Maggio 2016

Come nasce uno scrittore ? | La Fiducia | di Salvo Barbaro

21 dicembre 2015

Come al solito la sveglia suona ad interrompere il “tranquillo e beato sonno”, sono le sette in punto, è un lunedì e mi alzo assonnato ma stranamente riposato. Sono seduto sul letto e guardo molto attentamente nel vuoto, pensando e ripensando a cosa avevo potuto sognare la notte precedente. Non ricordo, come spesso succede, non ricordo cosa ho sognato, però avverto una particolare sensazione nello stomaco e nella testa. Spremo le meningi ma… niente, poi all’improvviso un caldo abbraccio mi copre le fredde spalle. È Giulia che s’è svegliata insieme a me e mi bacia il collo dicendomi -Buongiorno amore mio!
Mi giro, l’abbraccio anch’io e la bacio, poi mi interrompe dicendomi –Lo accompagni te Vieri a scuola?
La guardo negli occhi e le dico -Davvero?
Sono stupito e anche molto orgoglioso di quello che le mie orecchie hanno sentito. Non l’ho mai fatto e subito a raffica le faccio tre quattro domande di preoccupazione, -Ma devo accompagnarlo fino in classe o lo lascio all’ingresso? C’è qualcuno che lo prende oppure c’è il rischio che può uscire fuori da solo? Lo dico alla custode che sono il tuo compagno oppure faccio lo gnorri?
Sono emozionato e molto agitato.
-Salvatore, tranquillo, non devi dire nulla, Vieri farà tutto da solo.
-Ok.- le faccio, mentre mi alzo e corro a farmi una doccia.
Dopo circa una mezz’ora di preparativi e raccomandazioni, trovo Vieri già sull’uscio della porta che mi aspetta, pettinato di tutto punto con quegli occhioni azzurri color mare
-Salvo dai sbrigati!
Che bello, penso, è la prima volta che un bambino si fida di me, Elena è ancora uno scricciolo che dorme, mangia e defeca, mentre Vieri è un ometto responsabile. Usciamo dalla porta, -Hai preso la merenda, hai controllato se mamma ha messo tutto nello zaino, i colori, l’astuccio, i quaderni?
Lui mi guarda e mi dice semplicemente –Salvo ti vedo agitato, tranquillo mamma ha messo tutto.
Decisamente sembra lui l’adulto ed io il bambino, uno a zero per lui.
Saliamo in auto e con la verve che lo contraddistingue inizia lo show di domande e parole a raffica, -Lo sai che Filippo ieri ha preso dieci? Lo sai accanto a chi sono seduto? Salvo… all’Alice! Lo sai che amo la Sofia? Lo sai che domani ho la verifica? Salvo ma la mamma mi ha messo la Camilla per merenda!
Una mitragliatrice, cinque minuti di monologo senza nemmeno darti il tempo di ragionare e rispondere. Siamo quasi arrivati e lui di sana pianta mi dice -Salvo ma te che lavoro fai?-, eccola la fatidica domanda che tutti gli adulti disoccupati non vorrebbero mai sentire da un bambino. Lo guardo, gli accarezzo la testa e gli rispondo sinceramente -Sono disoccupato, Vieri!
Lui mi fa -Ah disoccupato, bene e scusa Salvo, ma che vuol dire?
Sorrido e gli dico -Ho perso il lavoro, lo sto cercando. Per il momento sono a casa.
Lui, guardando il mondo da fuori il finestrino, risponde -Bene, mi fa piacere che non hai lavoro così sei a casa con noi, poi lo troverai, tranquillo!
È emozionante come un bimbo di sette anni ti conforti, ti renda parte della sua vita anche se non sei il suo papà biologico.
Siamo arrivati, lo accompagno e nella mia mente rimbombano le parole di Giulia, -Non cercare di baciare Vieri all’ingresso di scuola perché si vergogna e non lo farà mai.
Lo lascio andar via dicendogli un semplice ciao, lui si gira, correndo mi abbraccia e mi bacia, -Ciao papà, buon “non” lavoro!
Il cuore mi batte all’impazzata, mi giro verso la porta gonfio in petto ed esco sollevato tre metri da terra.
Arrivo alla macchina, sta iniziando a piovere, accendo la radio e ascolto Radio Dj dove Fabio Volo sponsorizza il suo nuovo libro di “grande successo”.
Penso -Cazzo, anche lui scrive? Ma porca puttana!-, spengo la radio e ritorno a casa con la testa che frulla.

Salvo Barbaro.

Il sindaco musulmano di Londra | un concetto destabilizzante | di Ferdinando de Martino

Sadiq Khan MP at Westminster, London, Britain  - 11 Oct 2012

Oggi voglio esporvi un concetto tanto semplice quanto destabilizzante.

Il popolo italiano del web si è diviso in due fazioni ideologiche, dopo la recente vittoria elettorale di Sadiq Khan a Londra.

La divisione non è tra favorevoli e non favorevoli, ma tra stupidi e più stupidi. È iniziata una vera e propria guerra tra idioti, combattuta a suon di commenti privi d’intelligenza sulle bacheche dei più noti social.

Riesco anche ad immaginare le loro testoline, muovere gli ingranaggi utilizzati solitamente solo per i pronostici della Champions, intenti a creare un pensiero compiuto tra un -Balotelli.- gridato in maniera gutturale e un -Arbitro dimmerda.-.

La questione qui è molto più delicata di una birra Peroni bevuta davanti al Genoa, tirando scoregge e bestemmiando e mi piacerebbe davvero illuminare una parte del discorso che rimane da sempre in ombra.

Ci sono più modi di ascoltare un ragionamento binario, come in questo caso. L’elezione di un sindaco musulmano crea un binarismo di pensiero tra favorevoli e non favorevoli, ma credo che sia sbagliato accettare a priori due modi di pensare, imposti a tavolino sul banchetto dell’argomentazione.

Non mi voglio spingere assolutamente a parlare di politica inglese, perchè farei una figura a dir poco becera; quello di cui voglio parlare è il modo in cui utilizziamo il nostro cervello.

Spesso, ragionare a compartimenti stagni provoca un distacco dalla realtà e una sottile limitazione al pensiero.

Basta un qualcosa di differente per iniziare a sviluppare un ragionamento individuale, autonomo e fuori dal coro.

Vi faccio un piccolo esempio: perchè una notizia come questa non mi lascia nessun senso di stupore o rabbia?

Perchè sono musulmano? Perchè sono cattolico? NO… perchè sono ateo e credo che siano il nulla cosmico e il caos a governare uno spazio in cui siamo profondamente soli e destinati all’annichilamento. (scusate la brutalità)

Questo mio punto di vista mi dà una prospettiva differente, in quanto sono perfettamente abituato a sindaci e politici che sono lontani dalle mie idee religiose o, se vogliamo essere precisi, lontani dalle mie non-idee religiose.

Quindi davanti ad una polemica del genere, il mio ragionamento mi porta a produrre un differente interrogativo: ma per fare il politico, bisogna per forza appartenere ad una congrega religiosa?

Tutti i politici più in vista appartengono ad un mondo religioso e, tranne in rarissimi casi, è quasi impensabile, a livello politico, affidare una città o una nazione ad un ateo dichiarato.

Questo è il punto centrale della questione.

Non dobbiamo stupirci per l’appartenenza religiosa di un politico, perchè l’unica cosa che destabilizza il sistema è la non appartenenza ad un credo, infatti tale argomento non è nemmeno preso in considerazione dalle diatribe scaturita dagli “intellettuali” del web.

Ferdinando de Martino.

Sono stato in palestra e mi sono anche divertito | Il resoconto di uno scrittore in una palestra di lusso | di Ferdinando de Martino.

Qualche mese fa ho visto su YouTube un video in cui John Irving si allena nella sua palestra casalinga, per poi andare a partorire qualche nuovo capoverso che lo farà diventare ancora più schifosamente ricco di quanto già non sia.
Ero convinto che gli scrittori non dovessero allenare il fisico, ma a quanto pare il mondo si accinge a cambiare e seguire il flusso, dovrebbe essere una prerogativa di chi il mondo lo vuole raccontare.
Assieme ad un mio amico che chiameremo Lucio, ho avuto l’onore di essere stato selezionato per passare una meravigliosa e confortevole giornata negli ambienti iper-stimolanti della palestra più cool di Genova: la Virgin.
Lucio doveva passarmi a prendere alle undici in punto, ma è arrivato con un quarto d’ora di ritardo ed io (che avrei dovuto essere pronto alle undici) sono uscito di casa alle undici e trenta perché… perché dovevo fare i bisogni grossi.
Non so se anche John Irving abbia di questi problemi e forse è proprio per questo che non riesco a sviluppare empatia verso la sua narrativa.
Ritardi a parte, entrai in auto alle undici e trentadue, pronto per un meravigliosa e confortevole giornata negli ambienti iper-stimolanti della Virgin.
Il mio outfit non era proprio in linea con quello di un frequentatore abituale di palestre e affini: pantaloni lunghi di una tuta comprata nei primi duemila, cappellino al contrario di una nota marca di amplificatori e una maglietta con un teschio con su scritto -Skate or Die-. In parole povere, veniva quasi da chiedersi se fossi normale a livello mentale.
In macchina cazzeggiammo un po’, facendo qualche battuta sulle palestre costose e via dicendo. Probabilmente dall’esterno dovevamo sembrare come la volpe della storiella… l’avete presente? Quella in cui la volpe si sbatte come una stronza per arrivare all’uva, ma non arrivandoci, finisce per auto convincersi che l’uva fa schifo? No? Beh, la Virgin è la nostra uva.
Mi piacerebbe avere un abbonamento in quella palestra anche solo per non andarci; ma si sa che io non sono uno con tutte le rotelle al loro posto.
Il nostro arrivo è al quanto epocale. Ci piazziamo davanti alle porte automatiche e veniamo completamente ignorati.
Pensiamo ad un danneggiamento della fotocellula e cose del genere, quindi facciamo dei passi indietro, avanti e di lato, ma niente… la porta rimane sigillata.
-Ma non ci fa proprio entrare?
-Hanno sentito l’odore del buono sconto…
Da temerario quale sono, provo ancora una volta a farmi notare dalla fotocellula come una diva della T.V. in astinenza da telecamera, ma anche quella mia ultima performance si è dimostrata vana.
Un secondo dopo ci accorgiamo che l’entrata della palestra è a fianco alla porta automatica e che gli altri sembrano accorgersene senza nemmeno un attimo di titubanza.
Bene. Iniziamo alla grande.
Entriamo, mostriamo i nostri inviti gratuiti, apprendiamo le nozioni basilari per muoversi all’interno di quel luogo chic e per niente pacchiano, in cui sono presenti quattro iMac d’ultima generazione, utilizzabili dai clienti per postare su Facebook le loro mirabolanti avventure nell’opulento tempio della salute anabolizzante.
C’erano delle donne bellissime, uomini bellissimi, bambini bellissimi, tutti così belli da farmi pensare che nessuno di loro aveva ritardato l’arrivo in palestra per fare i bisogni grossi.
Entrammo negli spogliatoi per mettere i nostri zaini negli appositi armadietti. Qui devo aprire una parentesi importante: il lucchetto.
Io ho un solo lucchetto, ma come gli oggetti più importanti e spaventosamente belli… quel lucchetto ha una storia.
Mio padre lo prese nel millenovecentonovantaquattro. Di quell’anno ricordiamo solamente tre avvenimenti degni di nota: il suicidio di Kurt Cobain, il trionfo di Silvio Berlusconi e mio padre che si accinge a comprare un lucchetto da un ferramenta.
Il lucchetto serviva a qualcosa inerente alla scuola, ma non riesco proprio a ricordare che cosa. La parte importante è un’altra, ovviamente.
Il lucchetto in questione è un lucchetto di Forza Italia. Sì. Sono andato in palestra con un lucchetto promozionale di Forza Italia.
Potevamo tranquillamente distinguere i nostri armadietti da un chilometro di distanza, grazie al dubbio gusto di mio padre in fatto di sicurezza domestica.
Lucchetto a parte, entrammo in palestra alle dodici e dieci.
Non so che dire; a me i posti così schiettamente legati al consumismo, piacciono da impazzire. Amo i centri commerciali e i multisala, esattamente come amo la buona letteratura, il buon vino, le massaggiatrici thailandesi e gli incontri di pugilato.
Le persone erano tutte diverse da me e non mi riferisco solamente al fisico scolpito e ad un atteggiamento da “Questa sera vado in discoteca ad uccidere il mio cervello, dopo aver guardato Uomini e Donne”, bensì a qualcosa di più radicato che al momento non saprei proprio definire a parole.
Decidiamo di partire con il tapirulan. Ovviamente i tapirulan della Virgin hanno un televisore incorporato e l’aria condizionata atta a simulare una corsa reale con il vento che ti scompiglia i capelli.
Qui ho notato la prima perversione. Il mio televisore era rotto. C’era il classico schermo grigio e spinoso di quando MTV non prendeva bene e non riuscivo mai a vedere una puntata intera di Beavis and Butthead, mentre il televisore della macchina accanto alla mia, occupata da Lucio, era sintonizzato su “La prova del cuoco” di Antonella Clerici.
Questa l’ho trovata una scelta estremamente dantesca: guardare della gente a caso, cucinare cibi rimpinzati di grassi, zuccheri e chi più ne ha più ne metta, mentre si è impegnati a correre su dei tapirulan per fuggire in maniera estenuante da una forma fisica che ci rende infelice, rincorrendo uno status da rotocalco che di anno in anno ci fa capire cosa è bello e cosa e brutto.
Il tapirulan è una perfetta metafora della vita: hai la reale consapevolezza di star scappando da qualcosa per raggiungere qualcos’altro, ma in realtà non ti stai muovendo nemmeno di un fottutissimo centimetro. Sul tapirulan sei perfettamente immobile in una fuga perpetua e insensata.
Un trainer della palestra mi chiede se vado ancora in skateboard ed io mi chiedo il come mai di una domanda simile, ma poi ricordo la maglietta e rispondo che mi capita di tanto in tanto di risalire in sella ad una tavola, vergognandomi palesemente, vista la mia età.
Non dev’essere proprio normale incontrare qualcuno con delle magliette simpatiche in quel luogo. Sembrano tutti prendere molto sul serio il loro abbonamento alla Virgin.
Dopo un po’ inizio ad aumentare la pendenza, fingendo di resistere tranquillamente, aumentando anche la velocità.
-Cavolo… non ti facevo così ginnico, Ferdi!- dice Lucio.
La realtà dei fatti era che stavo letteralmente morendo dentro, palesando una faccia distesa e tranquilla, esattamente come quella dei broker quando vanno a lavoro, consapevoli di gettare al cesso la loro esistenza per un mestiere più astratto dell’arte concettuale.
La seconda stranezza che ho notato in quel posto è relativa ad un utilizzo a dir poco illegale di un attrezzo.
Una signora ecuadoriana, sulla cinquantina, aveva acceso una macchina di cui né io, né Lucio eravamo a conoscenza del nome e aveva deciso di utilizzarla in maniera poco convenzionale.
In pratica la macchina era costituita da un cuscinetto rigido, un palo e un manubrio con comandi annessi, che lasciava intuire che l’attrezzo in questione andasse utilizzato da in piedi, mentre la donna aveva deciso di utilizzarlo da sdraiata a pancia in giù, con il basso ventre adagiato sul cuscino in questione.
Sia io che Lucio abbiamo pensato ad un probabile uso lapalissianamente errato dell’attrezzo, ma non abbiamo azzardato nessuna certezza, in quanto non conoscevamo il reale impiego della macchina.
Accanto a noi c’era una ragazza bellissima con una top nero, velato e sensuale che correva verso una bellezza che coltivava in maniera ossessiva. Se quello era il risultato… Dio benedica la Virgin.
Durante una sessione di pesi, in cui Lucio mi spiegò che la mia respirazione nel sollevamento sfuggiva ad ogni senso logico, notai che un tizio simile a 50 Cent, stava correndo sul tapirulan con una pendenza in stile Ivan Draco, al contrario, con la faccia rivolta verso i nostri sguardi increduli e le spalle ai comandi.
Al mondo c’è della gente davvero strana.
Dopo i pesi, lavorammo sui pettorali (credo) con una macchina che non ricordo, per poi finire a fare addominali su dei tappetini rosa Elton John.
A fianco a noi arrivò la ragazza dal top trasparente, bella in maniera prepotente. Probabilmente era la ragazza più bella che avessi mai visto, ma io sono uno che tende ad esagerare.
Dopo gli addominali, fatti spaccandomi la schiena per osservare l’allenamento della ragazza dal top nero che avrebbe potuto tranquillamente chiamarsi Giovanna o Clarissa, insomma, un nome da bellona di circostanza, andammo a mangiare.
A dir la verità, mangiai solamente io.
A quel punto eravamo pronti per quello che era stato il reale motivo della nostra permanenza in quel luogo pieno di persone che sollevavano il loro manubri per tornare a scaricare allegati word dopo una pausa pranzo passata ad affaticarsi un po’ per dare un senso compiuto alla loro stanchezza. Eravamo pronti per la zona relax.
Lucio ebbe un attimo in cui quasi pensò di farsi un paio di vasche in piscina, ma il tutto finì quando vide la vasca idromassaggio calda ed invitante.
All’interno della zona relax, oltre alla vasca idromassaggio, composta a sua volta da tre sezioni con differenti opzioni di gettata, erano presenti un bagno turco, due saune, quattro sdraio in legno, tre docce normali, una doccia scozzese e una doccia monsonica.
Riguardo alla doccia monsonica, il mio amico ha partorito una battuta da romanzo. Eravamo a mollo nella vasca, tra le bolle sparate sulle nostre schiene, quando disse -Pensa come sono fortunati i filippini… loro non hanno bisogno di una SPA per godersi delle belle piogge monsoniche.
Le battute sugli ambienti dei ricchi fanno sempre ridere. Credo che il significato sia strettamente legato al termine ironia, ovvero il definire qualcuno o qualcosa con un termine che ne rappresenta l’evidente contrario.
Esempio: se passa una persona visibilmente grassa e qualcuno grida -Ah silfide…-quella è ironia.
Spesso si confonde l’ironia con la simpatia e questa è una cosa che ho sempre trovato estremamente fastidiosa.
L’ironia fa ridere quando punta al rialzo e non al ribasso.
Se uno ha un conto in banca in rosso, puoi ironizzare dicendogli frasi tipo -Grande… sei proprio ricco eh…- ma è molto raro che qualcuno rida di questa ironia, mentre se ad uno con l’abbonamento alla Virgin dici -Ehi… è proprio dura la vita in Scozia, eh?- mentre si fa la sua doccia scozzese post-sauna, qualcuno potrebbe anche cogliere l’ironia e farsi una risata.
La doccia scozzese, per dovere di cronaca, consiste in una secchiata d’acqua ghiacciata addosso, in un ambiente iper-pagato per cose che potresti tranquillamente fare a casa tua, senza sentirti un imbecille completo.
Comunque, pur essendo un insipido stronzo, troppo retorico per essere preso sul serio da chiunque abbia un cervello o mi conosca di persona… dopo il bagno turco, ho ceduto anche io alla tentazione di fare una doccia monsonica. Una stronzata priva di senso.
Il bagno turco l’ho adorato. Era uno dei miei sogni nel cassetto farne uno e ho deciso di farlo due volte, così da potermene ricordare in futuro.
Una sauna era troppo pesante. Ottanta gradi è una temperatura da rincoglioniti a mio parere. La terza sauna era tranquilla e ho rischiato di addormentarmici dentro.
Dopo ogni sauna\bagno turco, io e Lucio ci buttavamo nella vasca idromassaggio, per assaporare una fetta di vita di quella gente così orribilmente viziata da far sentire George d’Inghilterra uno spacciatore di Compton.
Lucio ha avuto anche il coraggio di fare non una, ma due docce scozzesi. Gran coraggio. Ho visto anche qualche manager ebreo che annuiva verso di lui con profonda stima. Non è vero… queste sono le stronzate che scrivo per sembrare più pulp del dovuto.
Comunque, dopo la doccia (non monsonica o scozzese, ma una maledettissima doccia normale) siamo andati a sfondarci di pollo fritto al KFC, giusto per rovinare il lavoro della palestra.
Ho provato uno strano senso di vuoto, quando abbiamo abbandonato gli ambienti confortevoli della Virgin.
Era come se un’oscura falciatrice metaforica avesse falciato quella piccola parte di me che aveva vissuto quell’esperienza come una cosa normale.
Il bagno turco, la sauna e l’idromassaggio… probabilmente è così che passa la sua vita Trump.
Questo è quanto.

Ferdinando de Martino.

Come nasce uno scrittore ? | Benvenuto | di Salvo Barbaro

salvo

2 luglio 2012

Sono le sette e mezzo del mattino, un caldo terrificante avvolge la mansarda dove dormo. Sono temporaneamente ospite dai miei zii a Firenze, dormirò qui finché non troverò un’altra sistemazione.
Oggi è il mio primo giorno di lavoro nella città di Dante Alighieri, nella culla del Rinascimento, fantastica a detta di tutti, vista rare volte dal sottoscritto, sempre di sfuggita, mai vissuta e visitata realmente. Penso -diventerò un fiorentino a tutti gli effetti allora!- sorrido.
Ho sonno, sono stanco perché non ho chiuso occhio dall’emozione. Mi alzo di scatto e guardo il valigione ancora pieno accanto al letto. Mi meraviglio, penso orgogliosamente di aver fatto questo passo gigantesco, lasciando dietro il passato, tutto quello che avevo cercato di costruire giù ad Avellino. Mi mancano gli amici, mi mancano i loro sorrisi, i momenti vissuti insieme spensieratamente tra una bottiglia di vino e risate stupide, a volte isteriche fatte volutamente per abbandonare la malinconia e la tristezza. Promesse fattemi da ognuno di loro, -Salvatò per qualsiasi cosa conta su di me!
Un magone si aggrappa allo stomaco, respiro profondamente e butto fuori l’aria, meglio non pensarci, la vita incomincia ora!
Sono quasi le otto e mezzo, mio zio per sommi capi ieri mi ha spiegato come si arriva al ristorante. Io annuivo, dicevo di sì, ma come al solito non avevo capito un cazzo. Esco di casa, il caldo è già insopportabile a quest’ora del mattino, faccio fatica a respirare, mi manca già l’aria fresca di Avellino. Tramvia, ricordo benissimo che come primo passo mio zio mi ha detto tramvia. Ok, mi avvio a prenderla, però rammento il suo dito indice alzato come a insegnarmi un qualcosa.
-Salvatore, il biglietto qui va fatto, perché sennò ti fanno una multa pazzesca. Non è come giù, ricordalo!
Fra me e me pensavo che anche giù il biglietto l’ho sempre pagato, poi porca puttana sei anche te di Avellino come me, forse la memoria ti gioca brutti scherzi.
Entro nella ricevitoria più vicina.
-Mi scusi, un biglietto per la tranvia per favore!
Il tabaccaio si gira verso de me, mi scruta con attenzione e fa -Paisà, sei di Napoli? Lo guardo stupito e dico -Sono di Avellino, perché mi ha riconosciuto dall’odore?
Ridiamo tutti e due, gli spiego a grandi linee la mia situazione, mi fa un grosso in bocca al lupo, ma il biglietto me lo fa pagare lo stesso, anzi mi rifila quello da dieci corse da venti euro.
Esco e mi avvio alla fermata. Penso subito che questa tramvia è molto comoda, davvero confortevole, passa ogni tre minuti e attraversa quasi tutta la città. Le porte si aprono e una ventata d’aria fresca mi abbraccia rendendomi suo schiavo per l’intero viaggio. Purtroppo sono solo pochissime fermate, scendo alla LEOPOLDA. Abbandono l’aria fredda e in lontananza vedo un bar. Avevo proprio bisogno di un caffè!
Il sudore e l’afa si rimpossessano di me, mi stanno addosso, col fiato sul collo. Entro nel bar, ordino direttamente al bancone un caffè.
-Signore, prima lo scontrino.- mi fa il giovane barista.
Annuisco e vado alla cassa, pago un euro il caffè e mentre sto per berlo faccio -Mi scusi, mi darebbe un bicchiere d’acqua gasata per favore?
Il ragazzo mi guarda, ha un’aria davvero molto antipatica, da prenderlo a calci nel culo. Mi osserva come se fossi un alieno, come se avessi chiesto la luna. Mi fa -lei non ha pagato l’acqua signore. Faccia lo scontrino anche per questa!
Mi cadono le braccia; pagare un bicchiere d’acqua? Incredibile. Ecco a questo non sono davvero abituato, nel povero sud l’acqua è sempre d’accompagnamento al caffè.
-Ok.- gli dico.
Bevo il caffè, che per giunta fa pure schifo, sorseggio il bicchiere d’acqua e con lo sguardo lo mando a cagare.
Esco dal bar, ancora caldo, ancora afa, sudo, cammino, ricordo a malapena la strada, tre chilometri a piedi come un imbecille mentre accanto a me sfrecciano una decina di autobus con l’aria condizionata all’interno. Finalmente il viale alberato, VIA CIRCONDARIA, si è lei, finalmente ci sono. Vedo in lontananza il ristorante, finalmente inizia la mia giornata lavorativa. Speriamo bene

 

Salvo Barbaro.

Una cosa bellissima | di Ferdinando de Martino

Ho bisogno di verità. Per scrivere, per non impazzire del tutto e roba del genere.
È come una droga. Verità smerciata lungo i bordi di un marciapiede, magari con un taglio d’ironia, ma necessito di una dose di verità.
Conosco un mucchio di gente, prendo l’autobus, guardo gli occhi delle persone che mi siedono davanti, ma non vedo verità è questo mi butta giù.
Forse sono semplicemente pazzo. Ho sempre avuto il terrore della follia. Probabilmente ho iniziato a scrivere proprio per paura della pazzia, evitando di salmodiare le parole, liberandole e su carta.
Sarei un pessimo pazzo, esattamente come sono un pessimo savio.
In questo mare di becero esistenzialismo, mi è successa una cosa bella. Potrei chiamarla esperienza panica, ma non ne sento la necessità, quindi la chiamerò semplicemente: una cosa bellissima.
Giravo col cane, era sera è una pioggia lieve batteva sull’asfalto. Il classico clima che avrebbe fatto impazzire Byron.
Byron è l’unico scrittore che mi piacerebbe incontrare, magari in una seduta spiritica o in un viaggio temporale o, a Dio piacendo, dall’altra parte della barricata.
Ho questa sensazione… un qualcosa di vagamente infantile, forse, ma sono sicuro che Lord Byron sarebbe l’unico scrittore che non deluderebbe le mie aspettative.
Era una gran brutta persona e la coerenza è l’unica cosa che apprezzo in uno scrittore.
Così, mentre passeggiavo pensando all’autore del Don Giovanni, mi ritrovai a gettare nell’immondizia un sacchetto contenente le feci del mio cane.
Ecco, probabilmente è per questo che non sono mai stato candidato al premio Strega o invitato ad un salotto letterario. Baricco non parla mai delle feci del suo cane, almeno non nella roba che ho letto io e lui è davvero bravo.
Non so se ci sia un collegamento tra la bravura e il non parlare di feci, ma forse è meglio non rimarcare la cosa.
Un frangente, un singolo attimo, aveva catturato il mio sguardo. Era una sensazione visiva, mettiamola così.
Aprii nuovamente il coperchio dell’immondizia e l’arcano venne svelato. Una lumaca se ne stava, strisciante e bavosa, all’interno della chiusura del coperchio.
Quello che ho pensato in quell’istante è molto semplice: che coraggio!
Era come vedere un nano fare a pugni contro Mohammed Alì. No, questo paragone è troppo riduttivo.
Era come vedere un uomo sdraiato sulle rotaie della stazione centrale di Roma. Forse il treno l’avrebbe ammazzato, forse no… ma lui se ne sta lì, immobile.
Ancora meglio: il ragazzo di piazza Tienanmen.
Quella lumaca Aveva le palle più grosse del novanta per cento delle persone che conoscevo. La guardai dritta nelle sue antennine, che credo siano gli occhi, e non sentii quella sensazione di vuoto cosmico che mi assaliva quando guardavo i volti delle persone sull’autobus.
Una emozione da brivido. Roba di cui non dovrei nemmeno scrivere, forse per via delle feci di cane, ma la mancanza di verità mi stava davvero uccidendo.
Presi quella lumaca e la misi in salvo, su di un muretto poco distante. Aveva coraggio da vendere quella stronzetta.
Due giorni dopo, buttando nuovamente le feci del mio cane nel medesimo bidone, incontrai la stessa lumachina nella stessa maledettissima posizione.
-Sorella, tu devi essere un’aspirante suicida o la lumaca più coraggiosa dell’intero pianeta.
Il mio cane, forgiato da anni ed anni di incroci per ottenere una razza perfetta, sfidando un concetto d’eugenetica che nemmeno Hitler sarebbe stato in grado di concepire, aveva paura dell’aspirapolvere, del mare e dei treni, mentre quella lumaca desiderava starsene lì, a prendere la tintarella di luna, guardando in faccia un’eventuale fine nefasta ad ogni apertura di coperchio.
Quanto passerà prima che una mano distratta frantumi il suo guscio, spappolandole il corpo?
Nessuno può saperlo, ma… Cristo santo, che coraggio

 

 

Ferdinando de Martino.B_-dialogo-dello-scrittore-

Come nasce uno scrittore ? |Lucidi pensieri | di Salvo Barbaro.

salvo

10 e 11 agosto 2015
È notte, fa un caldo soffocante. Mi giro e mi rigiro nel letto, le lenzuola sono bagnate del mio sudore. Accanto a me Giulia dorme con in braccio Elena, nell’altra stanza Vieri che russa, ogni tanto si sveglia con le sue piccole paure di bambino. Mi alzo per andare a bere, il caldo mi massacra. Ritorno in camera, accendo la piccola luce sul comodino e inizio a leggere per conciliare il sonno. INFERNAPOLI di Beppe Lanzetta. Sono le tre di notte, tra tre ore la sveglia suonerà e mi dovrò svegliare per andare in fabbrica, la catena di montaggio mi aspetta. Le pagine sono avvincenti, dentro di me un unico pensiero –Cazzo è ora di smettere perché domani senno’ sarò un cencio! Non ci riesco, è troppo forte, i miei occhi sono incollati come calamite a questo libro “malefico”-, non ce la faccio e mi ripeto -devo smettere!
Poi inesorabile arriva il pianto di Elena a distogliermi da tutto e a svegliare Giulia.
-Ancora sveglio,- mi fa, -qualcosa ti preoccupa?
-Amore, niente, fa caldo e non riesco a dormire.
Elena si riaddormenta dopo una serena poppata, Giulia idem, più stanca del solito e anche io finalmente abbraccio il cuscino. Sono geloso, non ho detto niente a Giulia del libro, come a nascondere un’amante o un segreto inconfessabile. È strano ma è così.
Il rumore e la monotonia fanno da padroni in questa fabbrica. Gli operai sono veramente strani, alcuni ambigui, altri tranquilli, piatti. Il posto non è male: una sorta di zona industriale immersa nelle colline a sud di Firenze.
Sono qui che avvito bulloni da stamattina alle otto e trenta, avvito, svito, pulisco, riavvito. Il capo reparto mi “INSEGNA” come avvitare un bullone, è quasi mezzogiorno e mezzo e non vedo l’ora di addentare qualcosa. Ho fame, sonno e sono nervoso perché non ho chiuso occhio. Non parlo con nessuno, non interagisco con anima viva. La mia mente frulla all’impazzata, penso a Vincent Profumo, il protagonista di INFERNAPOLI, nella sua guerra ai cinesi per il predominio di affari illeciti, penso che dopo mi tocca stare in una postazione che mi è alquanto antipatica per altre quattro ore. Voglio andar via, poi come una sinfonia arriva il “dolcissimo” suono della campana. Mensa.
Odio i posti affollati, odio i posti affollati di persone che mangiano, odio i posti affollati di persone che mangiano a bocca aperta e biascicano. -Perché non vai fuori a mangiare?-, mi chiede spesso il mio ego e io gli rispondo semplicemente, -Sono masochista e poi fatti i cazzi tuoi!
Mi siedo, inizio ad assaporare il mio buon riso all’insalata, prendo il cellulare e continuo la mia lettura del libro (comprato su Google libri). Accanto a me un mio collega, anzianotto, in pensione, ma ancora molto attivo in fabbrica; lo chiamano ogni tanto, perché bravo in una postazione precisa e unica. Apro una parentesi, come cazzo si fa a far lavorare una persona in pensione mentre un ragazzo interinale è ancora in cerca del posto fisso? Misteri del globo.
Lo osservo mentre mangia e vorrei dirgli in faccia quel che penso, ma soprassiedo e mi immergo nei panni del boss Profumo. Sento bisbigliare qualcosa, -Tutti con questi telefonini in mano, ai miei tempi si leggevano i libri, mi dice il pensionato. Alzo lo sguardo dall’ultimo pezzo di tonno e pomodoro del riso e gli dico semplicemente, -Anche ai miei tempi ci sono i libri, ma si sono ristretti e sono finiti sul cellulare.
Non risponde, si alza e va via.
-Mah.- faccio.
Finisco di pranzare e continuo la mia lettura.

 

 

Salvo Barbaro.

Divagazioni di un viaggiatore del Karma | Non ho mai visto le teste dell’Isola di Pasqua e ne sono fiero |

pasqua

Certe volte abbiamo bisogno delle divagazioni.
Divagare è la Costa Smeralda di chi non ha un cazzo di niente. I ricchi prendono le loro anime stanche e se le portano in posti esotici, davanti a panorami spettacolari ed inimmaginabili.
Conoscevo un tizio che aveva visto dal vivo le teste dell’Isola di Pasqua. Ora, non so come spiegarlo senza sembrare la persona più chiusa dell’universo, ma perchè qualcuno sano di mente dovrebbe provare interesse a vedere le teste dell’isola di pasqua? È una cosa che non riuscirò mai capire.
Io di grosse teste di cazzo ne ho viste abbastanza nelle mie vite precedenti e se fossi un ricco, sicuramente non spenderei tutti quei soldi per andare a vedere delle teste conficcate nella terra.
Non riesco proprio ad immedesimarmi o a provare empatia per quella gente. Loro si alzano, fanno le valige, controllano le loro azioni in borsa, pillolina per curare il jet lag, aeroporto, taxi, albergo, cenetta etnica per sentirsi parte del luogo, consumando l’intero fabbisogno dell’isola in una sola portata, notte, escursione e grosse teste di cazzo conficcate nell’erba.
No… non riuscirò mai a sintonizzarmi su quelle frequenze. Mi sento come una vecchia radiosveglia in un mondo di iPod.
Forse sono solamente un personaggio di un romanzo di serie B, imbruttito dalla solitudine, cresciuto in cattività sentimentale e sempre in allerta, come un cane maltrattato.
Viaggiano, corrono, cercano. In parole povere: scappano.
Ecco, la mancanza del coraggio credo che stia alla base della loro voglia di fuggire in continuazione, perchè mi rifiuto di pensare che qualcuno voglia realmente guardare negli occhi quelle maledettissime teste di pietra, quando in Vaticano abbiamo la Pietà di Michelangelo.
Cercano il coraggio in mete esotiche, lo cercano nei cocktail con gli ombrellini e nelle spiagge immacolate. Mi viene in mente il leone di Dorothy.
Anche quelli come noi scappano, solo che lo fanno in maniera diversa. C’è ancora chi si mette sul terrazzo a guardare le finestre degli altri, domandandosi se anche loro provano quel vuoto dentro. Perchè il grande interrogativo non è: siamo soli nell’universo? Ma: siamo davvero tutti soli?
Ho sentito le storie più belle, raccontate dalle bocche più malconce e sdentate. Ho amato donne bellissime, solamente perchè in tutta la mia vita non ho mai avuto le palle di conoscere veramente una donna nell’anima, apprezzandone le doti umane, prediligendo a queste un bel faccino e un corpo da modella.
Sono stato tutto quello che odio e cerco di scontare giornalmente il mio purgatorio personale, lottando contro me stesso e contro tutte quelle canzoni demoniache che mi risuonano nel cranio.
Mi ritrovo spesso davanti ad uno schermo vuoto, consapevole del fatto che non si riempirà da solo e questo mi terrorizza a morte. Questo è il problema di chi sceglie un mestiere che potrebbe esaurire le sue batterie da un momento all’altro.
Non ho mia preso un aereo, perché sono talmente terrorizzato dall’idea di affidarmi ad un altro essere vivente in alta quota, da non sentire ragioni.
Ho riflettuto molto sul mio lascito cartaceo e non sono soddisfatto, ma questo credo che sia l’unico modo per alimentare le batterie di cui parlavo prima.
Non ho mai visto le teste dell’Isola di Pasqua e ne vado fiero. Non so perchè, ma è così.
Per certi versi sono ancora quel ragazzino del liceo, terrorizzato e spaurito, che gli altri non sceglievano per giocare a pallone e se potessi decidere nuovamente da che parte stare, sceglierei di nuovo la mia, perchè senza tutta la merda che sono stato costretto ad ingoiare, non avrei mai fatto della mia passione il mio lavoro.
Cosa mi ha insegnato questo stile di vita completamente folle? Mi ha insegnato a lavorare con una rivoltella puntata alla testa e questa è una cosa che non tutti possono vantare nel loro curriculum.
Ho provato a spiegare più e più volte il senso di smarrimento di una generazione a cui i sociologi non hanno trovato un nome migliore di “generazione x” e credo di non esserci ancora riuscito, proprio perchè quel senso di smarrimento è talmente radicato in me, da non farmi prendere niente sul serio.
Non è tranquillità zen… è che ci stiamo tutti cagando sotto.

 

 

Ferdinando de Martino.

L’Islam nella società contemporanea | Il popolo della rete, abbocca.

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Come ci si difende da ciò che s’ignora? Informandosi.

Il problema dell’informazione è estremamente radicato nella contemporanea accezione di “ricerca dei contenuti”, perchè siamo talmente abituati a fregacene delle fonti che siamo arrivati al punto di non ritorno: non riusciamo a distinguere una notizia vera da una falsa.

Sui muri mediatici non si fa altro che leggere di quanto i musulmani siano cattivi e delle loro usanze barbare e obsolete. I musulmani ammazzano, i musulmani sono l’Isis, i musulmani sgozzano capre nel centro di Genova e via dicendo.

Purtroppo ho capito da tempo che con la stupidità non si potrà mai competere, perché lei vincerà sempre.

Ognuno di noi ha delle idee personali sulle religioni, io, ad esempio,  vorrei vietarle tutte; toglierei i crocifissi dalle scuole, e impedirei ogni singolo legame tra legge e religione, ma per fortuna non sono un uomo di potere.

Nonostante questo mio odio verso ciò che è intangibile, vorrei spiegare un concetto molto semplice: quando si parla di cose che non si conoscono, si risulta sempre degli imbecilli.

Di recente mi è capitato di leggere un libro, intitolato “L’Islam e la modernità”, di Slavoj Zizek, noto filosofo lituano.

Il libro in questione parla dell’islam e del fondamentalismo in maniera limpida e cristallina, come solo un filosofo potrebbe fare e lo consiglio vivamente a tutta quella gente che non fa altro che passare la propria vita a rincorrere qualche stereotipo dozzinale, preso alla rinfusa dal mondo virtuale, tra una pausa sigaretta e una cagata al cesso con l’phone a portata di scoreggia intellettuale.

L’Islam è una religione e come tale andrebbe lodata o criticata, solamente dopo averne studiato alcuni semplici concetti base, perchè è bene criticare solo ciò che si conosce.

Potete tranquillamente ignorare il libricino in questione, ma la prossima volta che darete sfogo ai vostri fantasmagorici discorsi sull’Islam, domandatevi prima -Conosco almeno otto cose di questa religione, non prese a cazzo di cane su internet?- e se la vostra risposta e no… trovate un modo nuovo di utilizzare le vostre dita.

Ferdinando de Martino.

Le IENE e il continuo ritardo dell’informazione |

Qualche mese fa mi trovai a scrivere qualche riga riguardante lo scandaloso servizio delle IENE, relativo alla crocifissione mediatica dei manga; un servizio che per quanto mi riguarda ha definito alla perfezione l’informazione di matrice semplicistica che da sempre contraddistingue un certo tipo di pseudo-satira.

Oggi torniamo a parlare del noto programma, perchè un servizio in particolare mi ha fatto riflettere sul mio precedente articolo e sul ritardo mediatico delle informazioni.

Il servizio in questione parlava di una città sotterranea di tossicodipendenti nel centro di Kabul.

Perchè la visione di una città di tossicodipendenti non ha destato in me alcun tipo di emozione o, perlomeno, sconvolgimento?

Perchè nel 1971, Duchaussois pubblicò un libro che spopolo in tutto il mondo: Flash. Katmandu, il grande viaggio.

Il romanzo raccoglie le avventure di un uomo che incontra ogni tipologia di narcotico, lungo un percorso che lo porterà ad attraversare una grossa fetta del mondo non occidentalizzato.

Le città sotterranee di tossicodipendenti e le intere congreghe di personaggi surreali, in paesi in cui il tempo è vissuto in maniera completamente incomprensibile a noi occidentali, non desta il minimo scalpore e chiunque abbia letto quel libro.

Quello che desta il mio interesse, invece, è sicuramente l’utilizzo mirato di una certa propaganda d’informazione, come lo spiattellante mediatico del degrado, con annesso dito puntato nei confronti d’un occidente troppo freddo e calcolatore.

Tutto quello che esce dalle IENE è semplice e la semplicità è estremamente noiosa. Questo non vuol dire che le notizie debbano essere complesse ed indecifrabili; quello che voglio dire è che basterebbe evitare di prendere notizie che sono alla portata di tutti dagli anni settanta, per poi buttarle in prima serata. .

Probabilmente durante i prossimi servizi, le Iene inizieranno a parlare del Vietnam e della crisi missilistica cubana.

Pace e amore a tutta la redazione di Mediaset.

Ferdinando de Martino.

FEDEZ e il diritto d’autore | Scacco matto alla Siae |

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Nei giorni passati, abbiamo assistito all’eclatante uscita dalla famiglia Siae del rapper milanese Fedez, ma quali sono le ragioni che hanno spinto uno degli artisti più in voga del momento ad affidare il suo intero patrimonio autoriale ad un servizio giovane come Soundreef?

L’egemonia della Siae, azienda che si occupa della gestione dei proventi generati dal diritto d’autore, è da anni incontrastabile e regna da sempre in maniera arcaica, quasi come se le fondamenta della nota società italiana fossero radicate saldamente sui fossili dei dinosauri.

Perchè, personalmente, reputo molto importante la mossa di Fedez in questo preciso momento storico?

Innanzitutto, credo che un ragazzo di ventisei anni che, pur essendo partito dal nulla, è riuscito ad affermarsi come cantante, imprenditore e presentatore televisivo, non può che meritare tutta la mia stima, soprattutto in un paese che prima dei sessantasette anni  ti considera ancora una promessa o un giovane virtuoso.

La Siae gestisce i diritti d’autore, che spesso sono l’unica fonte di guadagno di alcuni artisti, ma lo fa in maniera oscura, impedendo ai suddetti di controllare i tabulati dei loro passaggi radio, T.V. e presenza in scalette nei concerti. Questo dovrebbe infastidire maggiormente gli artisti di minor rilievo, insomma, quelli che cercano di arrivare a fine mese coi diritti Siae e non gli artisti che, tutto sommato, potrebbero quasi campare anche senza i proventi in questione.

Questa è la mossa strategica del rapper milanese che ho veramente apprezzato, perchè davanti ad un panorama indie che lo chiama “venduto”, ha deciso di smuovere l’attenzione mediatica verso Soundreef, azienda londinese, fondata da due giovani italiani che hanno deciso di creare una struttura basata sulla trasparenza dei passaggi e la velocità del pagamento.

Non è la prima volta che Fedez attira la mia attenzione, in quando da scrittore sono molto legato all’utilizzo della parola e devo dire che molto spesso mi è capitato di trovare nei testi del rapper, più di uno spunto di riflessione e molta ironia ben gestita.

Trovo particolarmente significativa questa scelta e credo che il precedente in questione possa muovere le coscienze di altri artisti verso il fallimento di una Siae che continua a cambiare presidenti per corruzione e illeciti.

Il diritto d’autore è il patrimonio di un artista… una sorta di pensione, se vogliamo, e affidarlo ad una nuova realtà è un salto nel vuoto estremamente coraggioso.

Ferdinando de Martino.

SCRITTURA E ZEN| Il palazzo mentale e il baretto mezzo scassato | di Ferdinando de Martino

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Quando ho edificato il mio palazzo mentale, mi sono ripromesso che il mio casino cerebrale non avrebbe mai varcato la soglia di quel tempio della tranquillità zen.
Quella era una prerogativa abbastanza importante, perchè chi diavolo si costruirebbe un palazzo mentale per portarci dentro i suoi casini?
Un imbecille, ecco chi.
Unire lo zen e la scrittura, ha per me una valenza quasi religiosa e quindi oggi vi parlerò di come ho lasciato entrare nel mio palazzo zen tutta la merda da scrittore represso e disadattato.
Fuoco alle polveri.
Innanzitutto il termine scrittore è estremamente riduttivo, perchè il mio lavoro non è esclusivamente lo scrivere, quanto il ricercare informazioni, collaborare con nuovi autori, fare l’editor e curare illustrazioni, gestire i rifiuti e non cedere alle lusinghe e, infine, contare i soldi e vedere che sono sempre troppo pochi, rivedere le mie idee e convincermi che avrei fatto meglio a seguire le impronte dei miei insipidi compagni di scuola\lobotomizzati, che hanno seguito alla lettera il principio: studia, lavora e crepa.
Ecco. Per la prima volta credo di esser riuscito a definire alla perfezione il mio lavoro, quindi potrei anche chiudere qui l’articolo e tornarmene a meditare sul suicidio, ma per vostra sfortuna sono troppo egocentrico e prolisso per non continuare a battere sui tasti, come un fesso alla ricerca di un qualcosa d’impalpabile.
Il mio palazzo mentale ha una specie di piccolo giardino, piccolo perchè non volevo sbattermi ulteriormente a condonare zolle di terra inesistenti a qualche colletto bianco del karma.
In questo giardino ho piazzato una cesto pieno zeppo di palline da golf e una mazza. Ho preso questa decisione massacrando una delle tecniche base della concertazione preparatoria per la meditazione, ovvero quella in cui respirando si lascia entrare la positività, facendo uscire la negatività e stronzate del genere.
In pratica, ogni volta che prendo una di quelle palline color latte, per piazzarle sul prato, immagino di racchiudere al loro interno qualcosa che sulla terra ferma mi sembra un dramma irrisolvibile. Mi concentro molto a piazzare dentro le palline in questione tutto il delirio e la negatività possibile ed immaginabile e, quando mi sento pronto, lancio via tutto a fanculo, tramite un colpo magistrale di mazza da golf. Un Tiger Wood dello zen, in parole povere.
Sono sicuro che da qualche parte del monto, un monaco buddista sta vivendo il peggior infarto della sua vita, mentre scrivo queste cose, ma giuro che questo procedimento mi calma molto.
Essendo uno scrittore e quindi un creativo, non posso esimermi dal parlare anche del secondo metodo zen per sfanculare tutto il delirio e le catastrofi emotive che quel karma bastardo continua a metterci davanti, quasi come se si fosse dimenticato che al mondo non siamo gli unici e stronzissimi esseri viventi del pianeta.
Il baretto mezzo scassato è molto simile al palazzo mentale, ma al posto della nostra mente, è stato edificato da qualche operaio immigrato negli anni sessanta e bene o male, regge ancora in ogni città del bel paese.
Una volta entrati nel suddetto tempio zen, ignorate i beceri cafoni che parlano di giocatori ventenni che rincorrono palle di cuoio e dirigetevi al bancone.
L’uomo dietro al banco, sarà la vostra guida spirituale, un po’ come lo yogi che mi ha cacciato dal centro yoga, perchè guardavo i culi delle milf; solo che questo sarà più magnanimo.
Prendete una birra e ad ogni sorsata, lasciate entrare la positività e fate uscire tutta la negatività.
Questa operazione si potrebbe fare benissimo con una bevanda priva d’alcol, ma essendo occidentale, quindi estremamente legato al fattore divertimento, io preferisco una bella e salutare bevanda spiritosa.

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RESTRIZIONI NEL CENTRO STORICO | La Città Morta |

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Ieri sera mi sono ritrovato ai giardini Luzzati, una nota zona della movida del centro storico genovese, per bere una birretta e fare quattro chiacchiere con gli amici.

Volevo annusare l’ambiente dopo le recenti restrizioni legate agli orari di chiusura dei locali, per capire realmente dove potrebbe portarci il cambiamento in questione.

Questo è quello che facciamo di solito: shot al Grigua, da bere al Moretti e via verso il Quaalude.

La serata è stata surreale e la si potrebbe descrivere modificando un vecchio testo di Jovanotti: non è qui la festa.

Assenza di musica, facce tristi e assenza d’alcol.

Che Genova fosse una città morta da tempo immemore lo si sapeva già, ma il colpo di fioretto definitivo, travestito da legge, ha lasciato la nostra gioventù esangue  a terra con un bicchiere vuoto.

Il messaggio dell’amministrazione Doria è il seguente: andatevene tutti a Milano, a Genova non ci si diverte.

Ad una città già priva praticamente di attività culturali, dove i concerti non arrivano, gli spettacoli scarseggiano e i vecchietti tentano di zombiezzare la città a colpi di bianchetti mattutini e discussioni sul Genoa, non rimane che fare come il Grande Gatsby e imbandire tavolate segrete, invitando il divertimento come ospite d’onore.

Oltre al centro storico ci sono le discoteche, dove se ti va bene puoi  massacrarti il cervello con qualche chicca amfetaminica e… ah, basta. Oltre al maledettissimo centro storico non c’è realmente niente di vagamente stimolante.

Capisco i vecchietti che la notte non riescono a dormire, anzi… non li capisco per niente, perchè oltre ad averci condannato ad una vita tremenda, in un paese distrutto dalla loro classe dirigente e dai loro modi di fare beceri e qualunquisti, dopo averci tolto la possibilità di avere una pensione e di vivere una vita dignitosa, hanno deciso di danneggiare perfino il meccanismo della distrazione atta a generare quel divertimento di cui necessitiamo per non pensare all nostra condizione.

Alla soglia dei trenta, non riesco proprio a buttarmi in discoteca a parlare di deltoidi per limonarmi una diciottenne, facendomi giudicare all’ingresso da uno scimmione con la quinta elementare. Mi spiace, ma a questo mood di deculturizzazione sociale non riesco proprio a partecipare.

Di recente un bambino si è punto con una siringa in un noto parco genovese, questo dovrebbe essere da monito alla popolazione ligure, in quanto è risaputo che il degrado di una zona è direttamente proporzionale alla svalutazione sociale della suddetta e l’unico modo per intrattenere le persone, creando un divertimento sano è quello di incrementare le attività notturne. Noi, in questo momento, stiamo viaggiando nella direzione opposta.

Al Capone è figlio del proibizionismo e, senza le leggi restrittive, le mafie avrebbero avuto un terreno meno fertile da coltivare negli Stati Uniti.

I frequentatori del centro storico troveranno altro da fare prima o poi, ma le vere vittime saranno i gestori dei locali che si vedranno costretti a chiudere, andando in bancarotta. È probabile e, forse plausibile, che questa situazione possa portare ad un ritorno del degrado sociale, perchè buttando le persone sul lastrico le si abbandona automaticamente alla disperazione e la disperazione porta alla bottiglia, nel migliore dei casi.

Non vorrei sembrare estremamente pessimista, ma il gioco preferito degli scrittori è sempre stato quello d’immaginare mondi dispotici, laddove il Grande Fratello ci guarda con i suoi lunghi baffi e credo questo sia l’inizio di una nuova fine.

Avete presente quando si guarda al passato pensando -Come cazzo abbiamo fatto a prendere quella decisione?-, ecco… in questo momento l’amministrazione Doria ha preso una decisione che verrà ricordata, in futuro, come una delle scelte più idiote a livello politico amministrativo degli ultimi vent’anni.

Il quadro è semplice. I giovani migreranno verso altre zone, mentre i gestori dei locali musicali migreranno verso un suicidio economico di cui VOI sarete i mandanti.

“Mandante di un suicidio” è una professione rara e solitamente la praticavano i guru degli anni settanta nei suicidi di massa, ma a quanto pare, Marco Doria ha deciso di riportare in voga i vecchi mestieri d’una volta.

L’arrotino che passa per le strade di Genova, i bambini che si pungono con le spade al mare, con il ritorno dell’ero e i vecchietti beati e sereni a massacrarsi il fegato giocando a carte, immersi nella tranquillità di un’apocalisse zombie. Doria  sta creando gli anni 80 2.0. : una tristezza infinita, ma senza i Cure ad intrattenerci le orecchie.

 

Ferdinando de Martino.

 

 

Salvini e il libro strappato | la sconfitta di una generazione di finti ribelli |

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Ci sono tre cose che ho sempre valutato come impossibili:

1 Rihanna che bussa all mia porta, dicendomi che ha sempre pensato a me, anche quando stava con quel rapper che la corcava di botte e che vorrebbe sposarmi per passare il resto della sua vita tweerkosa con il sottoscritto.

2 Cara Delevigne che bussa alla mia porta per dirmi -Ciao Ferdinando, scusa per il disturbo, ma ho saputo che stai con Rihanna, ma anche io sono follemente innamorata di te e vorrei farti da concubina; sempre che per Riri non sia un problema?

3 Scrivere un articolo pro Salvini.

Rihanna e Cara non si vedono, quindi procediamo pure.

Matteo Salvini ha pubblicato un libro e il mondo degli intellettualoidi si è schierato dalla parte della cultura, invadendo le bacheche di Facebook con insulti e appuntamenti in piazza per boicottare la presentazione del libro in questione. Ci sono stati degli scontri e un gruppo rimanifestanti ha iniziato a strappare le pagine del manoscritto del Segretario della Lega Nord.

Ok, Ferdinando… devi dimostrarti coerente e difendere Matteo, anche se tua madre è calabrese e tuo padre napoletano. Ci sei? Vai.

Bruciare un libro è e sempre rimarrà uno degli atti più riprovevoli che il genere umano abbia mai inventato. Tutti i ragazzi che hanno strappato le pagine del libro di Salvini, adesso sono nella stessa categoria di personaggi del calibro di Savonarola, Hitler, Castro, Mussolini, Stalin e Kim Jong Un.
Non intendo paragonare un ricco ragazzino viziato e annoiato a questi personaggi in toto, ma solamente per l’applicazione di una censura filtrata dal mero giudizio singolare, imposto alla società.

Molti di questi ragazzi erano scesi in piazza a manifestare contro i tirapiedi di Casa Pound che avevano gettato della Coca Cola su dei fumetti che ironizzavano la figura di Benito Mussolini, un paio di settimane fa. Ora… vorrei sapere con quale logica si difende la cultura, perchè mi pare che l’unico metro di giudizio utilizzato da questi ragazzi sia il seguente: libri e fumetti che ci piacciono -bene- e libri e fumetti che non ci piacciono -male-.

Lasciate che vi dica che questo è esattamente lo stesso metodo che utilizzavano le figure citate qualche riga fa.

Ma passiamo ad una contestualizzazione più precisa. Che senso ha strappare le pagine dei libri di Matteo Salvini? Perchè l’unico effetto che può provocare una tale azione è quello di far sembrare gli italiani come un popolo di ignoranti, pronti solo a contestare a priori un qualcosa.

Dove erano tutte quelle persone quando Mondadori pubblicava gli youtubers? Nessuno salta su, quando un libro scritto da una youtuber che ha le tette (perchè l’unico merito è quello, credetemi), scala le classifiche dei Best Seller, ma per il libro di Matteo Salvini siamo tutti pronti ad accendere il rogo, no?

Sapete perchè succedono queste cose? E badate che chi scrive queste pagine, detesta con tutto se stesso gli ideali della Lega Nord.
Queste cose succedono perchè i vostri figli leggono libri di youtubers con le tette, guardano film idioti, ascoltano musica stupida, si vestono come dei cretini, non fanno altro che fare sport e sport, guardare sport, mangiare sport, parlare di sport e quando la politica arriva nelle loro vite, finiscono per non capire più niente ed esprimere la cafonaggine che gli avete trasmesso non portandoli a teatro, non insegnando loro ad apprezzare i buoni libri e piazzandoli davanti a Mediaset infanzia natural durante.

Non è loro la colpa, ma vostra. Quei ragazzi non pensano. Non hanno un vero cervello a difendere le loro azioni, ma un semplice bagaglio vuoto che si trascinano appresso più come un peso che come una risorsa da sfruttare.

Matteo Salvini è un politico e un personaggio di spicco che, almeno, non fa scoregge davanti alla telecamera incorporata di un Mac, quindi avrà più senso leggere un suo libro, piuttosto di un manoscritto uscito dalla mirabolante penna di Frank Mattano (autore di scoregge al telefono)?

Ho massacrato mediatamente il segretario della Lega Nord più di chiunque altro, ma davanti alla stupidità di massa non mi sono voluto tirare indietro dal difendere i miei principii morali.

Pace a tutti.

 

 

Ferdinando de Martino

Come nasce uno scrittore? | Sublime solitudine | di Salvo Barbaro

salvo

20 Aprile 2006
E’ un giovedì pomeriggio, sono quasi le quattro e mi trovo a casa nella quiete più assoluta. I miei genitori sono usciti per delle commissioni, “evento alquanto straordinario”, mia nonna e mio zio sono fuori per la loro solita passeggiata pomeridiana. Mio fratello è a lavoro.
Finalmente sono solo, rinchiuso nelle “mie” quattro mura, assorto nei miei più assurdi e sconfinati pensieri di giovane-adulto-lavoratore-tempo-determinato. Ho finito da poco più di un’ora di lavorare, operaio addetto alla depurazione delle acque reflue in un’azienda vitivinicola della mia città natale. Sono stanco, cerco disperatamente di riposarmi sul mio letto accomodato con cura dalla nonna. Appoggio la testa al morbido cuscino, guardo il soffitto, sto per chiudere gli occhi e suonano al citofono. Impreco, mi alzo, vado alla porta e rispondo molto scocciato. Dall’altra parte una voce femminile, suadente e devo dire molto bella che mi dice -Salve, lei crede in Dio?
Resto in silenzio per circa quaranta secondi, poi esclamo –Beh, non so, bella domanda. Comunque ho da fare arrivederci.-
Chiudo la conversazione, impreco di nuovo e mi rimetto a letto. Non chiudo occhio, ho una sensazione strana. Sono troppo emozionato per così tanta solitudine, troppo bella questa occasione per buttarla in due ore di sonno inutili. Mi alzo, vado in cucina, apro il frigo. Cerco disperatamente qualcosa da mettere sotto i denti, rovisto tra prosciutto crudo, prosciutto cotto, formaggi, succhi di frutta, acqua gasata, ma niente che possa soddisfare la mia fame da noioso-voglioso-di-dolci.
Idea, apro il freezer e ecco spuntare davanti a me l’essenza della golosità, il sublime piacere del palato, Magnum Algida. Lo addento ancora ghiacciato, lo guardo fisso mentre sembra implorarmi pietà, ma niente… la mia furia è inarrestabile. Dopo nemmeno due minuti, di lui resta solo lo stecchino di legno, bagnato della mia saliva, dalla mia voglia e del mio orgoglio. Lo getto con calma olimpica e un dubbio “vorticoso” mi assale, e ora? Che cazzo faccio? Sono appena le quattro e trenta. Ok, bevo un sorso d’acqua e ritorno in camera. Accendo la tv e come sempre c’è Italia Uno a riempire i vuoti incolmabili di noi giovani annoiati-vogliosi-pipponi. Guardo attentamente Dawson che bacia Joey appassionatamente, mentre lei lo cornifica con Pacey, mentre amoreggia con la sua insegnante. Basta! Mi vergogno un po, spengo la tv e riguardo l’ora, sono le quasi le cinque. Mi alzo dal letto, gironzolo per la stanza, guardo fuori la finestra e vedo il nulla, il niente del mio povero quartiere, che sembra davvero un puglie tramortito, rimasto solo sul ring dopo l’ennesimo KO subito. Chiudo la finestra velocemente e scappo in soggiorno attraversando il corridoio.
Con la coda dell’occhio, in camera dei miei, noto sul comodino di mio padre un libro, giallo e nero. Mi avvicino lentamente come un felino che sta per agguantare la sua preda, entro piano e lo prendo. Leggo il titolo, GOMORRA, lo sfoglio un pochino, lo giro e vedo sul retro la foto di un ragazzo, pelato, bruttino, sofferente. ROBERTO SAVIANO, NATO A NAPOLI IL 22 SETTEMBRE 1979, GIORNALISTA E SCRITTORE. Guardo di cosa si tratta, camorra, appalti, nomi, cognomi, poi la porta di casa si sta per aprire, sono i miei, di già, furtivamente poso il libro e corro in camera mia, mi metto sul letto e faccio finta di dormire.

Salvo Barbaro.