alla quantità di paura che proviamo. Il rapporto paura-azione è il nostro tallone d’Achille.
Imparare a gestire la paura delle masse è lo stratagemma migliore per ottenere consensi in una dittatura, ad esempio.
Partiamo dal presupposto che ogni individuo è perfettamente in grado di mentire a tal punto a se stesso, da credersi l’uomo più intelligente del mondo. Molti storceranno il naso, leggendo un’affermazione del genere, perché essendo più intelligenti del sottoscritto, probabilmente la troveranno banale e questo va a dimostrare il fatto che l’uomo si sente da sempre, non solo l’animale più intelligente di tutte le altre specie, ma anche il più intelligente della sua stessa specie animale.
Siamo così maledettamente intelligenti da sostenere, addirittura, che ci sono milioni di differenze tra noi e gli animali a dimostrazione del fatto che il nostro intelletto reagisce in maniera totalmente diversa agli stimoli esterni, da quello degli animali.
Eppure, quando voglio far sedere il mio cane sul lato del divano coperto da un asciugamano da mare, per non fargli sporcare i cuscini, utilizzo la sua paura a mio piacimento. Sono perfettamente consapevole del fatto che un mio urlo o una mia alzata di mano (a simulare una possibile sberla) è in grado di generare in lui una quantità minima di paura atta a soggiogarlo.
Se fosse un bambino gli parlerei, ma essendo un cane e non parlando la mia lingua, sono costretto a veicolare le sue azioni usando la paura. Questo è un atteggiamento esclusivamente umano, vero? I cani da pastore, ad esempio, non utilizzano il ringhio per veicolare le azioni delle pecore, vero?
Ma al cane non interessa di per sé che cosa facciano o non facciano le pecore, tuttavia utilizza questo meccanismo di paura, solamente perché il nostro interesse ha utilizzato la paura del cane per veicolare le sue azioni a veicolare a loro volta le azioni delle pecore. La paura genera paura.
Quindi, quando in una pubblicità per la diarrea vediamo un uomo in fila alle poste, imbarazzato per i suoi disagi intestinali, ciò che la ditta ci sta vendendo non è il rimedio in pillole contro la diarrea, bensì la sicurezza che non proveremo mai più la paura di scoreggiare in pubblico.
Si poteva tranquillamente girare uno spot in cui un uomo, colto dalla diarrea, si alzava dal letto per andare in bagno, vittima della suddetta diarrea. In una situazione del genere, la paura gioca un ruolo minore e sapete perché?
Perché la paura di soffrire di diarrea in casa propria non vale tanto quanto quella del farsela sotto in pubblico?
Perché la seconda opzione smuove la paura atavica di non essere abbastanza in alto nella graduatoria del gruppo, o branco.
La paura riesce, addirittura, a modificare la percezione del mondo che ci circonda. Prendiamo lo sport, la sana competizione.
La paura di perdere porta gli atleti a prendere il doping, eppure il desiderio che sta alla base dello sport è la competizione, ovvero, la possibilità di allenare il proprio corpo per metterlo alla prova con un altro corpo ben allenato. Il senso stesso del meccanismo sportivo va a farsi fottere se un atleta prende il doping, ma la paura di perdere cancella in noi ogni significato significante.
Siamo l’unica specie vivente in grado di imbrogliare per arrivare ad uno scopo, perché la nostra percezione individuale del mondo riesce a rielaborare i concetti a suo piacimento.
Le paure ci spingono a fortificare le nostre mancanze con le dipendenze.
Non bisogna pensare alle dipendenze in termine di narcotici, quanto più ad un qualcosa da cui iniziamo a dipendere senza sentirne la reale necessità.
Adesso bisogna riflettere un attimo sul termine “necessario”. Siamo portati a credere che il “necessario” sia, esclusivamente, ciò che preserva la nostra singola esistenza: ossigeno, cibo, acqua e buttiamoci anche dentro dei vestiti per difenderci dal freddo.
Però, a queste necessità basilari, si vanno ad aggiungere delle “necessità morali”, necessità come la preservazione della specie, generando dei figli che saranno soggetti a loro volta alle nostre stesse necessità. Nutrire i propri figli non è necessario, nel senso stretto del termine, in quanto nessuno è mai morto per non aver nutrito un figlio. Quindi, la decisione di provvedere o non provvedere alle necessità della nostra prole è una questione del tutto morale.
Questo ci può servire da monito per farci capire che l’uomo è perfettamente in grado di creare nuove necessità in base al concetto di morale. Come sappiamo, la morale è estremamente soggettiva ed ognuno di noi esercita il proprio libero arbitrio seguendo una moralità che è tale solamente secondo la sua concezione di morale.
Per uno Jihadista, ad esempio, è moralmente accettabile che il proprio figlio si faccia esplodere in una sinagoga. In questo caso, però, la morale a cui è soggetto lo Jihadista non è una morale soggettiva, bensì una morale preconfezionata: la morale Jihadista.
Gruppi di persone che seguono una morale “quattro salti in padella Findus” perché non sono in grado di crearsene una. Essere cattolico, musulmano o ebreo, vuol dire firmare un contratto con una morale prestabilita; una morale che non cambierà col tempo.
Molto spesso le religioni sono semplicemente una scorciatoia per domande del tipo: è moralmente accettabile fare questa cosa?
Entrando a far parte di un gruppo religioso si rinuncia automaticamente alla possibilità di esprimere le proprie opinioni, in quanto la religione parla e pensa per noi. Per spiegare meglio questi due concetti, vi farò due esempi, uno in cui la religione pensa per voi e uno in cui la religione parla per voi.
Quando un cattolico si professa tale, è automaticamente contro l’aborto. Un cattolico non può sviluppare un proprio pensiero su questo argomento. È cattolico ed è contro l’aborto, punto.
In questo caso, la religione pensa per voi. I cattolici sono contrari alla ricerca sulle cellule staminali, ma provate a chiedere loro: cosa sono le cellule staminali?
Molto spesso, questi, ignoreranno totalmente il significato di “cellula staminale”, tuttavia, saranno contrari a priori. Quando un individuo inizia a professare ideali che non hanno nessun significato per lui, in quel momento, la religione sta pensando per lui.
Quando, invece, sentirete frasi come -Questo è un buon Papa-, la religione starà parlando per voi.
Rifletteteci un attimo. È possibile che un organizzazione come la Chiesa Cattolica, metta a capo del suo ordine un individuo che non serva esclusivamente come immagine idealizzante dell’intera struttura? È possibile che per far definire “buona” l’intera organizzazione, basti cambiare la figura del capo con cui tutti identificano la chiesa?
È possibile che quando pronunciate le parole -Questo è un buon Papa.- il sotto testo sia -C’è ancora speranza?
Constatato che l’uomo è l’unico essere capace di subappaltare il proprio libero arbitrio, utilizzando la morale di altri, laddove non si dimostra capace di svilupparne una propria, passiamo alle dipendenze rapportate al bar.
Nei bar si possono sviluppare diverse tipologie di dipendenza:

ALCOLISMO

Sappiamo che le paure sono in grado di veicolare le azioni dell’individuo e sappiamo, inoltre, che la morale è del tutto soggettiva, ma sappiamo anche che questa può tranquillamente omologarsi ad un intero sistema moralizzato da terzi, se un individuo è facilmente influenzabile.
Bere è una cosa che si può fare da soli o in compagnia. In casa possiamo bere da soli, mentre al bar, solitamente, beviamo con gli amici. Spesso, però, notiamo dei clienti intenti a bere da soli all’interno di un bar.
Abbiamo visto che la paura atavica di non essere accettati dal gruppo è superiore alla paura del dolore, a tal punto da farci comprare le pillole per prevenire la diarrea in coda alle poste, piuttosto che per curare i sintomi della diarrea stessa. Abbiamo visto che siamo perfettamente in grado di farci del male, con il doping, per paura di perdere una corsa. In pratica, riusciamo a farci del male, per praticare una cosa come lo sport che, a livello teorico dovremmo praticare per farci del bene.
Quindi, la paura di non essere accettati dal gruppo, può veicolare in noi l’assunzione di alcol per entrare a far parte di un gruppo di amici, anche se l’esagerata assunzione di alcol può nuocere alla nostra salute.
Ovviamente non possiamo definire alcolismo il bere con gli amici, esattamene come non possiamo definire tale il bere da soli, tuttavia, il ripetuto abuso di alcolici può portare ad una dipendenza da alcol.
Quando beviamo, il nostro cervello ne risente ed allora iniziamo ad abbassare la guardia, facendo uscire così il nostro carattere.
In questo preciso istante, esattamente mentre mi trovo davanti alla tastiera di questo fottutissimo computer a scrivere questo libro, non tocco un bicchiere d’alcol da circa due settimane. Ho preso questa decisione, non perché io sia un alcolista, piuttosto per vedere quanto il mio bere influisce sulla mia percezione del mondo e, soprattutto quanto ha influito in passato sulla mia vita.
Ci tengo a ripetere che chi scrive questo non è un alcolista, in quanto non soffre di una dipendenza da alcol a tal punto da dover ricorrere a terapie o cose del genere. Per me è molto difficile non bere, ma non reputo questa mia difficoltà alla stregua di una dipendenza estrema e questo posso asserirlo perché, in tema di dipendenze, me ne intendo parecchio.
Comunque, per non essere un alcolista, l’alcol ha influito abbastanza nella mia vita.
Mi è stata sospesa la patente per sei mesi, ad esempio, e ho dovuto prestare servizio come volontario per non pagare tredicimila euro di sanzione. Avrò guidato da ubriaco almeno un duecento volte e questo, credetemi, è un dato approssimato in difetto.
Nonostante ciò, non mi reputo uno stupido. Ho un Q.I. nella media (sebbene il test del Q.I. sia una stronzata di proporzioni bibliche), non soffro di ritardi mentali, gestivo un negozio (di alcolici) e scrivo libri; quindi non credo di essere un totale imbecille, eppure ho guidato da ubriaco un’infinità di volte e questa, senza dubbio, è una cosa da stupidi.
Perché l’ho fatto? Perché nella mia città i taxi costano troppo e gli autobus, dopo una certa ora, non ci sono.
Rileggendo queste righe mi sento un totale imbecille. Ho rischiato la mia vita e, soprattutto, quella degli altri, perché nella mia città i taxi costano troppo? Sono un coglione e sono coglioni praticamente tutti quelli che conosco.
Rammentate che chi scrive questo libro non soffre di una dipendenza da alcol, quindi, questo suo atteggiamento irresponsabile non scaturisce da una dipendenza, bensì da qualcos’altro. Che cosa? La paura.
Beviamo per la paura di non essere accettati dal nostro gruppo e, quando la solitudine s’impossessa di noi, finiamo a bere da soli, sperando che qualche altro gruppo ci accetti, almeno per una decina di minuti.
La paura ci veste, ci fa lavare i denti, ci mette in macchina, ci accompagna al bar, ci fa bere e, infine, ci fa tornare in auto a casa, ubriachi. Ma chi se ne frega… il gruppo ha accettato la nostra presenza. Poco importa se a farne le spesa sarà un disgraziato che portava il cane a spasso alle quattro di notte. Il gruppo ci ha accettato!

SESSO-DIPENDENZA AL BAR

Passiamo a qualcosa di più interessante: il sesso occasionale.
L’essere umano è vittima del suo appetito sessuale. Essendo animali, saremmo capaci di fare sesso con qualsiasi cosa, dai tubi di scappamento alle persone. Tuttavia, l’uomo, abituato a definire ogni cosa, ha coniato diversi termini per racchiudere gli atteggiamenti sessuali in categorie ben precise. Quello che a livello teorico è semplicemente sesso, diventa sesso eterosessuale, sesso lesbo, sesso gay, zoofilia e chi più ne ha più ne metta.
Il bar, in quanto luogo di ritrovo, è una piazza perfetta per fare nuove conoscenze e, quindi, costruire le basi per un eventuale rapporto sessuale.
Partiamo dal presupposto che la percezione dell’universo soggettiva, ergo, il mondo, la società e tutti i concetti che la dominano, sono da ricondurre alla propria e singolare visione del mondo. Ciò che per me è bello può risultare brutto a te e ciò che per me è giusto, per te può risultare sbagliato.
Rapportando questo concetto al bar, possiamo dedurre che ognuno di noi ha una singolare visione del bar e quindi della vita stessa.
Se chiedete a mia madre, ad esempio, cosa rappresenta per lei il bar, probabilmente la sua risposta sarà la seguente: il bar è quel posto in cui si prende il caffè la mattina e, di tanto in tanto, una coca cola con le amiche.
Se ponete la stessa domanda alla mia stretta cerchia di amici, questi vi risponderanno all’unisono: il bar è quel posto in cui ci si ubriaca.
Questa è stata a lungo, e forse lo è tuttora, la mia visione del bar. In pratica, è la nostra percezione dell’universo a far si che questo prenda delle connotazioni all’interno del nostro pensiero, esattamente come per il bar.
I primi giorni in cui ho deciso di smettere di bere, la mia prima domanda esistenziale è stata: riuscirò ancora a divertirmi, o vivrò il resto dei miei giorni in uno stato di apatia perenne?
Questo perché, sempre secondo la mia ottica distorta della vita, divertirsi senza stroncarsi i neuroni è praticamente impossibile. L’alcol è una gabbia in cui si entra volontariamente, ma molto spesso ciò che può sembrare un suicidio morale, può rappresentare una sorta di difesa; come a dire che le sbarre di una gabbia possono , da una parte, precluderti le bellezze del mondo mentre, al contempo, potrebbero risultare una protezione dalle brutture della vita al di fuori del proprio cancello di preconcetti.
Ci si rintana nell’alcol, esattamente come ci si rintana nell’eroina o nel crack: perché si arriva a pensare di aver scoperto il segreto del mondo.
Questa particolare attitudine, protratta nel tempo, porterà l’individuo a cercare di comunicare con il resto del mondo, solamente quando l’alcol inizierà a diffondere in lui la giusta dose di coraggio. Tutto ciò che gravita attorno alla vita dell’individuo, finirà per inciampare nelle pozzanghere alcoliche della sua esistenza.
Ad esempio, tutte le mie relazioni sono nate sotto il vischio dell’alcol. I miei approcci, le mie performance sessuali, i miei appuntamenti, insomma, tutto ciò che riguarda la sfera sentimentale, deve al dio alcol ogni possibile paternità.
Heidegger vedeva l’uomo come una sorta di proiettile, sparato verso l’avanti. La visione, soggettiva, dell’uomo proiettato verso una direzione, non ne fa, però, una creatura esclusivamente pragmatica, in quanto pur non restando intrappolati in quello che i latini chiamavano -hic et nunc – (il qui e ora), la nostra esistenza riguarda il qui e ora in cui agiamo. È nel qui e ora che noi riusciamo, non ad essere, ma ad “esser-ci”.
Proprio questo “ci” è ciò che lega l’Essere, temporalmente, nella storia.
Essendo perennemente proiettati in avanti, la nostra visione di noi stessi e le nostre ambizioni sono, anch’esse proiettate in avanti e questa condizione ci porta alla “cura”, ovvero, alla possibilità di poterci prendere cura di qualcosa, rapportando a questo meccanismo la nostra esistenza.
Nel nostro caso, la cura o la dedizione che diamo al bar, potrà proiettarci nel letto di una biondina allampanata o di una madre, vittima della crisi di mezza età.
Personalmente credo che questo continuo sfuggire dal qui e ora, ci renda vittime di questa proiezione continua, obbligando l’essere umano a prendersi cura delle proprie distrazioni, evitando di concentrarsi troppo sui meccanismi esistenziali. Alcol e sesso, sono due grandi compagni del non pensare.
Quando il bar, però, finisce per miscelare alcol e sesso, l’uomo rimane vittima di uno strano dualismo. Freud sosteneva che ogni scelta dell’uomo portasse, inconsciamente, verso due direzioni: amore e morte.
Da una parte la vita e dall’altra la distruzione. Ovviamente l’alcol rappresenta una scelta distruttiva, mentre il sesso rappresenta una scelta romantica e piena di vitalità.
Cosa succede, tuttavia, quando è l’alcol a generare le situazioni che portano al sesso? In questo caso si finisce in un paradosso esistenziale. Una scelta distruttiva che implica, però, una meta vitale.
Questa visione estremamente distorta è stata a lungo la mia visone dei rapporti interpersonali. Questo rapporto stretto tra scelte distruttive e scelte vitali, genera una nuova a tipologia di scelta: la malattia.
Si prende una scelta positiva, come può essere il sesso, e la si proietta verso il male, verso l’estremo, verso la continua ricerca di rapporti occasionali, atti inconsciamente a distruggere la vita, modificando il significato stesso di rapporto sessuale atto a generare vita.
Mio nonno semplificava questa teoria con un semplice -ogni eccesso è un difetto.- e devo dire che, certe volte, la semplicità aiuta ad esprimere un concetto in maniera più eloquente di molti libri di speculazione filosofica.