Giugno 2016

Come nasce uno scrittore ? | COLPO DI FULMINE | di Salvo Barbaro

24 ottobre 2012

Sono circa le nove, il ristorante è pieno di gente ai tavoli e fuori, un discreto numero di persone aspetta d’entrare per sedersi. In sala due soli camerieri, compreso il sottoscritto, più mio cugino che ci aiuta e contemporaneamente sta alla cassa. Sono intento a sparecchiare un tavolo, togli il piatto degli antipasti e metti quello della pizza, no anzi, non hanno la pizza ma il primo, no che dico, il primo solo lui, mentre lei ha la pizza. Faccio un po’ di confusione quando improvvisamente si apre la porta e appare lei, una ragazza stupenda, direi bellissima, sola, che si avvicina alla cassa e chiede un piccolo posto dove sedersi.
–Dai, ti prego, falla sedere! Guarda c’è posto lì nella corte, lei ci entrerà sicuro.– penso, sperando che mio cugino la faccia accomodare. –Bingo! E vai.– esulto, perché si siede ed elegantemente inizia a sfogliare il menu.
Mi avvicino a D, mio cugino, e gli bisbiglio all’orecchio -Chi è? La conosci? Visto che fica?
Lui mi guarda e mi dice, sorridendo -Salvo c’è da lavorare, pensi sempre a quello! Ritorno in sala ma con lo sguardo sempre rivolto versi di lei.
Passano i minuti, passano i secondi, il ristorante è sempre pieno ma fuori la situazione s’è molto calmata.
La osservo sempre, sfoglia magicamente un libro e il primo pensiero che mi viene in mente è –Cazzo, è il primo essere umano che a un tavolo di un locale sfoglia un libro anziché aggeggiare al telefono. Ma da dove sei sbucata? Chi sei?
Poi la voce di D. richiama la mia attenzione -Vai Salvo è il tuo momento! Vai a prenderle l’ordine! Anzi facciamo una cosa, scommettiamo una birra che non riesci a chiederle il numero di telefono entro la serata!
Sono estasiato, ora le parlerò, la vedrò com’è in tutto il suo splendore. –Ok, ci sto D. Però mi sottovaluti, io non mi vergogno mica a chiederle il numero, anzi! Gli stringo la mano e mi dirigo verso di lei.
Il cuore mi batte all’impazzata, le gambe mi tremano e ho la gola secca. –Cazzo, non mi è mai capitata una cosa del genere! Se dico qualche cazzata? Se inizio a balbettare come uno sciocco?– penso tutto ciò, poi finalmente arrivo al suo tavolo -Ciao, sei pronta per ordinare?
Alza lo sguardo dal libro, gli occhi verdi e le labbra carnose sono un calmante per i miei occhi.
-Si grazie! Allora prendo una quattro stagioni e una birra chiara piccola!
-Ok, birra piccola! A presto allora.- le sorrido, lei ricambia e i nostri sguardi s’incrociano per un istante, poi ritorna alla lettura.
Intanto al bancone, intenti a bere prosecco e grappa dopo una cena a base del “gustosissimo” pesce, stazionano due energumeni. Alternano flut di bianco a bicchierini di grappa, ridono e parlano di nulla. Uno, tarchiato e con la voce rauca, è italiano, l’atro, alto, grosso e muscoloso è rumeno o polacco. Questo qui è esilarante, capelli rasati e occhi fuori dalle orbite, sembra SHREK, il personaggio dei cartoni animati. Li osservo mentre gironzolo tra un tavolo ed un altro: fissano lei, la guardano e noto che SHREK vuole provarci. La guarda insistentemente ma lei è a sguardo basso, intenta nella lettura del libro.
L’energumeno chiama la ragazza del bar, le dice qualcosa. Passano due minuti e vedo C., la ragazza del bar, andare al tavolo della bellissima con un flut di prosecco. Penso, –Sicuramente non accetterà mai, cazzo come può una strafiga del genere andare con quel mostro!–
Osservo attentamente, C. si avvicina al tavolo, pone il bicchiere alla ragazza che in un secondo scola il tutto. Il mondo mi crolla addosso, sono deluso, incazzato e abbattuto. Il pizzaiolo mi chiama, la quattro stagioni è pronta, la prendo e mi dirigo al tavolo, non più sorridente, ma nervoso. Le do il piatto e lei mi dice -Grazie per il prosecco!
Stop, fermi tutti, che prosecco? No, non sono stato io, lo hai bevuto pensando fossi stato io? No, dai, allora ti sono piaciuto, è fantastico! Resto immobile come un baccalà, poi gentilmente le dico, -Guarda che il prosecco te l’ha offerto lui, no io! Le indico con il dito SHREK, lei diventa rossa come un peperone mentre piena di vergogna mi chiede con cortesia.
-Scusa, pensavo fosse stato un tuo gesto! Mi faresti un favore?- annuisco, mentre lei continua -potresti fingere di essere il mio fidanzato, così mi sbarazzo di quel coso? Per favore, te ne sarò riconoscente per tutta la vita!
Era bellissima, come potevo dirle di no?
-Ok.- e colgo la palla al balzo dicendole -dopo, se non sei già fidanzata, ti lascio il mio numero così ci incontriamo un giorno!
-Va bene, ma io ho un figlio!
La guardo e le dico -Auguri, ma a me non interessa!
Lei sorride, io mi giro di scatto e affronto SHREK pensando dentro di me che è la volta buona che le busco sul serio.
Sono di fronte a lui, mi guarda, io lo guardo, si pulisce i denti con la lingua facendomi intravedere qualche “bel” residuo della cena. Puzza di alcol a cento metri di distanza, poi rompo il ghiaccio subito, perché il lavoro in sala mi aspetta.
-Senti, ha detto la ragazza che ti ringrazia tantissimo ma è già fidanzata, è molto fedele e non sei il suo tipo, mi dispiace!
Lui sorride, dicendo un qualcosa che sinceramente non capisco. Mi stringe la mano e va via, scomparendo oltre la porta.
Ritorno da lei soddisfatto,
-Missione compiuta- le faccio.
Lei mi sorride e finalmente inizia a mangiare la pizza, ormai diventata fredda.
La guardo, dicendo -Mi raccomando non accettare più flut di prosecco da chiunque! Lei ride, rispondendo -Pensavo davvero che fosse stato un tuo gesto!
Prendo un fogliettino, segno il numero e glielo porgo. Lei lo guarda e se lo mette in borsa.
-Piacere, io mi chiamo Salvatore!
-Ah giusto, io sono Giulia!
-Buon appetito Giulia, io vado! Chiamami quando vuoi e buna serata!
-Grazie, anche a te!- mi giro, ritorno in sala contento, felice e soddisfatto.
Guardo mio cugino, gli faccio un occhiolino e gli dico -La birra la voglio doppio malto! Lui annuisce e mi fa segno col pollice.

Salvo Barbaro

Opera: Natalie | acrilico su tela 50×70 | di Ferdinando de Martino

Natalie

Se siete interessati ad acquistare i lavori dell’autore o a commissionare un ritratto, scrivete all’indirizzo di posta elettronica ferdidioniso@gmail.com .

Per dare uno sguardo alle altre tele, basta cliccare questo link: Posterart

 

I volti mediatici sono i santini del nuovo millennio e la “posterizzazione” su tela li porta sullo stesso piano delle madonne e dei riferimenti religiosi.

Ferdinando de Martino.

Come nasce uno scrittore ? | Dolce amaro | di Salvo Barbaro |

15 dicembre 2015

Oggi la depressione e la tristezza mi attanagliano, mi avvolgono e mi strozzano alla gola senza farmi respirare e deglutire. È quasi un mese e mezzo che non riesco a trovare lavoro, sono consapevole che stare a casa con la mia famiglia è un lusso ed un piacere ma non voglio assolutamente gravare su di loro.
Girello per il corridoio in cerca di qualcosa da fare, mi siedo al tavolo del salotto, prendo carta e penna ed inizio a elencare il da farsi: numero uno, imbiancare la ringhiera del giardino (penso che con questo freddo e con la pioggia sia impensabile adoperarmi), quindi depenno il tutto. Numero uno, l’immancabile e “fortificante” spesa, ok la farò ma adesso voglio rendermi utile nelle quattro mura. Depenno ancora. Penso, guardo il soffitto, penso ancora, guardo fuori in giardino, penso di nuovo, mi alzo dalla sedia, sbuffo, mangio qualcosa, vado in bagno, mi guardo allo specchio, scruto attentamente il mobiletto accanto al lavandino in cerca di qualcosa di rotto da riparare, ma è in perfetto stato, mio suocero sicuramente è passato prima di me e ha pensato a tutto lui.
Esco dal bagno e nel corridoio incontro Giulia, visibilmente titubante e preoccupata sul mio stato d’animo -Amore come stai? Ti vedo triste, tutto ok?
La guardo in tutta la sua bellezza, -Si piccola, tutto ok. Devo fare qualcosa in casa? C’è qualcosa da mettere a posto?
Lei mi guarda, io la guardo. Elena dorme e Vieri è a scuola. L’abbraccio e la bacio sussurrandole all’orecchio che l’amo più della mia vita. Poi la guardo negli occhi -Vita mia, voglio rendermi utile. Non voglio stare con le mani in mano aspettando che questo benedetto lavoro venga dal cielo.
-Tranquillo amore mio, tutto si aggiusterà e andrà nel migliore dei modi. Goditi questa piccola vacanza!
Le accarezzo il collo, le bacio le labbra e con il fisico la spingo in camera e sul letto disfatto l’amore prende il sopravvento.
Ci rivestiamo con tutta calma, rifletto sul da farsi, Elena si sveglia e il mio unico pensiero è di uscire, voglio uscire, voglio andare a fare una passeggiata che mi riempia la testa e lo stomaco, voglio racchiudermi nei miei pensieri e trasformarli in qualcosa di buono. Mi metto il cappotto, saluto Giulia e la piccola ed esco fuori. Il freddo mi graffia la faccia, mi sveglia come una secchiata d’acqua gelida, infilo le mani in tasca e inizio a camminare. Osservo, scruto e ammiro la bellezza del mattino, il vociare leggiadro degli anziani che parlano e borbottano tra di loro, il sorriso spensierato del macellaio che taglia delicatamente la carne, il fruttivendolo perennemente incazzato che serve la frutta alla solita cliente “rompi palle”. Il pizzicagnolo fuori dall’esercizio che fuma il suo sigaro, impreca contro i grandi supermercati che gli hanno tolto il lavoro durato anni e guarda con invidia gli altri negozi pieni di persone. Sputa a terra e mastica il tabacco amaro, con le dita in bocca e i denti che mordono le unghie.
Non faccio neanche cento metri, entro nel bar accanto casa, una sorta di piccolo corridoio dove a stento ci si possono stipare sei persone. Già mi manca l’aria, fuori ci sono dieci gradi, ma dentro, in quell’angusto e tremendo “inferno”, avverto circa quaranta-quarantacinque gradi.
–Un caffè per favore.- chiedo alla barista occhistorti-pettegola-al-quanto-antipatica. Lei con un sorriso che subito mi dà ai nervi -Ciao, come stai? Oggi fa freddo eh? Con questo tempaccio non sono riuscita nemmeno a stendere il bucato fuori. Anzi lo sai che ho fatto? Ieri sera ho mandato la lavatrice, stamani alle sei era bella e pronta, poi ho steso i panni in casa, così asciugano prima!
Ride e sorride aspettando una mia opinione sull’importante accaduto. La guardo e sorrido -Hai fatto benissimo, le dico.
–Mi daresti per favore il caffè?
Lei si passa la mano in fronte e mi fa -Giusto, dimenticavo il caffè!
Respiro profondamente e la guardo mentre “aggeggia” alla macchinetta del caffè. Lei di nuovo, con insistenza, -Allora stamattina a lavoro non troppo presto? Beato te, svegliarsi con calma e andare in ufficio tranquillamente.
Intanto dietro di me s’è formata una folla inferocita di quattro persone che aspetta d’esser servita, lei incurante continua il suo monologo -Bene, dai si vede dalla faccia che sei riposato!
La guardo e vorrei prendere la tazzina con quello “schifo” dentro e tirargliela sul viso, ma la mia galanteria prende il sopravvento, pago e vado via non guardandola nemmeno negli occhi.
-Arrivederci e buon lavoro.- grida lei, facendomi accapponare la pelle.
Deciso, ora faccio marcia indietro e gliene dico mille, poi ragiono e vado via.
Finalmente esco da quell’incubo, mi guardo intorno e noto con molto piacere che è passata solo mezz’ora dalla mia uscita. Rientro a casa, la MIA casa, apro la porta e mi rimetto a sedere in soggiorno, pensando al da farsi.

Salvo Barbaro.

Cosmopolis | Il capolavoro di Don DeLillo | C’è uno spettro che si aggira per il mondo, lo spettro del capitalismo

cosmopolis-libro

Oggi voglio parlarvi di un DeLillo relativamente recente.
Cosmopolis è un libro piccolo e denso di quella sensazione angosciante che solamente le pagine del noto scrittore americano possono permettersi di trattenere tra le righe, senza mai cadere nella banalità.
Come in ogni opera di DeLillo lo stile è estremamente ben strutturato, ma la filosofia\matematica è la vera ed indiscussa protagonista della storia raccontata in Cosmopolis.
Nel libro viene ricreato l’universo mentale di Eric, un giovane miliardario, impegnato in una costante teorizzazione del mercato della speculazione in borsa. Il mondo che Eric vive nella sua testa è lo specchio del mondo che sarà a breve. È un concetto complicato a dirsi, ma semplice a leggersi.
Le teorie di Eric, da sempre controverse, sono riuscite ad arricchirlo a dismisura, facendone un giovane miliardario privo di valori.
-C’è uno spettro che si aggira per il mondo, lo spettro del capitalismo.- è la frase che domina la descrizione di una società economica annichilita nella sua filosofia tendente all’ironia.
L’anti odissea di questo giovane miliardario che decide di tagliarsi i capelli, nonostante l’universo gli stia consigliando di restarsene a casa, utilizzando Manhattan come angelo annunciatore, lascia sgomenti sin dalle prime righe.
Come ogni postmoderno, Delillo riesce ad entrare non solo nella mente di ogni personaggio, bensì ad addentrarsi nella mente dello spettro del capitalismo che con la sua retorica miliardaria domina una sorta di nuova materia accademica che solamente pochi eletti riescono a vedere.
Recensire un libro di Don DeLillo è tremendamente difficile, perchè ci si trova a dover partorire parole riguardanti uno dei più grandi generatori di storie emozionanti ed intense del pianeta.
Vi consiglio di approcciare questo magnifico autore partendo proprio da Cosmopolis, per arrivare poi al suo capolavoro assoluto “White Noise”.

 

 

Recensione a cura di Ferdinando de Martino.

Come nasce uno scrittore ?| Futuro assicurato | di Salvo Barbaro

 

4 settembre 2003

Eccomi qua nel giorno del mio primo colloquio di lavoro “ufficiale” per un’agenzia assicurativa, famosa e molto ambita dal sottoscritto e non solo, anche se non ho mai capito un cazzo dell’argomento.
Trovare un posto di lavoro, adesso unico obiettivo nella mia vita, incalzato e spronato dalla mia fidanzata V., fidanzati-sud-troppoinfretta-conprospettivefuture-abitobianco-altare.
-Salvo devi trovarti un lavoro che ci renda capaci di affrontare il futuro.
-Certo, hai ragione, ma più di inviare i curriculum non so che fare!
-Lo so, ma mi sembra che tanta voglia di lavorare tu non ne abbia e il lavoro che fai ora non è tanto soddisfacente!- dialogo giornaliero subìto da un ragazzo normale del sud fidanzatosi troppo presto.
Fino a quel momento il mio impiego è stato lavorare per il fratello di mio padre, pare essere mio zio, in un’agenzia che si occupa di pubblicità, volantinaggio e cose del genere. Orario di lavoro flessibilissimo, cinquanta euro a settimana. Il posto di lavoro l’ho ereditato da mio fratello Maurizio e devo anche esser contento e ringraziare tutti perché almeno il mio parentado mi “aiuta” e mi sostiene.
In casa entravano persone che ti promettevano la luna in cambio di un misero segno sulla scheda elettorale, con quel sorrisino e con quelle parole che ti facevano venire la voglia di prendere un fucile e annientarli in un sol colpo. Parole, parole, chiacchiere, chiacchiere e mai fatti. -Tranquillo Salvo, il momento buono arriverà anche per te! Non mollare, credi in te stesso! CREDI IN TE STESSO, frase tipica di una persona che non sa che dire, crede di aiutarti ma ti sta lasciando solo, nel vuoto più assoluto. Meglio dire sinceramente -Fai come ti pare, la vita è tua. Poi, che me ne importa di te?
È pomeriggio e sono emozionato perché non ho mai fatto un colloquio di lavoro vero e proprio. Mi vesto con jeans e camicia, devo presentarmi sul posto alle quattro ma come al mio solito alle due e trenta sono prontissimo. Penso a cosa mi chiederanno e che farò. Sull’annuncio c’era scritto cercasi impiegato, allettante, ho risposto e mi hanno subito chiamato.
Sospirone di sollievo, tensione alle stelle per i “consiglioni” dei miei, scendo per le scale veloce e mi avvio alla fermata dell’autobus. Ho deciso, vado col mezzo pubblico così non ho problemi di parcheggio.
In autobus guardo fuori dal finestrino e immagino un po’ come sarà la mia vita se mi dovessero prendere in questo posto: giacca e cravatta, parlantina autoritaria, confrontarsi con le persone, saper dialogare e sapersi vendere. Mi prende il magone, poi un messaggio sul telefonino -IN BOCCA AL LUPO AMORE-. Rispondo -CREPI- e scendo dal mezzo.
Arrivato, portone enorme, scale enormi, il petto mi si stringe e faccio fatica a respirare prima di fare i gradini. Dell’ascensore nemmeno l’ombra, il buio primeggia nell’atrio e un odore “allettante” di cavolfiori accentua la mia voglia di vomitare. Suono il campanello e con il fiatone rispondo che sono venuto per il colloquio. Una ragazza elegante e sorridente mi accoglie, mi fa compilare dei moduli e mi siedo su una poltroncina comoda. Sudo e l’arsura mi graffia la gola. All’improvviso eccolo, raggiante e sorridente il responsabile dell’ufficio, o meglio credo sia lui. -Salvatore giusto?- annuisco.
-Vieni, accomodati nel mio ufficio, prego!- entriamo e mi sistemo nell’elegante stanza: piante, quadri e tanti libri primeggiano dietro l’enorme scrivania. Un odore misto a tabacco e panino con la mortadella mi arriva al naso appena si apre la porta. Mi siedo e lui subito inizia a parlare senza freni inibitori. –Allora Salvatore, piacere io sono Luca e mi occupo di assicurazioni. Che vuol dire assicurazioni? Vuol dire che noi garantiamo al cliente una sicurezza in caso di infortuni o futuri danni. Noi siamo il top in questo campo, siamo i numeri uno e puoi vedere tutto questo da qui!
Mi poggia davanti un libro con scritte le statistiche annuali, i commenti positivi e le foto di persone sorridenti. Annuisco e continuo a non capirci niente. Lui continua imperterrito e mi guarda fisso negli occhi.
-Salvatore ti vedo assente, ascoltami bene perché ora vengo al dunque. Il tuo compito è procacciare clienti, sai cosa vuol dire, no? Trovare persone e inserirle nel nostro gruppo, assicurarle a noi, scusa il gioco di parole! Guarda qui, interessi zero, TAEG 2% e una polizza garantita per la vita! Ok, ti è chiaro?
Lo guardo, sudo e mi sento svenire, lui sempre sorridente che mi guarda fisso. Poi con calma prendo la parola -Senta signor Luca, non mi sento tanto bene. Potrei andare via?
La mia richiesta lo spiazza e mi dice -Va bene Salvatore, pensa bene a quello che ti ho detto!
Faccio sì col capo, mi alzo dalla sedia ed esco velocemente, salutando la signorina all’entrata. Sono giù dal portone in un secondo, respiro ed entro nel primo bar. Finalmente bevo, respiro e penso -Vaffanculo!
Mi avvio a piedi alla fermata del bus.

 

 

Salvo Barbaro.

Discutiarte| Spiegazione opera “4 Stoya” | di Ferdinando de Martino

4 Stoya

TITOLO OPERA: 4 Stoya (di Ferdinando de Martino)   DIMENSIONI : 35 X45   MATERIALI:  Acrilico su tela       DISPONIBILE: Per acquistare l’opera, conttatre l’indirizzo mail ferdidioniso@gmail.com

Quando ho deciso di lanciare Post-Er-Art, la sezione grafico/pittorica del blog, mi sono preoccupato di trovare un linguaggio ben preciso per le opere che sarei andato ad eseguire.

Lo scopo delle tele in questione è di “4 Stoya” in primis è il seguente: utilizzare il “modo di vedere” della Pop Art, focalizzando il linguaggio verso una differente concettualizzazione  del soggetto.

Da scrittore non mi basterebbe la riproduzione di un volto celebre con l’unico intento di proporre al pubblico un mood già riproposto da decine e decine di concept artistici. Dietro ad un volto dev’esserci una storia è questa, per quanto di nicchia possa essere, secondo me aiuta il soggetto ad esprimersi al cento per cento.

Il primo quadro di cui voglio parlare è proprio l’emblema di questo concept: 4 Stoya.

Stoya è una pornostar americana, famosa per essere sempre molto attiva negli ambienti culturali. Di recente questa diva del porno è diventata famosa per colpa di uno scandalo riguardante la sfera privata.

Dopo aver denunciato un abuso sessuale, subìto dall’allora fidanzato James Deen (anch’esso noto pornodivo), l’attrice ha subìto una serie di ironiche frecciatine sui social network di tutto il mondo. Frasi come -Uno in più o uno in meno che differenza fa?- o -Beh, tanto non le dispiace.- e -L’avrei stuprata io…- e chi più ne ha più ne metta.

D’un tratto, quel mondo americano che non fa altro che additare interi popoli come biechi fondamentalisti che riducono la donna ad un mero oggetto sessuale, privo di libero arbitrio, si è trasformato in una succursale della Santa Inquisizione, pronta a giudicare normale uno stupro ai danni di una donna che recita nel mondo dell’intrattenimento per adulti.

Il volto di Stoya è riuscito a mettere a nudo l’animo umano, per questo lo trovo decisamente interessante.

Ferdinando de Martino.

 

COME NASCE UNO SCRITTORE ? | Coccoli e stracchino | di Salvo Barbaro

Sudo, sparecchio, corro avanti e indietro, il caldo mi arroventa, mi sbatte alle corde come un pugile stremato. Però sorrido, o meglio devo essere sorridente con i clienti-lavoratori-muratori che affollano il ristorante di mio zio già da mezzogiorno. Lavoro da un mese esatto e davvero mi sembra tutto tranquillo, monotono sì, ma il tempo scorre veloce. A pranzo il movimento è discreto, abbordabile, ma è la sera il clou, il casino, una vera e propria mandria di persone che si presentano con il solo intento di mangiare la pizza con un coupon, pretendendo d’esser trattati come clienti abituali.
Coupon: parola fino a quel momento decisamente sconosciuta nei miei modesti dizionari culinari. Prendi prenotazione su internet, scegli il menù di pizza, paghi e arrivi al ristorante con questo pezzo di carta a testimoniare l’avvenuto pagamento.
Pizza a scelta tra margherita, quattro stagioni, cotto e funghi + bibita + mini bruschette al pomodoro per due, per un misero totale di venti euro. Non ci capisco un bel niente e questo mi fa incazzare come una bestia. Perché non prenotare direttamente sul posto e ordinare come tutte le persone normali di questo pianeta? Poi il viso, le espressioni del volto dei maschi che portano a cena le loro mogli, fidanzate, amanti e si presentano alla cassa come ebeti dicendo al proprietario -Questo è il coupon, però pago il supplemento dolce per la signora eh? Crede sia tirchio io.- e si voltano indietro guardando la malcapitata di turno.
Si siedono al tavolo più lontano della sala, sempre vicino al bagno, con un “bel” puzzo da far andar fuori di cervello. Lui tutto altezzoso e fiero, lei con l’espressione da -chi cazzo me l’ha fatto fare di venire qui stasera?-
Sorrido sotto i baffi, divertito e faccio come sempre -Che preferite, signori, vino, acqua gasata, naturale o birra?
Lui alza lo sguardo, mi scruta e tira fuori dalla tasca il famoso foglio -Senti, qui c’è scritto birra piccola per due e prendiamo birra piccola per due! Mi sono messo già d’accordo con il proprietario per il dolce!
-Va benissimo.- gli faccio, pensando che una birra piccola al sottoscritto, con questo caldo, non arriva nemmeno alle bruschette.
I due si guardano attorno, lui sicuramente le sta dicendo -Carino questo posto.- e lei non dice A, ma elargisce un sorriso malinconico a conferma della frase. Pizza, birra tenuta stretta, calda e sgasata fino al dolce, senza nemmeno ordinare un’acqua piccola per non andare fuori budget. Minuti trascorsi nel locale circa un’ora, lui sempre parlante, lei muta, vestita di tutto punto per la serata, circa due ore prima orgogliosa del “maschione” che aveva accanto, ora decisamente delusa. Sicuramente l’indomani lo manderà a cagare.
Io mi diverto, osservo le facce, i movimenti della “famosa” gente del nord e devo dire assolutamente nessuna differenza con noi terroni, anzi. Però la figura di merda è sempre dietro l’angolo.
Siamo quasi a fine serata, entra una coppia habitué del posto. È la prima volta che li vedo, salutano mio zio affettuosamente, si dirigono ad un tavolino riservato. Saluto, loro nemmeno ricambiano ma mi guardano con insistenza.
-Sei nuovo te?- mi chiede lui.
Rispondo -Si.- e lui mi fa -Bene allora ti dico subito che prendiamo: come antipasto coccoli, crudo e stracchino, e una pizza divisa in due, birra media per me e acqua per la signora.
Annuisco, finisco di scrivere e vado in cucina a consegnare il foglio. Mi avvicino al cuoco e gli dico sottovoce -Scusa Francesco, ma il cocco qui a Firenze viene servito con il crudo e lo stracchino?
Francesco mi guarda e scoppia in una fragorosa risata -Ma che cazzo dici Salvatore, coccoli, no cocco, coccoli sono la pasta della pizza fritta. Poveri noi, sei proprio terrone.- mi fa.
-Ah ok, allora sistemo il foglio perché ho scritto cocco!
Figura di merda, sudore e viso stanco.

Salv Barbaro.

Un momento intimo | di Ferdinando de Martino |

Jimmy-page-zoso

Sostanzialmente credo di essere una persona tendente al cupo e al drammatico. Non è una posa, ma una semplice constatazione.
Tendo ad analizzare con un tiepido cinismo ogni mossa ed ogni situazione della mia vita, pilotandola verso gli errori passati o quelli futuri, senza mai riuscire a godere a pieno delle note positive del momento.
Oggi stavo lavorando. L’ottantacinque per cento del mio lavoro consiste nello scrivere, mentre il restante quindici per cento è relativo alla sfera della pittura\grafica.
Ho smesso per sei anni di dipingere. Era un qualcosa di cui non sentivo necessariamente la mancanza, ma come per ogni cosa che si ha o si ha avuto dentro, si finisce sempre per tornare sui propri passi.
Se dovessi definire il mio lavoro, in generale, continuerei a definirlo: scrittura.
Senza ombra di dubbio la scrittura è la forma d’arte che mi rappresenta di più. È solitaria e si esprime al massimo solamente quando quello che fai finisce nelle mani altrui. Con la scrittura è più difficile fraintendere un “artista”, mentre con la pittura, il fraintendimento è sempre dietro l’angolo.
Forse è per questo che i critici d’arte sono intelligentissimi, mentre quelli letterari sono dei semplici scrittori che non hanno mai avuto le palle di affrontare la tastiera a muso duro.
Comunque, da qualche tempo ho ampliato la mia attività di blogger, aprendo anche una piccola sezione grafica, producendo tavole e quadri.
E oggi, proprio mentre mi trovavo a lavorare ad un ritratto su commissione, ho avuto una sorta d’illuminazione.
Stavo ascoltando Led Zeppelin IV, il colore aderiva alla tela e avevo terminato di scrivere gli articoli in programma per la giornata.
Quello era il mio lavoro: ascoltare i cazzutissimi Zeppelin, facendo delle cose in cui non ho mai primeggiato, ma nei confronti delle quali ho sviluppato uno stile personale che ha fatto sì che qualcuno decidesse di pagarmi per utilizzare il mio lavoro.
C’era gente disposta a firmare le mie parole e qualcuno a cui saltava in mente di ordinarmi un quadro ed io potevo starmene tranquillamente davanti ad un computer o ad una tela, ascoltando i Led Zeppelin.
È stato un momento molto intimo, perchè per la prima volta ero riuscito a definire sia il mio lavoro che la mia unica ambizione, denudata dai travestimenti della semantica.
Ero e sono solamente un povero stronzo a cui piacerebbe potersene stare tutto il giorno ad ascoltare i Led Zeppelin, fingendo che questo sia un lavoro serio ed onesto.

Ferdinando de Martino

Come nasce uno scrittore ? | IL DUELLO | di Salvo Barbaro

10 Maggio 2006

-Salvo svegliati, è ora di alzarsi!
La voce è quella di mia madre, sono le quattro e mezza del mattino e devo svegliarmi per andare a lavoro.
Mamma è in piedi da più di dieci minuti perché anche lei, mattiniera-lavoratrice-incallita, è ragioniera in un ufficio che si occupa della distribuzione dei quotidiani in Avellino e provincia.
-Ok.- le faccio con voce rauca e molto provata, tipica di chi in quel momento sta beatamente dormendo, vivendo quella fase di sonno così profondo, quasi mistico, forse sacro, perché nel tempo a venire sempre meno frequente.
Mio fratello accanto ronfa da fare schifo, con la bocca aperta e gli occhi socchiusi, scatenando in me un’invidia tremenda a tratti violenta. Mi giro di scatto, mi alzo imprecando e vado in bagno a farmi una doccia.
Dopo circa un quarto d’ora sono tutto preparato: divisa da lavoro, tuta blu, scarpe antinfortunistiche e cappellino blu scuro con la scritta color oro dell’azienda vitivinicola per cui lavoro che indosso con una certa fierezza. Sono quasi le cinque, il mio orario d’entrata è alle sei e oggi ne approfitto per scroccare il passaggio di un collega di mamma, perché più o meno si fa la stessa strada.
Sto per varcare la soglia della cucina ed eccolo, lo vedo che aggeggia con la macchinetta del caffè. Mi fermo e guardo mio padre, lui si accorge del mio arrivo, si gira e ci fissiamo negli occhi. Sembriamo Clint Eastwood e Lee Van Cleef nel film IL BUONO, IL BRUTTO E IL CATTIVO nel duello finale. Manca solo la colonna sonora di Morricone a farci da sfondo e il film potrebbe proseguire.
Odio chi mi gironzola intorno la mattina presto, odio le domande, odio gli interrogatori; io la mattina non voglio assolutamente parlare, non mi piace parlare, non faccio domande e non voglio che nessuno me le faccia. Però una cosa me la chiedo e vorrei chiedere al mio vecchio -Che cazzo ci fai alzato già a quest’ora? Tu che puoi dormire un pochino di più, perché non vai a letto?
Non trovo e non troverò mai risposte al mio quesito.
Entro in cucina e mi siedo.
–Ciao Salvo, il caffè è pronto.- fa mio padre.
Lo ringrazio e mi metto a sedere col viso teso di chi sa già come andrà a finire. Prima domanda, -Sai oggi che farai?- , seconda domanda, -Come ti senti?-, terza domanda –A che ora esci?- stop, “premo il pulsante”, rispondo velocemente, bevo un sorso di caffè e abbasso lo sguardo sul tavolo. Inesorabilmente arriva la conclusione di mio padre -Ecco, nemmeno una domanda posso farti, sei sempre nervoso Salvo!
Si cazzo, sono nervoso e tutti sanno il perché, l’ho sempre detto il perché di questo mio nervosismo, tutti lo devono sapere. Urlo interiormente mentre inzuppo un biscotto nel latte, lo addento, finisco il caffè e mi alzo dalla sedia. Sono quasi le cinque e venti, mamma è già pronta che si agita su e in giù per il corridoio, saluto nonna che anche lei è sveglia e saluto papà.
–Posso prendere GOMORRA sul tuo comodino? Lo leggo in pausa!
–Ok.- mi fa, offeso a morte per lo sketch in cucina.
Prendo il libro e me lo metto accuratamente nello zaino, saluto nuovamente tutti e usciamo finalmente di casa.
È una bellissima giornata, il sole inizia a far capolino tra le montagne, si respira quell’aria fresca che ti dà forza ed energia. Salgo nell’auto del collega di mamma, saluto educatamente, sedendomi dietro, restando beatamente in silenzio. Il tragitto è breve. Apro lo zaino e inizio a sfogliare il libro, leggo la storia di Roberto Saviano, i suoi articoli e i giornali per cui scrive. Poi leggo la trama del libro, -Interessante, penso tra me e me. Chiudo il libro e lo rimetto nello zaino perché sono arrivato. Saluto tutti e mi avvio verso l’enorme cancello dell’azienda. Il depuratore mi aspetta.

Salvo Barbaro