Febbraio 2016

Di Caprio V.S. Walter White, BIATCH ! |

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Revenant è un capolavoro per gli occhi e stronzate del genere sono state dette e ridette da milioni di giornalisti e blogger, ma il mio commento è diverso: Revenant è una figata pazzesca.

Di Caprio è uno dei migliori artisti della nostra generazione e Oscar o non Oscar, questo non potrà mai toglierglielo nessuno. In vista della notte più patinata del paese copertina del pianeta, mi sembrava giusto esprimere un’opinione sul premio giallo e vagamente fallico.

Sulla bravura di Leonardo credo che non ci sia nulla d’aggiungere, visti i precedenti capolavori interpretati dall’attore con lo sguardo magnetico, ma anche quest’anno potrebbe esserci un interferenza attoriale tra Mr. Redivivo e la statuetta. Non mi riferisco a Trumbo in quanto film, con le sue connotazioni politicamente corrette che, probabilmente, costringeranno l’Academy a conferire alla figura dello sceneggiatore l’ennesimo premio, quanto più alla vera e meno lampante connotazione…

Gente, non so se ve ne siete accorti, ma quello è Walter White. Credete che lascerà l’Oscar a Leonardo Di Caprio? Non credo proprio, biatch.

Probabilmente l’attore o l’attrice, incaricati di leggere il contenuto della busta, si ritroveranno il corpo puntinato da una decina di laser e capiranno automaticamente a chi dovrà andare il premio più ambito del mondo del cinema.

Go Walter… go.

 

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Ferdinando de Martino.

Aspetta primavera Villa |

I colori dei locali si somigliano tutti nella mia memoria. Forse questo è dovuto al fatto che le sfumature dei liquori attenuano i ricordi, schiarendone le tinte, instaurando nei nostri cervelli una sorta di qualunquismo mnemonico.
I colori sono simili… le persone no.
Fu così che Villa si avvicinò a me. Sguardo vivo e un sorriso accennato.
-Ma sai che questa ragazza si chiama Bandini? Come Arturo Bandini.
-Cristo santo. Probabilmente è il più bel cognome della storia.
-Sì… e pensa che non lo conosce.
-Cazzo.
-Giuro.
-È strano, ma mi sembra di ricordare che non siamo mai finiti a parlare di Fante.
-Incredibile. È senza dubbio il migliore della sua generazione.
Villa sgrana gli occhi, un po’ come quando si parla di una persona estremamente vicina a noi, ma solamente in senso metaforico. È un tipo di contatto che in pochi riescono a capire e quei pochi hanno sicuramente letto Fante.
-Sai… Fante l’ho conosciuto per via di una ragazza che lo leggeva ed è stato subito amore a prima lettura. È un qualcosa che va oltre al semplice appassionarsi.- dice, appoggiandosi al muro -Spesso parlo con persone di letteratura e se capisco che sono prive di quella sensibilità, non butto mai sul tavolo delle argomentazioni Fante, preferisco parlare di Ammaniti… ma non di Arturo Bandini.
-Ti capisco alla perfezione.
E lo capivo davvero. Fante è l’archetipo dello scrittore che seduce l’italiano. Non vorrei esagerare, ma non credo che gli accademici della crusca o i letterati perdano tempo a leggere la roba di questo umile artigiano della letteratura; probabilmente sono troppo impegnati ad analizzare parole come petaloso (per inciso, vorrei sottoporgli un neologismo atto a descriverli: cristo\del\loro\dio.)
Quindi, non vorrei spararla grossa, ma secondo me Fante dovrebbe essere motivo d’orgoglio per la nostra gente quasi quanto Dante.
Dal nulla iniziamo a parlare, io e il socio Villa, un po’ come se le storie di Fante le avessimo vissute noi.
-Ti ricordi quella volta coi granchi?- e -E quella con il padre?-, ancora -E la messicana?
Questo era John Fante: uno scrittore in grado di scolpirti nella memoria i suoi ricordi, quasi come se fosse più un Michelangelo delle memorie che un semplice scrittore.
Io ho amato le donne di Fante. Giuro. Ho fatto l’amore con loro, ho litigato con suo padre, ho portato a spasso il suo cane Stupido e ho provato l’odio degli altri sulla mia pelle.
Io sono John Fante, Villa è John Fante, esattamente come molti altri stupidi e zotici italiani, fieri di parlare di una cultura che non deve, per forza di cose, mettere in imbarazzo le persone con paroloni difficili, perchè se una frase non ti arriva dritta al cervello, percorrendo meno strada possibile, quello scrittore ha sbagliato mestiere.
Un parolone è come una spada troppo pesante per essere brandita. Pensate ai ninja… loro usano spade piccolissime e spaccano i culi lo stesso, no?
Fante era un ninja, mentre gli altri sono dei barbari guerrieri medievali, biechi e ignoranti.
Uno scrittore raffinato, ma con la camicia sporca di vino. Un poeta vecchio stampo, di quelli che oramai non se ne trovano più.
Villa sembrava perso nei suoi ricordi, mentre io ero perso nei mei e i nostri ricordi si mescolavano, dimostrandoci che si può vivere nello stesso mondo senza mai incontrarsi. Villa era stato a Los Angeles nel periodo in cui anche io e Fante eravamo lì, ma non avevamo mai incrociato i nostri sguardi.
Tutto per ritrovarci in un bar a Genova, chiacchierando del più, del meno e di un genio.

 

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Ferdinando de Martino

 

Può Britney Spears farci capire il pensiero di Nietzsche ? | di Ferdinando de Martino

Immaginatevi un incontro di pugilato. Da una parte abbiamo l’industria musicale, mentre dall’altra abbiamo un tizio coi baffi folti e matto come un cavallo.
L’industria musicale sostiene di forgiare talenti e di anticipare i trend con lungimiranza, proprio mentre dall’altro lato del ring il ginnico Nietzsche si sta scaldando per dimostrare, a suon di pugni metaforici, che l’industria musicale non fa altro che seguire il flusso di una serie di eventi che si manifestano e si manifesteranno perennemente in maniera ciclica.
Vi siete mai trovati davanti ad osservazioni come -Un tempo avevamo i Beatles e adesso ci ritroviamo Justine Bieber?
Se la risposta è sì, siamo sulla strada giusta per comprendere uno dei concetti più interessanti della filosofia dell’ottocento.
Premetto di non voler insultare i gusti musicali di nessuno, sebbene credo che la differenza tra Bob Dylan e Justin Bieber sia lapalissiana. In caso contrario, mi dispiace molto per le vostre orecchie.
Non esiste una vera e propria motivazione atta a giustificare il successo di certe pop star. Possono essere brave a saltellare sul palco, dimenando gli addominali e in certi casi possono avere anche un gran bella voce, ma non sono questi elementi a decretarne il loro successo a tavolino.
Il fatto è che non è spiegabile nemmeno il successo di Dylan, perchè il semplice consenso delle folle non può decretare la beatificazione di una rockstar da sotto un palco, in quanto quella rockstar deve arrivare sul palco per essere beatificata.
Se alla rockstar togli il palco o il canale YouTube, il pubblico perde il suo potere beatificante.
Il centro della questione è: perchè nascono i Dylan e i Bieber?
Li sentite? Sono i pugni di Nietzsche che si colpiscono tra loro, prima di sferrare il primo montante.
Al suono del gong parte il primo attacco: in un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
Questo meraviglioso ed elementare concetto decreta una delle leggi più affascinati della filosofia ottocentesca.
L’esempio più semplice che possiamo fare è quello di un mazzo di carte o di una moneta.
Immaginate di aver pescato da un mazzo di carte il due di denari. Rimettete dentro la suddetta carta, mischiate nuovamente il mazzo e pescate una seconda volta.
Fingiamo che sia uscito l’asso di coppe.
Continuando questo giochetto all’infinito, per una semplice questione matematica, prima o poi il due di denari e l’asso di coppe verrano estratti nuovamente dal mazzo, proprio perchè in un sistema finito (come il mazzo di carte), con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
Quindi in un sistema finito come quello dell’industria musicale, durante il naturale scorrere degli eventi, avremo un susseguirsi di Bob e Justine.
Bob Dylan dovrà nascere ancora, proprio perchè è nato una volta. Bob Dylan è nato quanto Mozart ha visto per la prima volta un clavicembalo, quando Ray Charles ha capito che si poteva vedere anche con gli occhi del suono; è nato quando Hendrix ha guardato una chitarra, domandandosi -Cosa si può fare di diverso?
Bob Dylan è nato quando il primo uomo ha iniziato a cantare e continuerà a nascere finché il tempo rimarrà infinito.
La stessa identica cosa vale per Justine. Bieber è nato quando un produttore musicale ha guardato i volti sbarazzini degli ’N Sync e ha detto -Con questi copriamo tutto il mercato di persone che non hanno mai sentito la bella musica.
Vi siete mai chiesti perchè per l’industria musicale è così importante la fascia 14/15?
Semplice… perchè è più facile fare il lavaggio del cervello a persone che non hanno cultura in un campo specifico e l’unico modo per impedire ad un individuo di farsi una cultura musicale è quella di propinargli l’esca giusta al momento giusto.
Gli ’N Sync o i Take That potevano vendere solamente a chi non aveva mai sentito un pezzo degli Aerosmith. Perchè? Andiamo… chi comprerebbe mai un disco degli ’N Sync dopo aver sentito un pezzo qualsiasi di Tyler e soci?
Bieber è nato quando sono nate le Spice Girls, quando sono nati i Tokyo Hotel e quando i Blue scalavano le classifiche di tutto il mondo.
Molti potrebbero storcere il naso, ma quando io penso alla musica che ascoltavo dieci anni fa, mi congratulo con me stesso, mentre la maggior parte di voi dovrà scendere a patti con il fatto che dieci anni fa cantava -Dan blu da bi di da bi da e da bi di da bu da e da bi di da bu da.
Capito il senso dell’eterno ritorno?
Quando dal mazzo di carte esce un Bieber, viene partorito un testo che recita -Dan blu da bi di e da bu da e da bi di e da bu da e da bi di e da bu da.-, mentre quando esce un Dylan, ci ritroviamo un -Daltonici presbiti, mendicanti di vista, il mercante di luce, il vostro oculista ora vuole soltanto clienti speciali che non sanno che farne di occhi normali.
In parole povere: Nietzsche aveva predetto l’andamento del mercato discografico mondale.
Cosa centra Britney Spears in tutto questo? Adesso ve lo spiego.
Proprio la biondina più amata d’America, passata da ragazza della porta accanto a calva consumatrice di crack, ha espresso il concetto dell’eterno ritorno in uno dei suoi testi più acclamati: Ops… l’ho fatto di nuovo.

Visto? Tutto torna e tutto tornerà e Britney lo farà di nuovo e di nuovo e di nuovo…

 

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Ferdinando de Martino

Nella mente della youtuber

Novantasette condivisioni. Novantotto.
Devo staccarmi un po’ da questo telefonino, altrimenti rischio di finire lobotomizzata.
-Scusa?
-Sì.
-Sai per caso dove si trova l’impasto per le torte?
-Guarda, infondo a destra, superi il reparto della pasta, vai dritto e a fianco alle bustine di tè trovi tutto l’occorrente per fare le torte.
-Ok, grazie.
-Lo vuoi un consiglio?
-Sì.
-Quella al cacao è perfetta se ci aggiungi le mandorle.
-Grazie. Mi sa che seguirò il tuo consiglio.
Il fatto è che sono proprio negata in cucina, quindi dovrei trovare il giusto ibrido tra una torta comprata e quelle fatte in casa. Impasti pronti e cose simili.
Centodue condivisioni. Basta con questo cazzo di telefono. La torta con le mandorle potrebbe essere una buona idea, anche perché quella ragazza sembra una vera intenditrice del campo, sarà intorno ai centocinque chili.
Chissà come dev’essere difficile convivere con quel peso? Beh, non è che qualcuno le ha proprio puntato un coltello alla gola, dicendo -Mangia e zitta.-.
Diciamo che ognuno costruisce il suo corpo un po’ come vuole e ne subisce gli eventuali risultati. Quando ho notato che in video venivo di merda, ho deciso di iscrivermi immediatamente in palestra e ho ottenuto i miei risultati.
Eccoci. Cacao, vaniglia, cazzate, cazzate, ah, questa sembra interessante. Anche il procedimento sembra facile.
Sì, fanculo, prendo questa e via. Non posso di certo passare la notte qui al supermercato notturno.
Maratona di American Horror Story in arrivo. Forse dovrei prendere della Cola dietetica. Il fatto è che non ho ancora capito se l’aspartame sia cancerogeno o no.
Comunque non siamo fatti per durare, come diceva Mel Gibson in “Brave heart”. Fanculo, aspartame come se non ci fosse un domani. Aspartame a chili o litri o qualsiasi altra forma.
Dovevo prendere un contenitore o un carrello, finisce sempre così quando vengo qui la notte; mi riprometto di prendere solo il minimo indispensabile e poi finisco con le mani incasinate.
In effetti dovrei prendere lo shampoo. Cazzo, devo per forza tornare a prendere il contenitore. No, niente shampoo. Cassa, casa e American Horror Story.
C’è un tizio buffo che sembra provarci con la cassiera. È abbastanza patetico, la guarda e senza che nessuno gli chieda niente se ne esce dicendo -Ehi Fede, lo sai che sono stato ammesso ad una scuola di recitazione?-.
Questa lo guarda con un’aria di sufficienza che sarebbe quasi da prendere a schiaffi. Cioè, non te lo devi mica scopare per forza, ma la gentilezza è d’obbligo. Se fosse alto un metro e novanta, con due pettorali di marmo, si sarebbe fermata sicuramente e avrebbe detto qualcosa come -Ma dai, io adoro la recitazione.- con un accento da oca giuliva del cazzo. Questa è la pura e semplice verità.
Pago ed esco, scontrando un tizio con le braccia tutte tatuate, chiedo scusa e torno verso casa.
Linda dorme e meno male, ne avevo fino alle punte dei capelli di ascoltare le sue patetiche messe in scena sulla fine del rapporto com Giovanni. Fanculo lei e fanculo Giovanni.
Centoquaranta e-mail. Commenti, commenti, commenti, condivisione, pubblicità, ok. Cioccolata calda e American Horror Story.
Domani per prima cosa devo ricordarmi di svuotare la macchina fotografica per il video e via.
No, aspetta, la torta. Devo fare la torta… che palle.
Spero solo che Linda non si svegli. Già c’ho i cazzi miei e non capisco proprio perché dovrei sorbirmi anche i cazzi di quell’altra? Avrò fatto qualcosa nella mia vita precedente o puttanate del genere, tipo chakra fottuti.
Probabilmente dovrei scoparmi Buddha. Buddha è la più trombabile di tutte le divinità.
Uno di quelli grassocci ma che ci sanno fare. Che poi lo so che non era davvero grasso, come Gesù non era davvero bianco, ma l’immaginario collettivo riesce ad imporre le proprie icone come verità; almeno così dicevano in quel corso propedeutico alla scrittura cinematografica che ho frequentato a maggio dello scorso anno. Che palle di corso.
-Ciao… che ci fai sveglia?
Cazzo, s’è svegliata la depressa del cazzo.
-Ciao piccola, sto facendo una torta per Massimo. Domani è il suo compleanno.
-Ok… meno male che sei sveglia. Ho bisogno di parlare.
Ma porco Dio.
-Certo piccola, a cosa servono le amiche altrimenti?

Quando qualcuno comincia a parlarmi di cose di cui non me ne può fregare di meno, io inizio a scollegare la testa. È uno scollegamento totale, nessuna parola entra nel mio cervello. Ogni tot dico qualcosa di generico, tipo -Non so che dire.- o -Che situazione.- e fino ad adesso sono sempre riuscita a cavarmela alla grande.
Il problema è che per fare la torta non posso scollegare del tutto la testa ed inevitabilmente, un po’ della merda sputata da Linda finirà per entrarmi nel cervello, inquinando il mio giardino zen.
Si, forse scoparmi Buddha riallineerebbe il mio karma. Oppure potrei scoparmi semplicemente un buddista.

 

 

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Tratto da “Market 24”.  Per leggere l’intera opera sul blog, cliccare il link: Romanzo completo .

Frammenti della generazione x |Ferdinando de Martino

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-Sai cosa? Certe volte penso che ci sia una sorta di piano divino secondo il quale quelli come noi devono, per forza di cause maggiori, vivere ai margini.
-Tipo le caste degli indiani?
-No… quelle le hanno decise gli uomini, io parlo di qualcosa di più trascendentale. Tipo il grande vecchio con la barba che se ne sta lassù, bello spaparanzato, a guardarci mentre ci scotenniamo a vicenda in un paese africano del cazzo, mentre arranchiamo per arrivare a fine mese in periferia, mentre esplodono le bombe e cazzate del genere.
-E quale sarebbe il nome della nostra casta?
-Quella dei fottuti.
-Mi piace. Passami lo spino.
-Sì… la casta dei fottuti. Infanzia da fottuti, adolescenza da fottuti, gioventù, maturità e vecchiaia da fottuti.
-Lo sai che ci pensavo proprio l’altra notte? È buffo. Stavo mettendo a posto i cartoni del latte e mi sono detta — Cazzo Marta… sei proprio fottuta!—.
-Esatto, è questo quello che intendo. Fottuti.
-Siamo tutti fottuti… anche loro.
-No, loro no. Loro riescono. Riescono sempre e comunque; chissà come cazzo fanno?
-Dobbiamo proprio sembrare patetici, visti dall’esterno. Una cicciona e un tipo tutto tatuato che fumano una canna d’erba dentro le uniformi verde pisello del supermercato notturno.
-Sembriamo dei vampiri proletari. Solamente gli scoppiati fanno la spesa a quest’ora! Chi cazzo vuoi che ci veda.
-Siamo invisibili.
-Ci vorrebbe una bella idea.
-Sì… non ho mai avuto belle idee. Ho avuto idee pessime, idee stupide, idee del cazzo, idee idiote e idee più stupide delle stupide standard, tipo uscire con quel ragazzo.
-È andata male?
-Come vuoi che sia andata? Sono una cicciona di merda. Le altre ragazze passano gli appuntamenti ad impedire che i ragazzi le infilino le mani dappertutto, mentre io devo quasi scongiurarli per farsi fare un pompino. Certe volte mi sento così umiliata.
-Io lo accetterei senza tanti complimenti un pompino da te.
-Grazie… è la cosa più romantica che mi sia mai stata detta.
-Eh, sì, è tutto come in Romeo e Giulietta.
-Non c’è niente di simile a Romeo e Giulietta nella nostra vita.
-Appunto… io Romeo e Giulietta l’ho sempre e solo guardato, esattamente come ho sempre guardato la vita: da spettatore.
-Sei la persona più intelligente che io conosca. Non capisco proprio perché tu sia finito qui.
-Perché sono una testa di cazzo. Un antisociale di merda.
-Tra poco dobbiamo riprendere a lavorare.
-Io quella lì la conosco.
-Chi?
-Quella. Cazzo, dove l’ho vista?
-Davvero? Dove l’ho vista? Non basta dire che te la vorresti fare con tutto te stesso? È una fica senza senso.
-Ok, è una fica senza senso, ciò non toglie che non mi ricordi dove l’abbia vista. Cazzo, non so perché l’associo a… a…
-Al pezzo di fica che è?
-No… l’associo a Jane Austen.
-Ok, associ quel pezzo di fica allo scrivere male. Tu sei da ricovero.
-La Austen non scriveva male.
-Che femminuccia che sei, Alf.
-Dai, attacchiamo?
-Sì, quest’erba mi ha proprio stonata.
-Un bel caffè non ce lo toglie nessuno.
-Ci serve una cazzo d’idea.

Dove diavolo l’ho vista? Non riesco proprio a ricordarlo.
Solitamente quando si vede un volto conosciuto si ricorda il luogo di un incontro o cose del genere, non Jane Austen. Perché poi proprio Jane Austen?
Detesto il reparto frutta e verdura con il suo sistema nazista di catalogazione per etichettatura che mette in imbarazzo i clienti.
Io non compro mai la frutta al supermercato, proprio perché mi sta sull’anima tutta questa storia dei guanti, dei sacchetti e dei pulsanti. È una rottura di palle innegabile.
Uno quando vuole fare la spesa non ha voglia di gettarsi in operazioni complesse e, soprattutto, non ha voglia di sentirsi uno stupido; per quello c’è già la vita.
Il reparto frutta e verdura è razzismo alimentare allo stato puro. La carne ha degli addetti, il pesce ha degli addetti e la verdura no. Per la verdura devi metterti un guanto, scegliere la qualità migliore, infilarla in un sacchetto, pesare il suddetto sacchetto e, infine, tornare al punto di partenza per leggere il codice che sicuramente non ricorderai mai, per inserirlo nella macchina sputa-scontrini.
Che palle. Sinceramente consiglio a tutti di fottere i supermercati con il peso. Se prendete un casco di banane, pesatene solamente una e facendo così, di banana in banana riuscirete a creare una voragine economica partendo dal dettaglio, costringendo gli alimentari dell’intero pianeta ad eliminare le macchine sputa scontrini, mettendo finalmente dei reparti frutta con degli addetti.
-Alfonso.- dice la voce stridula.
Solamente lui mi chiama Alfonso. Gli avrò detto milioni di volte —Chiamami Alf, perché Alfonso è da vecchio.—, ma lui… niente. Cazzo di voce stridula che non si può sentire.
-Dimmi pure.
-Ci sarebbe da portare le Puma Cola nel magazzino.
-Ok, finisco qui con la cassa della verdura e vado.
-Grazie mille, Alfonso.
-Non c’è di che. Certo che tu lo prendi proprio seriamente il tuo lavoro, eh?
-Certo, sai… un capo reparto ha tutto sulle sue spalle. È un lavoro con una certa rilevanza.
-Fai sul serio?
-Ognuno di noi qui dentro è un piccolo ingranaggio e quando tutti gli ingranaggi sono ben oleati, la macchina va bene, ma basta un piccolo ingranaggio difettoso per far saltare tutto in aria.
-Non credo che le macchine saltino in aria per un ingranaggio difettoso. Quella roba succede solamente nei film americani che ti piacciono tanto.
-Lo sai, Alfonso, che anche Brad Pitt ha iniziato lavorando in un supermercato?
-Ma dai, questa non la sapevo.
-Sai… non ci tengo a spargere la voce, ma una scuola di teatro mi ha ammesso ai suoi corsi. Hanno detto che sono talentuoso. Capito? Talentuoso.
-Wow, non dovresti tenertele per te tutte queste cose, dovresti dirle… soprattutto alle donne. Secondo me, ad esempio, dovresti dirlo a Federica… ti guarda sempre.
-No… dici che Federica mi guarda?
Il più grande talento dell’essere umano sta nel subordinare, pensate ad Hitler o a Charles Manson.
-Guarda, io so delle cose su Federica… facciamo così, vieni con me fuori, facciamo finta che io abbia bisogno di una mano per scaricare le Puma Cola e intanto ti racconto quello che ho scoperto su Federica. Ok?
-Grande, amico.

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Tratto da “Market 24” di Ferdinando de Martino.

Potete leggere l’intero romanzo cliccando sul link: LINK AL ROMANZO INTERO

Market 24 | il romanzo del web |

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Ecco a voi “Market 24”, un romanzo nato per il web.

I capitoli sottostanti delineano la prima parte del libro. Le parti saranno tre e verrano caricate tutte qui sul blog.

Se il progetto vi piace e se lo trovate interessante, vi chiedo il grande favore di condividerlo sulla vostra pagina Facebook e di consigliarlo ai vostri amici, perchè il web si basa sul passaparola mediatico e senza di questo è destinato a morire nel nulla.

Senza ulteriori indugi, ecco “Market 24”.

Buona lettura.

 

capitolo 1 market 24

capitolo 2 market 24

capitolo 3 market 24

capitolo 4 market 24

capitolo 5 market 24

 

 

Ferdinando de Martino.

 

MARKET 24 | il romanzo del web | Presentazione

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Com’è difficile parlare dei propri lavori…
Partiamo dal principio: avere un blog non serve a niente se non ci butti dentro materiale inedito.
Come molti di voi sanno, è da poco uscito il mio nuovo romanzo “Uroboro”, acquistabile dal sito di Eretica Edizioni. Scrivere Quel libro mi è servito per dimostrare di non essere un totale imbecille, vittima del postmodernismo e degli echi della beat generetion. Scrivere un romanzo lineare è stato divertente e gratificante e spero che il libro possa piacere a chi l’ha acquistato e a chi l’acquisterà in futuro.
Ci tengo a ringraziare chiunque abbia comprato i miei libri o supportato questo piccolo sito, perchè per quanto possa risultare stupido, non è per nulla semplice giocare a fare lo scrittore. È un lavoro estenuante, credetemi, ma nessuno mi ha puntato una pistola alla testa dicendomi -Distruggi la tua esistenza davanti ad un computer mentre gli altri vivono la vita vera.-, quindi è stata una scelta del tutto libera.
Mentre leggerete questo articolo, starò caricando sul blog un libro dal titolo “Market 24”.
Perchè? Semplice: perchè il mestiere dello scrittore è quello di arrivare al pubblico e per quanto ci piaccia credere che meno sei mainstream, più sei geniale, questa versione delle cose differisce molto dalla realtà.
La connessione tra la testa dello scrittore, nel momento in cui ha scritto il libro, e la testa del lettore nel momento in cui legge le parole su carta o foglio elettronico, è l’unico punto d’arrivo.
“Market 24” è un romanzo postmoderno di genere. Ecco… l’ho detto.
È un (tappatevi gli occhi intellettuali) thriller. Tuttavia, non vi saranno le solite scorciatoie e cazzate del genere appena citato, in quanto l’opera è a tutti gli effetti un lavoro singolare.
La storia c’è, ma non è il soggetto, perchè il soggetto sono i soggetti. Ganzo il gioco di parole, eh?
Il romanzo è stato pensato per il web, seguendo il modus operandi di Netflix, ovvero, avendo terminato la prima parte (di tre), ho deciso di caricarla interamente sul sito, dandovi l’opportunità di seguire il lavoro come e quando volete. Potrete leggerlo tutto d’un fiato, oppure frazionare la lettura secondo i vostri ritmi di lavoro.
Come dicevo, la storia è interamente narrata dal punto di vista dei singoli protagonisti, come se il lettore entrasse nella testa di ogni personaggio, ascoltandone i pensieri. Questo renderà difficile seguire la trama, semplificando però l’empatia. Questo è l’obbiettivo di “Market 24”, raccontare i personaggi più che la storia; impresa estremamente difficile per un romanzo di genere.
Ogni capitolo parlerà delle ore relative alle singole giornate dei personaggi, nell’arco di alcune settimane, regalandovi la prospettiva di ogni carattere all’interno dello stesso contesto.
Ogni personaggio avrà il suo modo di esprimersi e pensare, seguendo il tanto amato da noi feticisti della parola scritta, flusso di coscienza.
Ci sarà un pazzo, un altro pazzo un po’ più pazzo del primo, una youtuber, una cassiera, un poliziotto e… altri personaggi nella seconda parte, in produzione.
Ecco fatto. Adesso, dopo aver svelato tutto, mi sento molto più libero e felice di condividere con voi questo materiale inedito.
Anche perchè mi sembra maleducato produrre solamente cose a pagamento, sebbene io debba comunque mangiare, senza coltivare il blog come se fosse un lungo romanzo in continuo sviluppo.
Detto questo, non crediate che i lavori piovano dal cielo a noi scrittori, anzi… non piovono mai e quelli che piovono sono quasi esclusivamente cazzate erotiche e per cazzate erotiche, intendo: porno. Sì, per tirare a campare ho scritto anche porno.
Non voglio rubarvi altro tempo…
Se volete comprare il mio libro, potete comprarlo e spero che Ermand, il suo protagonista, possa allietare le vostre ore di lettura; mentre se volete leggere “Market 24”, dovrete semplicemente fare un giretto sul mio blog e iniziare la lettura.
Spero perdonerete gli eventuali refusi, dovuti alla produzione indipendente del lavoro e la narrazione scostante, dovuta all schiettamente postmoderna linea di prospettiva.

Ciao e grazie.
Ferdinando de Martino.

Filosofia da bar | il bar e la filosofia dei media | #9

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Siete mai capitati in un bar da soli? Magari nell’ora di pranzo, quando i lavoratori, le coppiette o i semplici amici se ne stanno a mangiare tutti assieme e allegramente?
Come vi ponete in una situazione del genere?
Ve lo dico io. Probabilmente fingerete di avere qualcosa da nascondere, qualcosa di brutto, come un passato da cui scappare o dei demoni da cui nascondersi. Lo sguardo cupo del solitario al bar è un classico e sapete perché? Perché mamma televisione e papà ego hanno generato in voi una sorta d’imprinting ideologico-filosofico con la figura del bar.
Pensate a Dylan (Beverly Hills 90210) quando mangiava da solo un megaburger al Peach Pitt, pensate a Ross e compagnia bella, tutti riuniti sui divani del Central Perk (locale al centro del telefilm), a bere litri e litri di caffè come sera tachicardia non esistesse oltreoceano. Tutti quei bar stagnano nei vostri ricordi, facendo si che l’aspettativa non venga mai tradita.
L’universo del bar si nutre delle vostre proiezioni, cambiando le liste dei cocktail e rifacendo gli interni in stile loft di Manhattan in locali che si trovano al Cep (noto quartiere genovese).
Nessuno di noi è immune da questa versione televisiva della vita che ci ripromettiamo all’interno di ogni bar in cui mettiamo piede. Le donne si sentono sempre un po’ Carrie Bradshow quando ordinano un Cosmopolitan e gli uomini diventano tutti Christian Troy, ordinando un whisky liscio al bancone del bar, pronti al rimorchio.
Gli sceneggiatori idealizzano da sempre il bar, proprio perché l’idealizzazione è la base di una buona sceneggiatura. La quasi totalità degli show di successo si basa sulla prevedibilità e sul cliché.
Questa potrebbe sembrarvi un’opinione forte, ma è la pura realtà. Quando Fonzie usciva dal bagno, fermandosi affianco al Jukebox, tutti noi sappiamo che di lì a breve avrebbe tirato un pugno sull’apparecchio, facendo partire una canzone rock&roll che finirà per ballare con la strappona di turno.
Questa tecnica non è del tutto inutile, in quanto serve a far relazionare un personaggio all’interno di uno spazio chiuso, risolvendo così la possibilità di doversi scervellare per trovare delle azioni nuove da farli fare ogni volta. Questo procedimento si sposa alla perfezione con la caratterizzazione dei protagonisti. Brian dei Griffin, ad esempio, è solito ripetere la frase -Quale gamba mi devo scopare per avere un Martini?-, ogni volta che si ritrova in un bar. L’agente speciale Gale Cooper della serie televisiva Twin Peaks, prendeva un caffè “nero come la notte più nera” e il suo atteggiamento tipicamente lynchano, carico di quell’allegria di fondo che non è mai del tutto spiegata, veniva quasi amplificato all’interno della tavola calda della cittadina di Twin Peaks. Memorabile la scena in cui Cooper spiega allo sceriffo una teoria secondo la quale, almeno una volta al giorno, un uomo dovrebbe farsi un regalo, nel suo caso quel regalo era una fetta di torta inaspettata.
Il bar idealizzato delle serie televisive ha l’intento di creare un posto ibrido tra il fuori e la casa. Prendere dei protagonisti mettendoli a proprio agio in un luogo esterno ma vicino al loro mondo fa si che lo spettatore si senta uno della combriccola… uno di casa.
Abbiamo visto nel primo capitolo di questo libro, che l’uomo tende ad andare al bar da solo per cercare il gruppo, un po’ come farebbe un pentito lupo solitario davanti ad un nuovo branco. In questo caso la vita finisce per ispirarsi al sotterfugio televisivo, forse influenzato da questo o forse no, ma la domanda più importante che possiamo porci è la seguente: é il bar che influenza la vita che influenzerà gli sceneggiatori, o sono le serie televisive che influenzano il pubblico che proietterà la propria visione di bar all’interno dei locali in cui solitamente si ritrova?
Il noi che proiettiamo all’interno del bar è pura e semplice aspettativa e quando l’aspettativa viene tradita, noi stessi ci sentiamo traditi.
La questione centrale è: da chi ci sentiamo traditi? Chi è che ci ha ingannato a tal punto da farci credere che ordinare un drink battendo un pugno sul bancone, gridando -Il solito.- avrebbe fatto di noi un figo, quando in realtà sembrano la versione più stupida di un imbecille?
È stata la tv? Noi stessi? Il nostro ego?
Il tradimento è uno dei fondamenti primordiali della nostra capacità di rapportarci con gli altri esseri umani, secondo il filosofo contemporaneo Mark Rowlands ed io ammetto di far parte di della stessa parrocchia.
Credo che il tradimento non venga né inflitto, né ricevuto, credo piuttosto che questo continuo tradire sia più che altro l’unico istinto che l’uomo non e mai riuscito debellare del tutto. Possiamo sforzarci quanto vogliamo ma la nostra capacità di tradire ed imbrogliare è superiore ad ogni altra nostra capacità e, probabilmente, la somma di tutti gli imbrogli visti in televisione prodotti da sceneggiatori, ascoltati in radio o addirittura imbrogli creati da noi stessi, ha creato una sorta di coscienza collettiva che riesce ad ambire a qualcosa solo se questo qualcosa è fondamentalmente una chimera.
L’imbroglio è la base dell’ambizione e, forse, senza la capacità d’imbrogliare, l’uomo smetterebbe anche di sognare.
Il lavoro dello sceneggiatore è il creare ambizione-sogni. Più lo spettatore finisce per immedesimarsi in un personaggio, più il prodotto televisivo si avvicina allo status di brand. Non è un caso che una parte dei guadagni degli show americani provenga dal merchandising. L’America tende a mitizzare ogni cosa e gli americani, vittima di questa mitizzazione, finiscono per santificare i loro prodotti.
Passiamo ad un esempio pratico. Cercate su Google le seguenti parole: Budda, Allah, Cristo, Madonna.
I primi tre risultati saranno di carattere religioso, mentre il terzo vi condurrà verso una miriade di siti e pagine contenenti le news riguardanti una pop star di Bay City.
Scrivendo Madonna su Google, non apparirà la vergine Maria, bensì una non tanto vergine signora Ciccone con annesse foto sexy. I primi due risultati consigliati dal trend di Google sono i seguenti:

1 Madonna.
2 Madonna si tocca.

Come può essere successo? Una pop star, riesce a rubare le indicizzazioni ad una delle donne più famose di tutta la religione?
Potrà sembrarvi ridicolo, ma dietro a questo risultato si nasconde il grande segreto della religione. Qual’è il grande segreto? La religione non esiste… la facciamo noi.
Abbiamo inventato Dio e dal nulla, questo Dio è diventato una delle entità più famose del pianeta, rubando il posto ad altre divinità come Zeus, Dioniso e Ares.
Sono gli uomini a santificare, ergo gli uomini sono gli unici in grado di attribuire la divinità a qualcuno o qualcosa, quando a livello teorico la divinità dovrebbe essere sopra ad ogni cosa. Il grande segreto è che la divinità è tale solamente quando viene riconosciuta o, per dirla meglio, inventata.
Il popolo è passato dalle immagini di una Madonna con la corona di spine e il rosario tra le mani, appesa sul comodini, alle immagini di una Madonna biondina che mostra i capezzoli alle folle per protestare in favore della scarcerazione delle Pussy Riot.
Il popolo è interessato ad una Madonna piuttosto che l’altra e allora il web, ovvero lo specchio del pensiero comune, indicizza lady Ciccone al posto di Maria la vergine. Semplice, no?
Il popolo ha creato un nuovo santo. Pensate alla frase di John Lennon -I Beatles sono più famosi di Gesù.-; se Lennon fosse ancora vivo, Madonna potrebbe sbattergli in faccia le indicizzazioni di Google e dimostrare che l’unica persona in grado di battere una divinità ha due tette di marmo e un faccino birichino.

 

Ferdinando de Martino.

PostErArt | Poster&pop e pittura digitale |

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Oggi voglio parlare di un progetto relativo alla pittura digitale.

Innanzitutto, vorrei esprimere il mio parere su tutto ciò che riguarda la digitalizzazione all’interno del campo pittorico.

Per quanto mi riguarda (Vittorio Sgarbi, non fulminarmi) la pittura digitale è la naturale evoluzione della Pop Art. Quando si contestualizza il termine pop, in un campo artistico, non si può che andare a parare sulla semplicità legata alla volontà di rendere un disegno “popolare”, laddove popolare vuol dire alla portata del popolo.

L’avvento dei poster ha dato la possibilità di appendere in casa propria delle copie d’opere d’arte o magari anche delle opere stesse, nate appositamente per il concept del poster.

La produzione in serie è arte? Il disegno digitale è arte? Un poster può essere arte?

Non esiste una risposta universale a queste domande, semplicemente perchè le domande in questione sono sbagliate. L’arte è tale solamente quando se ne discute e non ci sono giudici e giudicati, ma semplicemente canali tramite i quali esporre il proprio materiale.

Un ritratto digitale su poster può esprimere un concetto, quando il soggetto è un personaggio celebre, legato a qualche contestualizzazione particolare, come ad esempio “Kate Moss” qui sopra, paladina di una certa tipologia di bellezza che basa le sue fondamenta sull’imperfezione. L’immagine deve colpire a livello estetico e concettuale, ma deve farlo non rivolgendosi all’élite di acculturati esperti d’arte, bensì rivolgendosi letteralmente al popolo, perchè chiunque può commissionare un ritratto in formato poster ad un artista digitale.

È così che siamo passati dalle madonne su tela alle Marilyn prodotte in serie di Warhol. I passaggi che conducono da una tipologia d’arte all’altra, sono sotterranei.

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D’incanto un selfie può diventare un poster o una stampa su tela, grazie al retaggio culturale che i precursori della cultura pop hanno lasciato in noi poveri artigiani, perchè di artigianato stiamo parlando.

Essendo uno scrittore, nei miei poster cerco di ragionare in maniera “narrativa”, scegliendo con cura le foto da cui partire per lo schizzo, solamente perchè la pretesa del mio lavoro è quella di raccontare qualcosa, anche quando si utilizza un’immagine.

Un fotogramma di un film può, tramite la pittura digitale, divenire una riduzione di tutti i ricordi legati all’opera da cui è tratto, creando un lavoro che non sarà mai a sé stante, in quanto perennemente legato alla “popolarità” che il prodotto che ne sta alla base, si trascina appresso.

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Per ulteriori informazioni, per chiacchierare un po’ o per ordinare un poster, commissionare un ritratto e cose del genere… basta seguire i miei lavori su  POstErArt Facebook .

 

Ferdinando de Martino.

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Filosofia da bar #8 | CAFFÈ E RAZZISMO |

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Adesso andremo a trattare un argomento molto scottante, cercando di analizzarlo da un punto di vista filosofico: il razzismo.
Come in ogni capitolo, anche in questo partiremo dal bar.
-Scusi mi fa un macchiato caldo?
-Io vorrei un mocaccino.
-Cappuccio grazie.
-Ha del latte di soia?
-Espresso.
-Un americano, grazie.
-Un caffè d’orzo. ( prima o poi qualcuno dovrà spiegare a chi ordina un “caffè d’orzo” che l’orzo è orzo e il caffè è caffè ed ordinare un “caffè d’orzo” equivale ad ordinare un “mandarino di torta”)
-Per me doppio.
Queste sono solamente alcune delle ordinazioni che un qualunque barista riceverà durante la prima mattinata, quando l’italiano medio entrerà in un bar, deciso a prendere un caffè.
Quando invitate una persona a prendere un caffè con voi, magari per caffè intendete dire cappuccino o caffellatte, mocaccini e quant’altro ma per convenienza preferite non specificarlo. Questo atteggiamento è reputato normale se rapportato al caffè.
Proviamo adesso a rapportarlo a qualcos’altro. Per esempio, fingiamo che abbiate invitato un vostro amico o una vostra amica a mangiare una pizza fuori e una volta all’interno del ristorante designato, il vostro invitato o invitata si accorge che sul menù non compare la pizza. È probabile che questo o questa finisca per chiedervi -Ma non mi avevi invitato a mangiare una pizza fuori?
Questo fa di voi un bugiardo o una bugiarda? No. Questo fa di voi un o una qualunquista.
Molto spesso le parole che usiamo sono, per comodità, semplicemente degli input a cui la società ha modificato il significato. Il razzismo fa parte di questa categoria.
Quindi per capire il razzismo, bisognerà estrapolarlo dal suo concetto generico, cercando di analizzare cosa siamo noi rapportati al razzismo.
Diamo una nostra personale definizione di razzismo: discriminazione di una tipologia di individui in base alla loro etnia, estetica o estrazione culturale, spesso in relazione con determinati atteggiamenti derivanti dal contesto in cui sono cresciuti.
Vi va bene? Spero di sì, perché non ho voglia di mettermi a discutere sull’accademico significato del termine “razzismo” o di variazioni di genere.

Prendiamo due persone a cui viene chiesto se è giusto o sbagliato essere razzisti:

No, il razzismo è dettato dall’ignoranza.
Sì, il razzismo è intrinseco in ognuno di noi.

Entrambe queste risposte sono sbagliate.
Partiamo dalla prima. Abbiamo una persona che giudica il razzismo un preconcetto dettato dall’ignoranza e, quindi, possiamo definire questa persona un individuo non razzista.
Avendo tirato giù una definizione di razzismo, possiamo dire che questo individuo afferma di non discriminare nessuna tipologia di persona, basandosi sulla sua provenienza, etnia, e estrazione culturale con annessi comportamenti derivati.
Proviamo a porre a questo ipotetico individuo una nuova domanda -Daresti ad un ex pedofilo la possibilità di lavorare all’interno di una scuola materna?-, secondo voi cosa potrà mai rispondere?
-No, mi sembrerebbe stupido.
Quindi una persona che non discrimina nessuno, in base agli atteggiamenti provenienti di nicchie ristrette di estrazioni culturali differenti dalla sua, ha effettivamente discriminato un ex pedofilo, impedendogli di lavorare in una scuola materna. Perché l’ha fatto?
Perché reputava discriminante il fattore pedofilia, rapportato ad una scuola materna. Ovviamente il ragionamento di questo individuo è giusto, tuttavia è anche discriminante.
Poniamo una nuova domanda al nostro amico -Sposeresti più volentieri una ragazza magra o una estremamente grassa e calva?
Tutti noi conosciamo la risposta.
E questo atteggiamento non è forse discriminante verso l’estetica? Il prediligere le bionde alle rosse, non è a tutti gli effetti discriminare un gruppo, basandoci esclusivamente su di un fattore estetico o addirittura etnico? Però in questo caso la discriminazione è tollerata dal nostro individuo.
Questo dimostra che pur manifestando degli atteggiamenti riconducibili al razzismo, il nostro amico fa distinzione tra discriminazione e discriminazione; in pratica discrimina certe discriminazioni.
Se al sottoscritto chiedete -Preferisci le bianche o le nere?-, credetemi, non esiterei un solo secondo, essendo un amante del ceppo africano. Questo è, tuttavia, un atteggiamento razzista, cioè riconducibile alla discriminazione delle etnie che il sottoscritto cataloga meno belle.
Quindi, forse, il secondo interrogato aveva ragione. Il razzismo è giusto, perché intrinseco dentro di noi.
No, anche questa risposta è sbagliata. L’uomo è in grado di discriminare le persone in base ad estrazione culturale, fattori estetici, colore della pelle, nazionalità di provenienza, ideologie di base e quant’altro, ma è anche capace di generalizzare a tal punto da definire il caffè, orzo.
La risposta giusta è, probabilmente, la seguente: Il razzismo non è né giusto, né sbagliato. Il razzismo è.
È, in quanto è un termine coniato per definire un concetto, quindi, esistente.
Il razzismo esiste, esattamente come esiste l’aracnofobia o il panettone e non è né giusto, né sbagliato, in quanto il concetto di giusto e sbagliato è talmente soggettivo da essere riconducibile al rapporto generico tra orzo, caffè, mocaccino, cappuccino e latte di soia.

 

 

Ferdinando de Martino.