scrittore

BAR-SOFIA | Filosofia da bar. #1

PREFAZIONE.

Tanto per cominciare: non sono un filosofo.

Non sono laureato in filosofia e tutto ciò che conosco e non conosco di questa materia, proviene esclusivamente dal mio striminzito bagaglio culturale e dagli studi delle scuole superiori.

Ad onor di causa dovrei precisare che i ricordi delle superiori sono alquanto annebbiati dalle canne e dalla birra.

Dio benedica lo spirito adolescenziale.

Sicuramente gli accademici e i laureati in filosofia troveranno da ridire sulle mie riflessioni, sorridendo, probabilmente, della banalità che si nasconde dietro le mie parole.

Voglio ricordare, però, che la cultura di questi accademici viene dalle borsette delle loro madri, disposte a pagare ingenti somme di denaro per permettere ai loro figli di crearsi un bagaglio culturale atto forgiare in loro una tempra morale, trasformandoli in individui migliori. Ecco… non credo che sorridere, vantando una cultura d’élite che non tutti possono vantare, per questioni economiche, sia un’azione degna d’una persona migliore della massa “ignorante” che ci circonda. Molto spesso le madri dei laureati in filosofia si accorgono dell’enorme cazzata che hanno fatto, mandando i loro figli all’università, quando al posto di eruditi e magnanimi studiosi, si ritrovano in casa dei supponenti e petulanti arrogantelli che solamente qualche cinghiata potrebbe raddrizzare.

Ricordo, inoltre, a questi accademici, che tutta questa ridondante cultura proviene da libri scritti da altrettanti accademici e credo che non ci sia bisogno di rammentare a questi geni della filosofia, che un certo Socrate detestasse con tutto se stesso i libri e l’arte dello scrivere.

Quindi, state pure sereni, Socrate avrebbe schifato sia  voi che me. Voi in quanto detentori di una cultura tratta dai libri e me in quanto scrittore.

Detto questo, auguro a tutti i non-eruditi una buona lettura.

Ferdinando de Martino.

 

Letture consigliate dall’Infernale:

 

IL BAR COME CONCETTO.

Il bar è uno dei più grandi cliché della narrativa. Cinema, letteratura tradizionale e a fumetti, televisione e teatro tendono ad utilizzare, spesso, il bar più come una sorta di concetto che come un luogo vero e proprio.

Se in un racconto o in una puntata del vostro serial preferito, un investigatore privato si trova all’interno di un bar è per via degli stereotipi che la sua figura rappresenta, rapportata al concetto di bar.

L’investigatore, al contrario del poliziotto, è quasi sempre un outsider (come spiega Poe in uno dei suoi saggi di scrittura) e come ogni outsider che si rispetti, scappa sempre da qualcosa; questo “qualcosa” potrebbe essere un passato da dimenticare, dei cari persi in qualche strano incidente e via dicendo. L’epicentro del discorso è “lo scappare”.

L’investigatore scapperà sempre da qualcosa o da qualcuno. Ora, l’escamotage del bar attribuisce allo “scappare” una nota di tragedia interiore; come se il bar fosse l’unico posto in cui l’investigatore può permettersi di “scappare” senza muoversi.

Quell’uomo avvolto dal suo trench, potrebbe bere in casa sua o addirittura nel suo studio, ma no… lui preferisce il bar.

 

BAR+INVESTIGATORE, genera  TRAGICITÀ

 

Ogni figura, nella narrativa,  ha una sua personale connotazione all’interno del bar. Una donna altolocata, che solitamente entra in un bar sempre e solo per cercare qualcuno, controllerà la polvere sul bancone e scruterà con sdegno il bicchiere di Coca Cola o acqua, che ordinerà solamente per educazione e non per sete.

L’arte, al contrario della filosofia, dev’essere lo specchio della società, mentre la filosofia rappresenta la lente d’ingrandimento di questa. Ecco perché l’arte e la filosofia sono da sempre alleate. In fin dei conti, sempre di lenti si parla.

Essendo l’arte, specchio dell’intera società, la riproduzione artistica del bar deve, in qualche modo, rifarsi all’idea reale di bar.  Questo vuol dire che il bar, altro non è che un luogo atto a stereotipizzare ogni individuo? Esatto.

Il bar è la perfetta riproduzione di una piazza greca. Al giorno d’oggi esistono molte piazze, Facebook è l’emblema di queste, ma al contrario del noto social network, il bar riesce a tirar fuori le nostre debolezze, cosa che Facebook cerca di eludere, mostrando i nostri bicipiti e le nostre cosce mentre fingiamo di essere ai Caraibi, durante un pernottamento a Spotorno.

Nei bar tutti hanno qualcosa da dire e lo fanno coi loro atteggiamenti.

Immaginate di trovarvi in questo preciso istante all’interno di un bar, diciamo… con un paio d’amici, intenti a farvi una birretta.

Vedete quel gruppo di ragazzi, lì? Due tavoli a fianco al vostro? Bene.

Sono in cinque e tutti stanno chiacchierando. L’argomento non è importante, quello che è importante è l’atteggiamento.

Se all’interno della comitiva, qualcuno inizierà ad alzare il tono della voce, magari ridendo o scherzando, ecco, quello è l’individuo più solo del gruppo. Ovviamente non sto parlando di un singolo episodio, ma di ripetute dimostrazioni di superiorità canora che andranno a dimostrare quanto da me sostenuto.

Che bisogno c’è di alzare la voce? Che bisogno c’è di essere quello che grida più di tutti, quando segna l’Inter? Che bisogno c’è di ordinare da bere con voce gutturale? La risposta è una ed una soltanto: la solitudine.

Il bar tende ad estremizzare tutto, specialmente quando si passa al secondo bicchiere; solitudine, terrore, amore, invidia, perfidia, tutto verrà estremizzato da quell’ambiente in cui la competizione è silenziosa e serpentina.

Molti sarebbero portati a credere che il più solo del locale sia il tizio che inizia a raccontare la propria vita al primo sconosciuto, ma non è così, in quanto chi ha qualcosa da raccontare, raramente alza la voce. Le tonalità alte rappresentano l’arma di chi non ha un cazzo da raccontare, perché quel poco che si ha, lo si cerca di vendere in maniera altisonante.

La voce degli ambulanti che gracchia dagli altoparlanti -Donne è arrivato l’arrotino.-, ne è la dimostrazione più eloquente.

Credetemi, amici… il bar smaschererà tutti, se gli darete il tempo di farlo.

Tutto il mio discorso si basa sull’apparenza e molti di voi saranno portati a pensare che giudicare dall’apparenza sia uno degli errori più grossolani per una persona. Beh, chi la pensa così, commette un grossolano errore di calcolo.

È stato M. Heidegger a dire -Ciò che non si manifesta nel modo in cui non si manifesta l’apparenza, non può neppure sembrare, esser parvenza.-, ed io la penso esattamente come lui.

L’apparenza descrive alla perfezione l’individualità dell’essere. Dall’apparenza possiamo dedurre i gusti musicali, le ideologie politiche e perché no, anche le tendenze sessuali.

Possiamo tranquillamente asserire che l’apparenza è, a tutti gli effetti, la carta d’identità dell’essere.

Il bar rende più semplice risalire all’essere, enfatizzando l’apparenza.

Addentrandosi in questa foresta di pensieri, si potranno scoprire una miriade di nozioni che potranno tornare utili all’animale da bar.

Il mercoledì sera, ad esempio, è più semplice rimorchiare nei bar. Prima di darmi contro, pensate a tutte le volte in cui avete rimorchiato in un bar o, se non è mai successo, pensate a tutte le volte che i vostri amici hanno rimorchiato all’interno di un bar.  Quanti di questi rimorchi hanno avuto luogo durante un mercoledì sera? Ecco.

Il motivo è semplice ed è estremamente radicato nella filosofia da bar: siamo la generazione della pausa.

Siamo i messicani delle generazioni. Prima di additarmi come razzista per aver sostenuto che i messicani siano pigri, lasciatemi il tempo di spiegare questa mia affermazione.

Chiunque sostenga che i messicani non sono pigri, o non ha mai conosciuto un messicano o non ha mai ragionato sulla derivazione del termine, spagnoleggiante, “siesta”. Se questo non bastasse, vi porterò un altro esempio.

I messicani hanno inventato uno strumento musicale chiamato Kahon, strumento che consiste, praticamente, in una scatola su cui sedersi. La musica nasce dal battere le mani sulla suddetta scatola. Ok. Dopo aver dimostrato di non essere razzista, ma solamente obbiettivo, posso tornare al saggio.

Siamo la generazione della pausa. I nostri videogiochi hanno sempre la possibilità di fermare il gioco per fumare una sigaretta e se credete che sia sempre stato così, non avete mai giocato a Pac-man.

Pac-man non aveva l’opzione pausa. Pac-man ti logorava il cervello. È per questo che i rimorchiatori degli anni ottanta uscivano di sabato e non di mercoledì; perché il fine settimana era dedicato al divertimento.

La nostra generazione ha bisogno di una pausa settimanale per “tirare avanti” e così, il mercoledì è diventato il giorno designato a questa pausa dallo stress della vita. E cosa fanno le donne quando sono stressate?

Adesso, probabilmente, mi ritroverò nella merda fino al collo: ehi, dopo i messicani non vorrai mica stereotipizzare anche le donne?

Amici, le regole del gioco non le ho fatte io… è stato il bar. Quel posto con le insegne luminose, tira fuori la verità dalle persone e se le donne sono più inclini a scacciare lo stress facendo l’amore non è colpa del sottoscritto. Gli uomini farebbero l’amore anche per scacciare l’amore stesso. Visto? siamo tutti degli stereotipi, no?

####

 

Ferdinando de Martino.

 

Compra il libro dell’autore di BAR-SOFIA:

 

Gestire un BLOG | l’importanza del diario.

Che tu sia uno scrittore o un blogger poco importa, ciò che davvero ti renderà unico sarà il tuo diario.

Tenere un diario è la palestra dello scrittore. Quando parlo del diario, in realtà mi riferisco a due diverse tipologie di diari o quaderni o come diavolo preferite chiamarli.

Il primo diario dovrebbe essere quello in cui si annotano le riflessioni e gli spunti per gli articoli o le linee guida per la stesura di un romanzo. Segnare tutto quanto su carta è di vitale importanza per dare al nostro cervello la possibilità di dimenticare ciò che abbiamo pensato, dandogli la possibilità di creare nuovi pensieri.

               TENERE UN DIARIO È LA PALESTRA DELLO SCRITTORE

 

Questo “creare” in continuazione, però, non è sempre un bene. L’ottanta per cento di ciò che andremo a pensare sarà semplice spazzatura intellettuale con qualche piccola pepita d’oro sparpagliata nel pattume.

Proprio per questo il secondo diario è quello più importante per uno scrittore, perché la vera palestra dello scrittore è lo scrivere di getto o, se vogliamo metterla meglio,  il flusso di coscienza tanto caro a Joyce.

Lavorare al secondo diario sarà un po’ come buttare l’immondizia, per poi fare un cernita di ciò che potrebbe essere rielaborato sul primo diario e, eventualmente, finire su di un blog che gli utenti andranno a leggere.

L’allenamento continuo è anche una delle migliori armi per combattere il famigerato blocco dello scrittore, drago che da sempre cerca di abbrustolire i cavalieri della letteratura.

La vostra penna sarà una lancia che dovrete usare per sconfiggere il suddetto drago, impedendo al blocco di minare la vostra autostima.


fat_planner_2_698

Il segreto di un buon blog è la continuità, legata alla creazione di contenuti che i vostri lettori troveranno utili. Ricordate che un blog non vive sulle visualizzazioni momentanee, sebbene tutti noi attendiamo con ansia che il contatore delle visite giornaliere salga a dismisura, ciò che mantiene in vita un blog è l’affluenza continua del suo pubblico.

                           L’ALLENAMENTO CONTINUO È L’ARMA MIGLIORE

Analizzare le richieste del pubblico creerà un rapporto diretto tra blogger e utenti, lasciando che la connessione tra menti divenga più importante delle connessioni ADSL.

Ovviamente ci sono delle tecniche mirate per la creazione di contenuti, per queste ho intenzione di scrivere un articolo a parte, sperando che possa risultare utile a qualcuno.

 

Se ti è piaciuto l’articolo, forse può interessarti: COME PUBBLICARE UN LIBRO

 

Ferdinando de Martino.

 

Scrittura creativa | LA CREAZIONE DEL PERSONAGGIO.

Per la creazione di un personaggio bisogna avere le idee ben chiare.

Ricordate che gli atteggiamenti di un protagonista vanno ad influire sulla capacita del lettore d’immedesimarsi o non immedesimarsi nel vostro figlioccio di carta stampata.

In una serie di racconti gialli da me scritti per il pubblico del web, la serie con protagonista Federico Nicoletti, gli atteggiamenti del protagonista hanno decretato il successo (per i canoni del web) del prodotto.

Quando creai il protagonista della serie, mi affidai ciecamente alle pagine di un saggio di Poe, in cui l’autore spiegava che in un racconto giallo, il protagonista deve sempre essere un outsider che vive la sua vita al di fuori dell’apparato di polizia. Questo dà al protagonista la possibilità di eseguire azioni illegali, per arrivare ad un fine che giustifichi il suo atteggiamento poco convenzionale.

Questo è un consiglio di base, perché il vero dramma è il carattere. L’unica tecnica che conosco è quella di entrare nella mente del mio personaggio (protagonista o semplice comparsa), cercando di captare i suoi pensieri e, soprattutto, i suoi atteggiamenti e i suoi gusti.

                                                   IL VERO DRAMMA È IL CARATTERE.

 

Cosa ordinerà al ristorante? È vegetariano? È etero o gay? Quale squadra tifa? Dorme bene la notte? Pensa mai al suicidio? Quali saranno le sue idee politiche? Preferisce una dieta a base di carboidrati o proteine?

Queste sono domande poco utili ai fini della storia, ma conoscere a fondo il nostro personaggio ci aiuterà a farlo muovere con più dimestichezza nell’universo che gli andremo a disegnare attorno.

assistente-di-uno-scrittore

Ricordatevi che creare un personaggio è un po’ come mettere al mondo un figlio e che ogni comparsa merita la dovuta attenzione.

Entrare nelle paranoie, nelle ossessioni e nelle elucubrazioni del vostro personaggio  in questione, vi renderà una sola cosa e riuscirete “assieme” a gestire le pagine del romanzo o racconto a cui state lavorando.

                                                    Entrate nelle sue ossessioni.

Sviluppare empatia verso una storia è praticamente impossibile e i personaggi sono l’unico appiglio emotivo per rendere viscerali le situazioni; perché un proiettile volante che colpisce un uomo al bar è niente, mentre un proiettile che colpisce un padre di famiglia, col vizio del gioco, che quel giorno aveva vinto il primo premio della lotteria, nascondendo alla moglie la sua giocata per paura che questa lo sgridasse, è un ottimo inizio per una storia.

 

Ferdinando de Martino.

ZETA | Cos’è? | chiarimenti e spiegazioni.

Attorno a questo progetto indipendente (creato da ma e mio cugino Daniele Nicoletti), ci sono molti punti che, probabilmente, vi avranno lasciati perplessi. Vuoi per i video enigmatici che abbiamo rilasciato nei giorni precedenti e vuoi per le descrizioni all’acqua di rose rilasciate dal sottoscritto, ma non posso negare che una sorta di grosso interrogativo continui a veleggiare verso le nostre teste.

Il suddetto interrogativo è: cos’è ZETA?

Cercherò di essere il più chiaro possibile, impegnandomi a descrivere un progetto che a tratti potrebbe sembrare indescrivibile. Insomma… per una volta cercherò di fare la persona seria.

Zeta è un libro, un fumetto e un disco musicale. Non voglio incasinarvi ancora prima di partire, quindi spiegherò una volta per tutte le peculiarità di questo progetto.

Zeta seguirà la struttura di un reportage giornalistico in divenire. In parole povere: leggerete la stesura di un reportage come se quell’articolo lo stesse scrivendo “Jonatan”, uno dei protagonisti del libro, in quel preciso istante.

Ogni qual volta Jonatan terminerà di scrivere una parte del reportage, allontanandosi dal suo tablet, partirà il fumetto che andrà a seguire le vicissitudini della storia in tempo reale. L’escamotage del fumetto darà, anche, l’opportunità al lettore di trovarsi faccia a faccia con le visioni oniriche dei protagonisti della storia.

15872_1644889479091665_8958573713339839364_n

Il reportage di Jonatan tratterà, come argomento principale, la vita e la scalata al successo di Leonardo Vittore, creatore di ZETA.

La ZETA PI ESSE è una sostanza  che, nell’universo in cui è ambientata la storia, ha cambiato radicalmente la vita di molte persone. Trattasi di una droga auto-immune che… (no… questo non ve lo voglio svelare. Comunque è molto interessante come concetto. Vi conviene davvero comprare il libro)

Leonardo Vittore è uno scienziato, oltre ad essere il compositore di un disco musicale dietro al quale si è creato una sorta di culto. All’interno del libro, più e più volte, i protagonisti si ritroveranno ad ascoltare le canzoni di questo disco e voi, cari amici, potrete ascoltare le stesse note, nello stesso momento, grazie al disco che troverete in “ZETA”.

Potrete leggere ciò che viene scritto dal protagonista, vedere la sua vita disegnata e infine… ascoltare le canzoni di Leonardo Vittore, vivendo così le sue stesse emozioni.

Non ci sarà, ovviamente, una modalità corretta per leggere il prodotto… potrete ascoltare le musiche durante la lettura o quando preferite; il nostro scopo era quello di creare un lavoro di meta-letteratura senza precedenti.

 

Ovviamente ci sarebbero altre cose di cui discutere, “capitalismo2”, ad esempio, oppure la visione distopica  dell’universo in cui è ambientato il libro, ma non vogliamo esprimerci più di tanto.

Il nostro scopo è incuriosire, perchè senza la curiosità, Ulisse sarebbe stato un personaggio qualunque.

(non dimenticate  di seguire la nostra pagina Facebook https://www.facebook.com/zetapiesse)

Cordiali saluti. Ferdinando de Martino.

UROBORO | il nuovo romanzo di Ferdinando de Martino (cioè io).

Gentili lettori, amici e conoscenti, sono felice di poter comunicare una nuova notizia agli affezionati dell’infernale.

Al momento mi trovo impegnato a leggere le bozze corrette del mio nuovo romanzo “UROBORO”. Ebbene sì, un nuovo romanzo è in arrivo e sono molto contento di parlarne con voi.

Ho iniziato a scrivere “UROBORO” in maniera molto metodica e razionale, cambiando le mie abitudini e i miei ritmi lavorativi. La prima stesura mi ha portato via circa sette mesi di lavoro; sette mesi in cui ho dedicato a questo progetto quattro ore giornaliere.

L’unica cosa che posso dire a riguardo di questo nuovo percorso è che la persona che ha iniziato a scrivere questo libro non è la stessa che l’ha terminato. Lavorare a questo progetto mi ha cambiato radicalmente e non parlo di cambiamenti positivi o negativi, qui si parla semplicemente di cambiamenti.

Ho riversato in questo progetto tutte le mie energie come mai avevo fatto prima, forte della pazienza che VOI avete avuto nei miei confronti e nei confronti del mio lavoro.

Chi legge questo blog in cui ho postato decine di racconti gratuiti, chi ha comprato i racconti in formato e-book, chi ha comprato i miei precedenti romanzi e soprattuto grazie a tutti quelli che mi hanno scritto le loro impressioni e le loro osservazioni tramite Mail; è grazie a tutta questa gente che ho trovato la forza di dedicarmi ad un progetto così impegnativo.

Per la prima volta ho sentito il peso di non deludere e se da un lato questa cosa mi ha quasi distrutto, dall’altro lato mi ha fatto sentire quasi un’immortale. A qualcuno potrebbe sembrare una sciocchezza, ma i vostri commenti, le vostre mail, le vostre telefonate e i vostri consigli mi hanno cambiato profondamente, dandomi una forza spirituale senza precedenti.

Ogni volta che avete letto un mio racconto, anche se l’avete ritenuto un racconto di merda, avete accolto nella vostra mente quello che per me rappresenta un figlio. Avete adottato i miei figli ed io non ve ne sarò mai grato abbastanza.

Il web mi ha insegnato anche a non essere un morto di visualizzazioni, perchè tra un morto di visualizzazioni e uno squalo dell’editoria c’è pochissima differenza.

Proprio per questo ci tengo a precisare una cosa che mi preme particolarmente. Non intendo assolutamente  radicarmi in un settore editoriale e stop; il mio lavoro continua, seguendo come al solito la mia etica di pensiero (giusta o sbagliata che sia). Ho intenzione di dividere la mia carriera tra le pubblicazioni e i progetti indipendenti. Il mio mestiere è il produrre materiale, fine. Quando qualcuno mi propone un buon contratto, accetto e quando nessuno me lo propone… mi muovo di conseguenza  per creare qualcosa d’indipendente.

Questo è il mio modo di lavorare ed è l’unico che conosco. Probabilmente non farò mai i milioni, ma per me il lettore rimane l’epicentro della storia.

Odio tutti quegli scrittori che tendono a distaccarsi dai propri lettori. Li reputo scialbi.

Per quanto riguarda “UROBORO”, posso ritenermi contento del fatto che non sia un lavoro indipendente perché sentivo in prima persona la necessita di un editing canonico per l’opera.

Quindi… grazie a voi.

Spero vivamente che chi comprerà UROBORO non rimarrà deluso.

 

Ferdinando de Martino.

images-7

Un GIALLO FASCISTA. Di Ferdinando de Martino

Cari lettori, da un po’ di tempo non mi dilettavo in un progetto narrativo “nuovo” esclusivo per il blog e per questo chiedo venia.

Mi trovavo dietro alle correzioni del mio ultimo romanzo e, credetemi, quello sì che è un lavoro estenuante. Tuttavia, avendo terminato questo lavoro, ho deciso di buttarmi immediatamente in un nuovo progetto narrativo, esclusivamente per voi lettori del blog.

Il progetto avrà il titolo di “Giallo fascista” e sarà un thriller ambientato  nel ventennio italiano.

p025_0_1

Metterò in questo lavoro tutta la mia passione e tutto il mio entusiasmo e se voi mi regalerete la vostra attenzione, sono sicuro che potremo divertirci, passando tutti assieme un po’ di tempo nel mondo della narrativa.

Il progetto uscirà a puntate, e tratterà l’argomento cardine della letteratura thriller… gli omicidi…

Quindi, tanto sangue e un’Italia del passato.

Personalmente sono elettrizzato all’idea di buttarmi in questo nuovo progetto, soprattutto grazie al feedback nato dalla mia vecchia serie del tanto amato Federico Nicoletti. Spero di non deludere le aspettative dei miei lettori e di guadagnare la fiducia di qualche nuovo lettore.

 

Cordiali saluti, Ferdinando de Martino.

Hunter S. Thompson. Doc. Gonzo.

Hunter Stockton Thompson (Louisville, 1937, Woody Creek 2005) è stato uno scrittore e giornalista statunitense, inventore del genere “gonzo journalism”.

Sebbene, spesso, questo scrittore venga preso sotto gamba dagli accademici, il suo lavoro ha avuto un impatto notevole sia in ambito letterario che giornalistico.

Il gonzo journalism racchiude lo spirito del giornalismo tradizionale, associato ad una forte dose di pareri personali, sommersi a loro volta da una caterva di fantasiosi espedienti creativi, del tutto simili alla forma del racconto.

Ciò che personalmente trovavo amabile nell’animo di Thompson, era il suo “non essere” scrittore. Niente atteggiamento da saccente erudito, niente spocchia e soprattutto niente richiami letterari, Thompson aveva come unica musa la sua immaginazione, spesso aiutata da qualche narcotico. La sua occupazione era quella di spettatore americano, uno spettatore dotato di una macchina da scrivere pronta e carica di rulli, come un mitragliatore puntato sulla società.

Il suo lavoro più conosciuto, grazie alla trasposizione cinematografica di Terry Gilliam, è senza dubbio Paura e disgusto a Las Vegas, libro nato come cronaca della corsa MINT 400, rifiutatogli dal giornale che l’aveva commissionato e in seguito, pubblicato a puntate dalla rivista Rollingstone.

L’opera visionaria di questo scrittore americano è stilisticamente unica, non esistono lavori simili, per genialità o per l’eccezionale uso di linguaggio scientifico applicato al mondo delle droghe.

Se cercate qualche sua fotografia in internet, non troverete molti scatti del compianto Thompson assieme ad altri letterati, ma troverete milioni di immagini assieme a motociclisti, attori di Hollywood, tossicomani, pazzi e persone vere. Non troverete nemmeno uno scatto di sobrietà, troverete un intero reportage gonzo sulla sua vita… la vita di un genio totalmente pazzo.

hunter-thompson-6

Come consiglio personale, invito tutti a stapparsi una birra, sfogliando uno qualsiasi dei libri di Thompson, giusto per non tralasciare uno dei più grandi esponenti di un genere letterario che racchiude solamente lui.

Ferdinando de Martino.

Jim Carroll, il poeta, l’eroina e una città di forsennati.

Jim Carroll fa parte di quel versante letterario che spesso viene tralasciato dagli insegnanti e dagli ambienti accademici, vuoi per la sua visione cruda e vivida del degrado emotivo e non, vuoi per il suo eccessivo uso di soliloqui davanti alla bellezza della sua città o probabilmente perchè una classe di inebetiti quattordicenni sarà sempre più facile da gestire di una classe di quattordicenni intelligenti e acculturati.

Jim Carroll, il “ragazzo cattolico”, il poeta eroinomane che ha messo in ginocchio i romanzieri dell’intero pianeta, quando a soli tredici anni iniziò a scrivere  “The basketball diaries, nasce a New York nel 1949 per poi spegnersi l’11 settembre del 2009, sempre nella sua amata New York.

Il nome di Carrol è da sempre sinonimo di estro creativo, l’estro di un osservatore della vita, uno scrutatore che appuntava sui suoi quaderni tutto ciò che il mondo gli faceva passare affianco, dipingendo le parole come solo un odierno Van Gogh avrebbe saputo fare.

27carroll500.1

Questo ragazzo troppo magro, troppo alto, troppo rosso, troppo affascinante, ha vissuto la vita come se questa fosse un lungo eccesso, non ha caso, uno dei temi principali della sua opera è appunto la droga, intesa non come metafora della vita, ma come metafora della “sua” vita.

Quando ci si trova davanti a “The basketball diaries”, un solo pensiero s’impadronisce del nostro cervello -Ehi, ma questo ragazzino aveva davvero tredici anni?-. Sì, aveva solamente tredici anni.

Jim, la sua New York, i suoi taxi e il suo Central Park, l’intero immaginario di una città che sembra costruita all’interno della sua immaginazione, solo per essere romanzata dalla sua penna… il lavoro di Carroll ha lasciato sgomente intere generazioni di scrittori, inermi d’innanzi al suo talento.

Kerouack disse:  Jim Carrol a tredici anni, scrive meglio dell’ottanta per cento dei romanzieri del pianeta.

La visione di Patti Smith, intenta a cantare Pepole who died della Jim Carroll band, al suo funerale è stata la perfetta chiusura di una vita vissuta al cospetto dell’arte, in ogni sua forma.

L’irreprensibile Carroll, poeta, romanziere, cantante, drammaturgo e diarista, si spegne davanti alla sua scrivania, facendo ciò che amava fare più d’ogni altra cosa: scrivere.

Era l’11 settembre 2009, una data molto particolare per un newyorkese, quasi come se l’empatia l’avesse voluto cucire ancora di più all’asfalto e al cemento di una città che lui stesso aveva costruito e ricostruito più e più volte nei suoi libri.

Sulla sua lapide l’epitaffio recita : quando lo spirito grasce più del corpo, viene chiamato a casa.

Jim Carroll è e rimarrà per sempre il poeta punk che i suoi lettori hanno imparato ad amare.

Ferdinando de Martino.

Dissidente romantico, anarchico cyberpunk o giornalista? JULIAN ASSANGE.

Julian Assange, all’anagrafe Julian Paul Assange 1973 Townswille, è una delle personalità più discusse del pianeta. C’è chi ha proposto il suo nome per la nomina a premio nobel per la pace e chi lo considera alla stregua dei terroristi più beceri, ma chi è veramente Assange?

Personalmente credo che Assange, oltre ad essere uno degli Hacker più influenti del mondo, sia il miglior giornalista dalla dipartita di Indro Montanelli. L’impegno da militante e capo redattore di WikiLeaks ha regalato al mondo una ventata di realtà ai limiti del surreale.

Chiunque decida di gettarsi nel mondo della stampa elettronica, dovrebbe avere una foto di questo personaggio come santino, alla sinistra del computer.

Il dissidente romantico, l’anarchico cyberpunk che con il suo operato ha fatto  chiudere i battenti ad una banca islandese, per poi mettere in ginocchio la credibilità dell’esercito statunitense, sputtanando infine uno sceicco somalo, mandante di una serie di omicidi politici, ha senza dubbio dei grossi meriti nel settore giornalistico.

Ma la leggenda di WikiLeaks non ha certo bisogno che un blogger e scrittore da strapazzo ne racconti le gesta; preferirei, infatti, soffermarmi sulla figura di Assange e sul suo modo di operare.

Ricordo a tutti i lettori dell’Infernale che al momento Jiulian Assange, vive relegato a Londra, nell’ambasciata dell’Ecuador, impossibilitato a metter piede sul territorio britannico.

Assange, non è un pirata informatico in cerca di fama e denaro, in quanto Wikileaks non è un sito sovvenzionato da pubblicità o governi e il massimo che ha fatto guadagnare al suo Cofondatore è una serie di arresti e la detenzione in  un’ambasciata.

Julian assange è sì un dissidente, un anarchico e un hacker che a soli sedici anni riuscì a violare la sicurezza dei computer della nasa; ma più di ogni altra cosa  è un giornalista, o se vogliamo… l’unico giornalista del nostro pianeta.

102966298PM001_JULIAN_ASSAN

Sono pronto a prendermi tutte le responsabilità della mia affermazione, in quanto il lavoro del giornalista dovrebbe essere quello di mostrare la realtà al mondo, facendosi cavaliere al servizio della VERITÅ.

Ora voglio porre ai miei lettori alcune domande.

Chi mostrò al mondo le torture recate ai danni dei prigionieri iracheni? Chi mostrò al mondo quel terribile ed epocale -Keep shooting- ai danni di un gruppo di civili, tra cui un padre di famiglia e due bambini iracheni? Assange oppure la stampa?

(il video a cui si fa riferimento si chiama “collateral murder” facilmente reperibile in rete o su WikiLeaks)

Chi ha mostrato al mondo i documenti interni che hanno fatto crollare i truffatori della Kaupthing bank, Assange o la stampa?

Chi ha mostrato al mondo le atrocità di decine e decine di esecuzioni prive di regolari processi da parte del governo del Kenya, Assange o la stampa?

Quando il New York Times pubblicò venti articoli, inerenti ai 91.000 documenti dell’esercito americano sulla guerra in Afganistan, chi pubblicò 76.000 articoli non revisionati sull’intera faccenda? Assange o la stampa?

Chi dobbiamo ringraziare per essere tutti a conoscenza del disastro nucleare di Natanz in Iran, la stampa o Assange?

E ancora i messaggi dei cercapersone dell’undici settembre, resi pubblici nel 2009, ammontati a circa mezzo milione. E ancora, ancora e ancora.

La domanda che voglio porvi adesso è: chi è il vero pirata dell’informazione?

Assange… o la stampa?

Ferdinando de Martino

Jonathan Ames, lo scrittore dell’autocommiserazione.

Quando si incontrano le opere di Jonathan Ames non si può fare a meno di notare un piccolo particolare che definisce al meglio il suo stile letterario.

Avete presente quegli autori per cui vige la tacita regola: o li si odia o li si ama? Beh, la particolarità di Jonathan Ames sta proprio nell’aver creato una nuova categoria: o lo si ama o vi starà comunque simpatico.

Questo autore, classe ’64, tramite l’antica tecnica dell’autocommiserazione continua, riesce ad entrare nella testa del lettore instaurandovi dentro il detonatore della bomba “poverino, che tenerezza”; arma a doppio taglio che solamente i più grandi riescono a gestire.

Usando una sua citazione, Ames si giudica “l’ennesimo ebreo con la sindrome di Woody Allen” o ancora “un ebreo che odia gli ebrei”.

La quasi totalità della sua opera si basa sul concetto di essere un perdente cronico, nonostante i suoi lavori siano stati tradotti in svariate lingue (Fernanda Pivano ha tradotto in Italia alcune sue opere); l’utilizzo di affilate metafore e la ricchezza dei dialoghi da strada fanno crescere la stima nei confronti dell’autore, pagina dopo pagina.

Jonathan+Ames+Mildred+Pierce+New+York+Premiere+V8uCWAFUSCWl

Con questo non voglio dire che Ames sia un autore semplice da digerire, in quanto molte perone non riuscirebbero a leggere più di dieci pagine di un suo lavoro; lo stile di scritture è semplicemente perfetto ma i suoi continui sfoggi di personalità borderline, riescono a guadagnarsi solamente i cuori dei lettori più trasversali, più sensibili. Ames è un Palahniuk che scrive bene.

Nel caso ve lo steste chiedendo… no, non mi piace il modo di scrivere di Palahniuk; lo trovo freddo ed estremamente poco lineare.

Per tutti gli amanti delle serie televisive, consiglio vivamente la serie “Bored to death” tradotta in Italia in “Investigatore per noia”; show tratto da un racconto di Ames, di cui lo scrittore ha curato anche le singole sceneggiature di ogni puntata.

 

Come opera essenziale mi sento di consigliare il diario “Nemmeno immagini quanto ti voglio bene”; libro struggente e istantaneo sulle emozioni di un uomo che cerca di canalizzare nel suo mestiere tutta la sua passionale umanità.

Jonathan+Ames+New+York+Premiere+Blue+Valentine+IueFUum-MMUl

Ames è un autore coraggioso, un autore che non si vergogna di mettersi a nudo davanti al lettore, sperando che questo non giudichi le sue misure.

Ames è uno scrittore essenziale per il nostro secolo.

 

Ferdinando de Martino.

Alfred de Musset. LA PERVERSIONE E L’EROTISMO NELLA LETTERATURA.

Era il 1833, quando uno scrittore che ai giorni nostri definiremmo indipendente, accolse una sfida che sostanzialmente nessuno aveva lanciato.

Si discuteva di letteratura attorno ad uno dei classici tavoli letterari dell’epoca, quando un signorotto intellettuale asserì a gran voce che la letteratura erotica non era degna di esser definita, appunto, letteratura.

A quel tavolo letterario era presente uno degli autori che più ho amato nella mia adolescenza, Alfred de Musset. Il giovane Alfred somatizzò quella discussione a tal punto da costringere il proprio estro ad una di quelle guerre ideologiche tanto care al romanticismo dell’epoca.

Come per Baudelaire, anche per de Musset la letteratura doveva essere un perfetto connubio di “morbo e marmo”. La perversione della morbosità e la struttura marmorea della prosa, dovevano convivere regalando al lettore una vera e propria esperienza mentale, del tutto simile ad una sbornia.

Così nel giro di qualche giorno, Alfred de Musset scrisse “Gamiani”, un racconto erotico che vedeva come protagonista una contessa ninfomane, ansiosa di amare uomini e donne con l’ardore di una leonessa.

5945029_1_l

Dopo aver stampato questo racconto in maniera del tutto indipendente, lo distribuì ai suoi “colleghi” letterati, dicendo che quell’opera gli era stata recapitata da uno scrittore anonimo e che lui l’aveva trovata talmente bella da volerla rilegare, rendendola leggibile ai suoi commensali.

Il sesso e la perversione hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nella letteratura, un po’ come se l’uomo non desiderasse altro che il ritornare nel grembo femminile con l’insistenza di uno stupratore intellettivo. Il sesso vende, il sesso fa scalpore e rende leggera ogni lettura, trasportando il lettore in un qualcosa  tangibile per lui a livello emozionale. Tutto ciò che concerne l’erotismo, in fin dei conti è arte, in un modo o nell’altro.

D’altronde, quasi tutti gli scrittori scrivono esclusivamente per rimorchiare le donne.

Ferdinando de Martino.

Michael Chabon uno scrittore da Pulitzer.

La letteratura Americana è quella che più di tutte gioca, da svariati decenni, un ruolo di fondamentale importanza nella modernizzazione della carta stampata.

Gli autori americani hanno sempre avuto come loro maggior punto di forza, un utilizzo moderno del dialogo. Gli autori italiani sono stati tra i primi a sdoganare l’utilizzo degli slang e delle parolacce nella letteratura ma i nostri colleghi d’oltreoceano, con il passare del tempo, sono divenuti nell’arte del dialogo dei veri e propri maestri; basti pensare ad autori come Wallace o Kerouac.

Oggi voglio parlarvi di una creatura quasi mitologica, ovvero, un autore che gode degli apprezzamenti sia da parte degli addetti ai lavori che dai semplici fruitori dei suoi lavori. L’autore in questione è Michael Chabon, Washington 1963.

Michael Chabon Profiled.

Michael Chabon, vincitore del premio Pulitzer per la narrativa nel 2001 per “Le straordinarie avventure di Kavalier and Clay”, è un autore per certi versi estremamente controverso; i suoi libri sono un perfetto connubio  di prolissità e sintesi, dove i dialoghi vanno ad incastrarsi all’interno della storia senza mai intaccare il filo logico della trama.

Avere tra le mani uno dei lavori di Chabon è un po’ come farsi una birra con un vecchio amico, si ride, si piange e si scherza, facendo quello che la “vera letteratura” dovrebbe fare sempre e comunque, ovvero, prendere in giro la vita.

Gli autori del calibro di Chabon non hanno bisogno di un genere, possono scrivere un giallo oggi, un romanzo introspettivo domani e un fantasy quello successivo; trovando, magari, il tempo di sceneggiare i film di Spiderman.

La letteratura americana è per certi versi una delle più controverse del pianeta, perchè sebbene noi italiani con i nostri Moccia & co. abbiamo messo a dura prova la vista dei lettori, gli americani hanno pubblicato un quantitativo di merda tale da fare inorridire ogni personaggio letterario dozzinale del nostro bel paese. Ogni cento autori del cazzo, però, quegli yankee maledetti, riescono a sfornare un Michael Chabon, che non contento del Pulitzer, nel 2008 ha ritirato il premio Hugo per il suo “Il sindacato dei poliziotti yiddish”.

In Italia nel 2012 gli è stato conferito il “Premio Fernanda Pivano”. (finalmente siamo riusciti a premiare un autore con la A maiuscola e non i soliti “Ti voglio bene ma non posso” e “Diciassette anni, baci baci”)

Il romanzo Wonder Boys, è uno dei libri più brillanti che abbia mai avuto il piacere di leggere, facente parte di una categoria di cui oltre ad essere un forte estimatore, più volte mi ha visto autore: la categoria dei libri sugli scrittori che scrivono dello scrivere.

Per molti addetti ai lavori, i libri sullo scrivere dal punto di vista dello scrittore, sono i peggiori in assoluto. Personalmente la trovo da sempre la miglior categoria mai sfornata dal genere umano.

L’umanità e la sensibilità di Chabon si esprimono al meglio nella raccolta “Lupi mannari americani” che consiglio vivamente come infarinatura generale per  imparare conoscere questo meraviglioso autore made in U.S.A..

Ferdinando de Martino