L’Enrico | un racconto di Ferdinando de Martino

anello

Quando era solamente un bambino, Enrico venne portato dai suoi genitori ad uno spettacolo di magia.
Ogni suo discorso, all’interno di una qualsiasi conversazione, andava inevitabilmente a parare sulla magia. Fu per quello che sua madre e suo padre decisero di regalargli una serata all’insegna del magico, portandolo in un teatro di serie B del centro della sua città.
Da quel giorno Enrico smise di parlare di maghi e illusioni a tavola. Quello che aveva sempre vissuto come un sincero e appagante senso di stupore, si era rivelato un insieme di trucchi dozzinali da vendere ad un pubblico distratto.
La base della magia era sempre la stessa: distrarre il pubblico, facendo focalizzare l’attenzione generale su di un particolare prestabilito, per inscenare la magia fuori dal campo visivo dei gonzi.
Erano passati molti anni da quello spettacolo d’illusionismo e la vita aveva concesso ad Enrico una nuova possibilità d’innamorarsi della magia che, quella volta, era esplosa nello sguardo di Maria.
Era una donna attraente. Sapeva indossare un certo fascino, pur non essendo una bellezza da rotocalco.
Alfred, maitre del ristorante, continuava a chiedersi quale fosse il segreto di quel fascino, perché era abbastanza avanti con gli anni per sapere che ogni cosa nascondeva un segreto.
La stava fissando da svariati minuti, in maniera discreta, mentre lei era intenta a sorseggiare un bicchiere di Martini al tavolo numero quattordici.
Il suo ruolo, avvolto nell’eleganza che doveva contraddistinguere la sua figura, non era mai riuscito ad eludere il carattere caloroso ed umano che si portava appresso sin da ragazzino e per la prima volta in vita sua era curioso di conoscere uno dei loro clienti.
Enrico si era messo in contatto con lui una settimana prima, prenotando il tavolo quattordici e discutendo assieme del menù. Spiegò che quella sera avrebbe fatto la proposta alla sua fidanzata ed essendo un maniaco dei dettagli, voleva assicurarsi che tutto sarebbe andato secondo i suoi piani.
Fece anche una battuta su questa sua maniacale attenzione -Pensi un po’… io e lei stiamo progettando ogni cosa al dettaglio e la mia fidanzata potrebbe rovinare tutto il nostro lavoro con un semplice: no.
Fu simpatico. Solitamente le persone lo trattavano come un semplice tramite, ma tra lui ed Enrico si era instaurato una sorta di contatto; poteva sentirlo dalla sua voce.
C’erano due uomini ai rispettivi capi di quei telefoni. Uomini con un loro passato, delle storie e dei traumi.
-Mi dica… c’è anche un anello?- chiese Alfred.
-Certamente… e vorrei che lei lo mettesse all’interno di qualcosa… qualcosa…
-Che ne dice di un Crystal?
-Lei mi capisce.
-Viaggiamo sulla stessa frequenza.
Sapeva, inoltre, che il loro cliente era un chirurgo e proprio per quello non poteva esimersi dall’ossessione per i dettagli. Era una deformazione professionale.
Inoltre aveva ordinato solamente delle ottime bottiglie di vino e differenti portate, in quantità ridotta per permettere a lui e sua moglie di mangiare il più possibile, vista la presenza di uno chef stellato.
PERFEZIONE doveva essere la parola d’ordine della serata.
Che aspetto poteva avere Enrico? Continuava a chiederselo, giocherellando con la penna stilografica che utilizzava per appuntare i nomi dei clienti sul libro in finta pelle che gestiva come se fosse il Necronomicon del ristorante.
-Salve. Lei è Alfred?
Alzò lo sguardo e finalmente lo vide.
-Sì. Lei dev’essere Enrico. L’ho riconosciuta dalla voce.
-Mi fa piacere. Vedo che avete servito e riverito la mia compagna. Grazie mille.
-Dovere… qui è tutto pronto, abbiamo discusso del menù, preparato le bottiglie di vino e champagne.
-Le confesso una cosa. Quando ogni cosa è al suo posto, come in questo momento, mi sento come un generale dell’antica Roma davanti ad un esercito avversario. Il pericolo è davanti a me e posso vederlo distintamente, ma sono preparato e sicuro del mio esercito; proprio in quel frangente che antecede la guerra, io mi sento sereno.
Era molto carismatico. C’era nella sua voce un qualcosa che ricordava gli audiolibri dei vecchissimi cronisti radiofonici, abituati ad interpretare le notizie di cronaca con un timido calore emozionale.
-Mi lasci dire che quella che vedo seduta al nostro miglior tavolo è la donna più fortunata dell’intera città. Lei sembra proprio essere una brava persona.- sorrise Alfred.
-Siamo rimasti in pochi, vero? Io e lei siamo di una pasta particolare.
-Può dirlo forte.
-È che, nonostante mi abbiano sempre dato del fesso o dello sprovveduto, io non sono mai riuscito a smettere di fidarmi della gente. Mi creda, il mondo mi ha servito più e più volte delle fregature che avrebbero potuto trasformarmi in un furbo o in una persona chiusa… ma io credo ciecamente che ci sia ancora una via di scampo e quella via è profondamente radicata nella bontà.
-Lei è un sognatore.
-Anche lei… ho riconosciuto la luce nei suoi occhi. Adesso spero che mi perdoni, ma dovrei andare dalla mia signora.
-Buona fortuna.
-Ne avrò bisogno.- sorrise Enrico, avviandosi verso il tavolo per poi fermarsi e ritornare verso la postazione del maitre, dicendo -Tutti questi preparativi e ci stavamo dimenticando della parte più importante.
-L’anello… come abbiamo fatto a dimenticarci proprio dell’anello?
-A lei.- sorrise Enrico, consegnando la scatoletta rossa nella mani di quello che poteva quasi definire un suo nuovo amico.
-Lo custodirò come se fosse mio.
Non c’erano persone dietro i volti dei clienti di quel ristorante, la maggior parte delle volte, ma in quel caso la persona era perfettamente definita dietro quello sguardo color ghiaccio elettrico.
Che bella vita doveva avere quel misterioso chirurgo dai modi raffinati e gentili, pensò Alfred, accarezzando la custodia dell’anello che a fine serata avrebbe fatto un bel bagnetto in un coppa di champagne, per finire poi al dito di una fortunata signora Bren.
-Non dirmi che quello è l’anello?- disse Caroline, la più giovane e curiosa delle cameriere.
-Sì.
-Devo assolutamente vederlo.
-Non se ne parla proprio.
-Quel coso finirà dentro un bicchiere di champagne… non credo che una mia occhiata possa rovinarlo più di tanto.
Era carina e molto spesso gli uomini concedono alle donne carine quello che non concederebbero alle donne brutte. Un triste dato di fatto che anche in quell’occasione finì per seguire la regola della bellezza-crazia.
-Oh… ma questo è un mattone.
-Accidenti, è proprio grosso.- esclamò, tenendolo stretto tra le mani.
-Quella è senza dubbio una donna bella fortunata.
-Non essere venale.
-Venale? Se quella gli dice di no, subentro io.
-Ma non l’hai nemmeno visto in faccia.- insisté Alfred.
-Beh, una faccia che può permettersi quell’anello… può permettersi anche la sottoscritta.
Certe volte le donne belle erano volgarmente brutte dentro, ma gli uomini interessati alle interiora di una donna si contavano sulle dita di una mano e, probabilmente, se ne stavano rinchiusi dietro le sbarre di un carcere per psicopatici.
Poco distanti da quella scenetta, Enrico e Francesca estraevano le lumache dai loro gusci per poi avvicinarle alle loro bocche. Erano palati raffinati.
La buona cucina era solamente una delle tante cose che adoravano. Sembrava quasi che amassero tutto ciò che agli occhi d’uno sconosciuto avrebbe potuto risultare superficiale, ma quella sarebbe stata un’errata lettura del loro gusto.
La cura che stava alla base della loro ricerca del bello non aveva niente a che fare con un nichilismo all’acqua di rose in stile nobiltà annoiata d’un vecchio romanzo. Qualcosa c’era, dietro il loro gusto estremo, e quel qualcosa era avvolto da una nebbia fumosa che rendeva indecifrabili le loro intenzioni.
-Queste lumache sono divine.- disse lei, scontrandosi nello sguardo dell’uomo.
-Sì, ma io avrei azzardato un po’ di più con la paprika.
-È un gusto audace.
-Sono d’accordo, ma l’audacia non è mai abbastanza, no? Cosa ne pensi del vino?
-La temperatura è perfetta.
-È tutto perfetto… per il momento.
Enrico aveva specificato ad Alfred che quella sera avrebbero provato svariate bottiglie di vino differenti perché quello che ricercavano, oltre al mero e ovvio stordimento momentaneo, era una vera e propria esperienza sensoriale.
Una cucina aggressiva non doveva mai essere violenta, ma semplicemente coraggiosa; per quello era solito scegliere i ristoranti basandosi su articoli reperibili on line sugli chef d’ogni singolo locale.
Era la metodicità a decidere il novanta per cento della possibile buona riuscita di una qualsiasi attività.
-Cos’hai ordinato dopo le lumache?- chiese Francesca.
-Manzo in agrodolce e… il tuo piatto preferito.
-Omelette Sacromonte?
-Esatto.
-Non è da tutti cucinarle…
-Per soddisfare il tuo palato farei questo ed altro, cara. Ti ho mai detto che sei semplicemente stupenda?
-Più o meno ogni mattina, al tuo risveglio. Solitamente dopo esserti lavato i denti.
-E continuerò a farlo per il resto dei nostri giorni.
-Ti adoro.
Per lo chef era stato semplice reperire gli ingredienti per una perfetta preparazione dell’Omelette Sacromonte, anche se quella roba non era per tutti i palati.
Tra i testicoli di toro e frattaglie varie, quel piatto non si candidava proprio nella top ten delle ordinazioni annuali.
Alfred sentiva la confezione dell’anello premere sulla sua coscia dalla tasca del pantalone del suo completo da lavoro. Era il custode di un oggetto prezioso e questo lo faceva sentire importante.
Stava cancellando una prenotazione per il mese successivo, quando la voce di Enrico arrivò al suo orecchio.
Stava parlando al telefono con qualcuno e premeva con la mano destra sulla parte inferiore del telefono, come quando si vuole interloquire con qualcuno senza che la persona dall’altra perte del telefono senta.
-Ho un problema e spero che lei mi possa aiutare.
-Farò il possibile. Mi dica.
-Vede, sono in linea con un mio collega. Martedì prossimo avremmo dovuto incontrarci per una cena aziendale, la nostra è una clinica privata… sa come funzionano queste cose… raccolte fondi e quisquilie varie. Purtroppo il ristorante ha subito un danno alle tubature e la nostra prenotazione è andata in fumo, ma avendo provato il menù del vostro chef, mi sono sono detto: perché non organizzare qui la cena? Lei crede che sarebbe possibile? Mi tirerebbe fuori da un impiccio, mi creda.
-Martedì… quanti sareste?
-Glielo faccio sapere subito.- disse Enrico, tornando al telefono -Siamo sempre in diciotto? Ah, venti. Bene…- continuò, osservando il pollice in su di Alfred -Perfetto. Problema risolto. Sappi che è tutto merito del maitre più in gamba che abbia mai incontrato.
Finalmente qualcuno gli riconosceva qualcosa. Aveva un posto di lavoro di tutto rispetto, ma i riconoscimenti mancavano sempre. Spesso, quando si trovava a cena con persone che non conosceva, spiegava il suo lavoro e tutti finivano per riassumere le sue mansioni con il termine: cameriere. Nulla contro i camerieri, ma il suo ruolo era più simile a quello di un generale. Il maitre di un ristorante è il capitano del vascello… mentre la cucina è la coperta.
Enrico aveva capito perfettamente la situazione, perché era un uomo colto e raffinato. Per un attimo si sentì veramente affine a quell’uomo che aveva appena conosciuto.
Terminata la telefonata, lo guardò negli occhi e disse – Senta, Enrico… posso offrirle un bicchierino di vodka? Mi farebbe piacere bere un rinforzino con lei.
-Guardi, se mi fa l’onore di sciogliere il patto di questo macchinoso lei… accetterò volentieri.
-Perfetto. Allora tu, Enrico, berrai con me.
Tirarono giù la vodka come dei veri e propri russi all’opera, dopodiché Enrico tornò al tavolo che aveva prenotato, mentre lo sguardo di Alfred si perse per qualche istante in una vita che stava invidiando in maniera dolce.
Se avesse studiato medicina avrebbe potuto essere lui Enrico.
Quello strano cliente non aveva badato a spese nella scelta del menù e, oltre all’incasso di quella sera, avrebbe fatto guadagnare al ristoranti altri venti coperti; al mondo esistevano ancora persone in grado di godersi la vita.
Andare a mangiare fuori non doveva essere un peso o una cosa da fare per accontentare un fidanzato o una fidanzata, ma un semplice e puro piacere legato alla base della vita: il nutrimento.
Le portate andarono avanti fino al dolce. Il pasticcere da cui si serviva lo chef del ristorante era uno dei migliori della nazione.
Marconi, diplomato da Gualtiero Marchesi nel novantuno, credeva che l’unione tra le portate fosse il vero segreto del successo di una buona cena; proprio per quello era solito servirsi da quello specifico pasticciere. Quando si trovava un buon collaboratore non bisognava mai lasciarselo scappare.
Alfred notò la compagna di Enrico avvicinarsi a lui. Era diventata molto più bella da quando l’aveva vista all’entrata, probabilmente perché adesso aveva iniziato a guardarla con gli occhi del suo nuovo amico.
-Posso chiederle un accendino in prestito? Prima del caffè vorrei fumare una sigaretta.- disse.
Che donna particolare, pensò. Alfred; Solitamente la sigaretta era una conseguenza di un buon caffè e non il contrario. Probabilmente solo una donna particolare avrebbe potuto attirare a tal punto un uomo eccezionale come Enrico.
-Tenga pure il mio accendino.- disse, porgendole un accendino con l’incisione dello stemma del ristorante. Quello era solamente uno dei tanti dettagli a cui il manager del locale aveva pensato per ingraziarsi i clienti.
Francesca sparì, avvolta da un profumo che Alfred non avrebbe mai più dimenticato. Vaniglia con un vaghissimo sentore di lavanda. Roba da intenditori.
La voce di Enrico interruppe le divagazioni mentali sui profumi delle donne, all’interno della mente di Alfred.
Era nuovamente al telefono -Alfred… c’è la possibilità di avere un menù per celiaci, per mercoledì? Uno di noi è celiaco.- chiese, coprendo il telefono.
-Certamente. Lo chef vi stupirà.
-Grazie. Esco un attimo che qui dentro c’è poco campo.
Enrico uscì, continuando a borbottare al telefono.
Al loro ritorno sarebbe andata in scena l’ultima portata, quella con una bottiglia di costoso champagne che avrebbe annegato un brillante da capogiro.
Quattordici minuti dopo, la giacca di Enrico era ancora sullo schienale della sedia del miglior tavolo del ristorante, l’anello si trovava sempre nella tasca di Alfred e lo champagne in fresco aveva raggiunto una temperatura che avrebbe mortificato il suo gustoso perlage.
-Secondo te torneranno?- chiese Caroline.
-Credo di no.- sospirò Alfred, estraendo il cofanetto dalla tasca.
Focalizzare l’attenzione del pubblico su di un piccolo dettaglio era l’unico modo per realizzare un gioco di prestigio ed Enrico aveva capito molto presto che la magia era una semplice truffa. La suddetta lezione divenne estremamente chiara anche ad Alfred dopo quell’interludio, ma contrariamente a tutte le altre lezioni che aveva imparato durante la sua esistenza, quella lo fece sentire più stupido di quando ne ignorava i dettagli.