Lo Sforzo | Un racconto di Ferdinando de Martino |

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È molto difficile scrivere di cose personali.
Solitamente quando si va ad intaccare la sfera personale ci si trova davanti a due grandi rischi, il primo è quello di truffare il lettore, mentre il secondo (ancora più grave) è quello di truffare se stessi.
Meditare su quali emozioni un racconto dovrebbe far scaturire nell’animo del pubblico è di per sé una truffa bianca, perché ogni pagina deve avere una sua direzione per andare da qualche parte.
Oggi ho deciso d’indirizzare questa pagina verso “lo Sforzo”.
Qualche giorno fa mi trovavo fuori da un locale, seduto ad uno dei tavolini esterni, posizionati al di sotto di un gruppo di ombrelloni verde acqua.
Avevo finito di lavorare da poco ed ogni parte di me si poteva dire stremata. Le mie mani erano stanche, i miei pensieri, i miei occhi, il mio senso del gusto, le mie perversioni, i miei piedi, le mie vertebre e le mie molecole, tutto era stanchezza.
Avevo ordinato un piatto di verdure grigliate e una media chiara e nel mangiare mi sentivo un po’ come un vecchio lupo, impegnato nell’atto del nutrirsi più per sopravvivenza che per fame.
Al tavolo a fianco al mio si sedette un bambino di otto o nove anni circa. A giudicare dal costume da bagno, doveva venire da qualche stabilimento balneare limitrofo.
Posò sul tavolo un quaderno a righe e una penna blu.
Dal nulla apparirono sei bambini della stessa età di quello che mi si era seduto accanto e iniziarono a giocare e chiacchierare ad alta voce, alimentando la mia misantropia a tal punto da iniziare a farmi divagare sulla possibile sterilizzazione del genere umano.
Nulla di trascendentale, è solo che quando esco da lavoro sono sempre nervoso per almeno un paio d’orette.
Tirò giù un sorso di birra e iniziò a guardare il bambino con la penna blu, intento a fare qualche esercizio sul quaderno a righe.
Si stava sforzando, si vedeva chiaramente; probabilmente trovava quell’esercizio particolarmente difficile. Ogni tanto lo sguardo gli cadeva sui bambini che giocavano tutti assieme, mentre lui se ne stava lì seduto a fare un esercizio sul suo quaderno con una penna blu.
Molto spesso sono i dettagli a far cambiare il senso di una storia e il mio dettaglio è che il bambino in questione era affetto dalla sindrome di down.
C’era una differenza incolmabile tra quel bambino seduto al tavolo e quelli che giocavano, schiamazzando sulle mie nevrosi.
Forse parlare di differenza potrebbe sembrare indelicato, ma molto spesso veniamo cresciuti con la convinzione che non ci siano differenze tra gli individui e questo finisce sempre per rovinare irrimediabilmente le persone.
C’è differenza tra un bello e un brutto, esattamente come c’è tra un ricco e un povero, un atleta ed uno storpio.
Quindi risparmiamoci i moralismi da figli dei fiori avvizziti e andiamo avanti.
Quando si parla di differenza, bisogna capire sempre che ciò di cui stiamo parlando diventa effettivamente reale in base al modo in cui la differenza stessa si manifesta.
Quindi, la domanda è: come si manifesta la differenza tra quel bambino e gli altri?
La risposta è una: lo Sforzo.
Vedete, l’uomo è abituato a ragionare non in termini d’ambizione, bensì di successo. Proprio per questo motivo tendiamo ad abbandonare un’ambizione se non la reputiamo in grado di portarci al successo.
Vi faccio un semplice esempio: chi si metterebbe a giocare a pallacanestro con una altezza di un metro e due centimetri?
Nessuno, ovviamente; non perché manchi l’ambizione di giocare a basket, ma per il semplice fatto che in un mondo in cui l’altezza media è il metro e novantadue, quell’ambizione non potrà mai e poi mai portare al successo.
Lo sforzo, in quel caso, sarebbe vano. Un giocatore di un metro e settanta farà uno sforzo incredibile per giocare ai livelli di un giocatore di uno e novantadue, ma potrà farcela, sebbene la sua vita sarà caratterizzata da uno sforzo maggiore è da allenamenti più intensi degli altri. In questo caso lo sforzo che implica l’ambizione di giocare a basket, potrebbe portare un individuo al successo.
L’importante non è arrivare o no al successo, ma il vedere la possibilità d’arrivarci.
Quando il successo diviene palesemente impossibile da raggiungere in un campo, l’uomo abbandona la sua ambizione.
Lo sforzo che stava facendo quel bambino era una tipologia di sforzo che solamente in pochi possono realmente capire, non per una mancanza di sensibilità o empatia, ma per una semplice questione d’appartenenza.
Quel bambino che continuava a guardare gli altri bambini, vedendoli così lontani da poterli quasi indicare come costellazioni inarrivabili, non desiderava altro che la possibilità di rincorrerli, consapevole del fatto che non li avrebbe mai e poi mai raggiunti. Quello è lo Sforzo. Il sapere che tutto ciò che potrai fare nella tua vita è e sarà sempre vacuo, non abbastanza e sempre troppo poco per raggiungere gli altri è un umiliazione che non si può descrivere a parole.
Molti di quelli che staranno leggendo queste righe, avrebbero abbandonato il quaderno e sarebbero andati a buttarsi in acqua, consapevoli che quel esercizio non li avrebbe mai portati da nessuna parte.
Quel bambino non giocherà mai realmente con gli altri, perché il dolore e lo sforzo gli impediranno di godere a pieno le gioie della vita, ma… continuava a sforzarsi su quel quaderno con una caparbietà e una determinazione che mi feriva lo stomaco fin dentro le viscere della mia anima stanca.
Ho evitato di farmi notare nel guardarlo, consapevole del fatto che quando ti ritrovi chiuso in te stesso, gli sguardi fanno male.
Quando decisi di scrivere il mio primo libro, ricevetti molti sguardi che potrebbero riassumersi con una semplice frase: È solamente un tossico. Cosa potrà mai scrivere?
Ecco dove sta lo sforzo. Quando per qualcuno non puoi nemmeno entrare in gara perché sei automaticamente catalogato come outsider, ogni tuo sforzo sarà inutile.
Ed è proprio questo il male, lo sguardo che ferisce più di un proiettile al cervello.
Perché se sei un tossico non ti puoi ripulire per metterti a fare qualcosa che dia vagamente senso alla tua vita, perché nonostante tutto, saranno sempre loro a scegliere cosa potrai e non potrai fare e non lo faranno con dei divieti, ma con dei sorrisi di circostanza.
Il fatto è che i leoni delle nostre circo-stanze, potrebbero circo-uccidervi tutti.
Al tavolo a fianco al mio c’era un bambino che continuava a correre senza muoversi d’un millimetro.
Ho sempre trovato le guerre insensate l’unico atto di coraggio veramente puro.

Ferdinando de Martino.

2 Commenti

  1. Massimiliano

    Un racconto in due parti, apparentemente distinte: lottare nonostante tutto, nonostante la lotta appaia impossibile. Nonostante gli sguardi dietro finti sorrisi.

    1. linfernale

      Grazie mille.

      Ferdi.

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